Riaprire ora o tenere duro Il dilemma del governo
Il Consiglio federale decide oggi sulle riaperture
Riaperture in tempi brevi, delle terrazze dei ristoranti così come nei settori della cultura e dello sport; o quantomeno una “prospettiva”, con un calendario di uscita dalle restrizioni in vigore. A chiederle sono in molti: dalla Commissione economia e tributi del Nazionale al presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori Valentin Vogt, dall’Unione svizzera arti e mestieri (Usam) a Economiesuisse, dal presidente dell’Udc Marco Chiesa all’Unione delle città svizzere, da Swiss Olympic all’Unione svizzera degli e delle universitari-e, passando dai giovani che a San Gallo e altrove hanno manifestato con rabbia il loro disappunto. Il Consiglio federale negli ultimi mesi si è dimostrato piuttosto impermeabile alle pressioni esterne. Lo sarà anche oggi?
La seduta odierna dell’esecutivo è attesa con impazienza. Il governo si trova nuovamente tra l’incudine e il martello. Perché la situazione epidemiologica resta «fragile» (benché «non esplosiva»), secondo i funzionari e gli esperti della Confederazione. «Se riapriamo, corriamo un certo rischio», ha detto ieri nel consueto incontro con la stampa a Berna Virginie Masserey dell’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Quattro dei cinque criteri stabiliti dal Consiglio federale non sono soddisfatti al momento, ha osservato. Solo l’occupazione dei letti di cure intense è al di sotto del limite fissato. Gli altri quattro – l’incidenza su 14 giorni, le medie settimanali dei nuovi ricoveri e dei decessi, il tasso di riproduzione – eccedono invece la soglia stabilita. Ma si tratta di valori indicativi e non sacrosanti. Anche fattori politici e psicologici potrebbero essere considerati, ha spiegato Masserey.
La campagna vaccinale intanto prosegue a ritmo spedito, perlomeno per le persone vulnerabili. «Circa il 70% delle persone oltre i 75 anni ha già ricevuto una prima dose», ha affermato Masserey, dicendosi tutto sommato soddisfatta della situazione. «Il numero di dosi è ancora insufficiente e le capacità di vaccinazione devono essere adeguate», ha detto invece Rudolf Hauri, presidente dell’Associazione dei medici cantonali. Un sondaggio dell’istituto Sotomo ha registrato da gennaio un aumento dal 41 al 44% della propensione a farsi vaccinare. La quota degli scettici è rimasta stabile al 23% ed è più elevata nella Svizzera romanda rispetto al resto del paese. Più reticenti inoltre le donne rispetto agli uomini, anche perché più soggette a effetti collaterali.
Sempre in tema vaccini, negli Usa le autorità hanno sospeso l’utilizzo di quello di Johnson & Johnson dopo che sono emersi sei casi di coaguli di sangue nei 14 giorni successivi l’inoculazione. Il gruppo ha deciso di rinviare le consegne all’Europa. In Svizzera il vaccino ha ottenuto il benestare di Swissmedic, ma l’Ufsp non ha ancora fatto sapere di averlo ordinato.