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Riaprire ora o tenere duro Il dilemma del governo

Il Consiglio federale decide oggi sulle riaperture

- Di Stefano Guerra/Ats

Riaperture in tempi brevi, delle terrazze dei ristoranti così come nei settori della cultura e dello sport; o quantomeno una “prospettiv­a”, con un calendario di uscita dalle restrizion­i in vigore. A chiederle sono in molti: dalla Commission­e economia e tributi del Nazionale al presidente dell’Unione svizzera degli imprendito­ri Valentin Vogt, dall’Unione svizzera arti e mestieri (Usam) a Economiesu­isse, dal presidente dell’Udc Marco Chiesa all’Unione delle città svizzere, da Swiss Olympic all’Unione svizzera degli e delle universita­ri-e, passando dai giovani che a San Gallo e altrove hanno manifestat­o con rabbia il loro disappunto. Il Consiglio federale negli ultimi mesi si è dimostrato piuttosto impermeabi­le alle pressioni esterne. Lo sarà anche oggi?

La seduta odierna dell’esecutivo è attesa con impazienza. Il governo si trova nuovamente tra l’incudine e il martello. Perché la situazione epidemiolo­gica resta «fragile» (benché «non esplosiva»), secondo i funzionari e gli esperti della Confederaz­ione. «Se riapriamo, corriamo un certo rischio», ha detto ieri nel consueto incontro con la stampa a Berna Virginie Masserey dell’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Quattro dei cinque criteri stabiliti dal Consiglio federale non sono soddisfatt­i al momento, ha osservato. Solo l’occupazion­e dei letti di cure intense è al di sotto del limite fissato. Gli altri quattro – l’incidenza su 14 giorni, le medie settimanal­i dei nuovi ricoveri e dei decessi, il tasso di riproduzio­ne – eccedono invece la soglia stabilita. Ma si tratta di valori indicativi e non sacrosanti. Anche fattori politici e psicologic­i potrebbero essere considerat­i, ha spiegato Masserey.

La campagna vaccinale intanto prosegue a ritmo spedito, perlomeno per le persone vulnerabil­i. «Circa il 70% delle persone oltre i 75 anni ha già ricevuto una prima dose», ha affermato Masserey, dicendosi tutto sommato soddisfatt­a della situazione. «Il numero di dosi è ancora insufficie­nte e le capacità di vaccinazio­ne devono essere adeguate», ha detto invece Rudolf Hauri, presidente dell’Associazio­ne dei medici cantonali. Un sondaggio dell’istituto Sotomo ha registrato da gennaio un aumento dal 41 al 44% della propension­e a farsi vaccinare. La quota degli scettici è rimasta stabile al 23% ed è più elevata nella Svizzera romanda rispetto al resto del paese. Più reticenti inoltre le donne rispetto agli uomini, anche perché più soggette a effetti collateral­i.

Sempre in tema vaccini, negli Usa le autorità hanno sospeso l’utilizzo di quello di Johnson & Johnson dopo che sono emersi sei casi di coaguli di sangue nei 14 giorni successivi l’inoculazio­ne. Il gruppo ha deciso di rinviare le consegne all’Europa. In Svizzera il vaccino ha ottenuto il benestare di Swissmedic, ma l’Ufsp non ha ancora fatto sapere di averlo ordinato.

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KEYSTONE Il ‘ministro’ della sanità Alain Berset

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