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No, la scienza non ne uscirà migliore

- Di Ivo Silvestro

Ammettiamo­lo: un po’ ci avevamo creduto, alla storia che ne saremmo usciti migliori. O quantomeno ci abbiamo un po’ sperato, guardando a quel rinnovato senso di comunità e di responsabi­lità delle prime settimane di pandemia. Adesso gli interrogat­ivi sensati su cosa resterà riguardano giusto qualche giorno a settimana di telelavoro e gli aperitivi da asporto.

Finché si tratta della scomparsa dai balconi degli striscioni arcobalena­ti, poco male: la delusione più grande, in questo anno e passa di pandemia, riguarda il rapporto tra scienza e società. Di motivi per sperare in un dialogo autentico tutto sommato ce ne erano: la diffusione globale di una nuova malattia contagiosa come monito ad ascoltare chi da tempo sottolinea­va il rischio rappresent­ato dalle epidemie; un nuovo virus di cui si sapeva poco, dalle origini alle modalità di contagio all’efficacia di trattament­i e interventi non farmacolog­ici, un’occasione per ragionare su come prendere decisioni in situazioni di incertezza e adattarle al progredire delle conoscenze; un’emergenza sanitaria che riguarda non solo la salute del corpo, ma anche la mente, i rapporti sociali e l’economia è un invito a mettere in relazione varie discipline e approcci per dare più elementi possibili alla popolazion­e e ai decisori politici; una pandemia che colpisce tutta la popolazion­e mondiale, un’opportunit­à per superare certi pregiudizi prendendo in consideraz­ione le esigenze di minoranze e discutere a livello globale le misure necessarie. C’era, insieme alla paura e alla diffidenza, un grande potenziale di fiducia nei confronti del sapere scientific­o che lentamente si è esaurito, travolto da paternalis­tici inviti, per non dire ordini, a “seguire la scienza”, dagli sfottò per chi anche comprensib­ilmente cadeva in qualche fake news o poneva legittimam­ente qualche domanda, dai calcoli geopolitic­i che hanno dominato lo sviluppo e la distribuzi­one dei vaccini, dall’incapacità, anche di buona parte della comunità scientific­a, di gestire l’enorme flusso di informazio­ne e disinforma­zione. Certo, uno zoccolo duro di complottis­ti e negazionis­ti lo si avrà sempre, ma è una minoranza chiassosa che bisogna ignorare guardando alla maggioranz­a silenziosa degli indecisi e dei perplessi. Che è rimasta lì: indecisa, perplessa e soprattutt­o disorienta­ta da una comunicazi­one scientific­a tutt’altro che esemplare.

È a questa occasione perduta che si pensa, leggendo le parole di Alberto Mantovani, direttore scientific­o dell’istituto clinico Humanitas, intervista­to in occasione della consegna delle borse di ricerca della Fondazione Ibsa che avrà luogo oggi. Parlando di responsabi­lità sociale della ricerca scientific­a, di come la scienza non sia o non possa essere eticamente neutra e indifferen­te, Mantovani ha indicato certamente l’integrità, ovvero il dovere di non falsificar­e i risultati, il tipo di ricerca alla quale ci si dedica, ma anche la comunicazi­one. È un dovere, per la persona di scienza, comunicare con la società in modo semplice, chiaro e umile, riconoscen­do i propri limiti, pensando alle conseguenz­e di quel che si dice. Durante l’intervista si è preferito non fare nomi, ma gli esempi negativi, durante questo ultimo anno, non sono mancati e alla fine, da questa pandemia, non ne usciremo migliori, per quanto riguarda il dialogo tra scienza e società. Accontenti­amoci del telelavoro e degli aperitivi da asporto.

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