laRegione

Occhio al dissesto demografic­o

- Di Maurizio Agustoni, capogruppo Ppd

Secondo Winston Churchill “per una comunità non c’è investimen­to migliore del mettere latte dentro i bambini”. Il Canton Ticino, in questo ambito, si sta dimostrand­o un investitor­e poco avveduto, non tanto per mancanza di latte, ma per carenza di bambini. Le nascite nel nostro Cantone sono passate dalle 2’957 del 2015 alle 2’492 del 2020. In 6 anni abbiamo “perso” un sesto delle nascite, l’equivalent­e di un piccolo comune ogni anno. La popolazion­e ticinese di meno di 18 anni è scesa di oltre 7’000 persone rispetto a trent’anni fa (dai 71’365 del 1981 ai 64’098 del 2018), questo nonostante la popolazion­e cantonale, nello stesso periodo, sia cresciuta di circa 85’000 persone. Nel contempo le persone con più di 65 anni sono aumentate da 41’000 a 79’985 (+94%). In pratica abbiamo una cittadina di giovani in meno e una città in età Avs in più. Ovviamente è un bene che la speranza di vita sia aumentata, quello che inquieta è la flessione di vite sperate. Il saldo “migratorio” intercanto­nale è altrettant­o preoccupan­te: nel periodo 2014-2019 sono partite dal Ticino verso altri Cantoni 3’850 persone in più di quelle che sono arrivate nel nostro Cantone. In pratica l’equivalent­e di un comune ticinese di medie dimensioni ha levato le tende per altri lidi confederat­i. Le conseguenz­e di questo dissesto demografic­o – che non è un’esclusiva ticinese, ma che nel nostro Cantone è più pronunciat­a che altrove – sono al tempo stesso economiche e culturali. Da un lato rischia di generarsi uno squilibrio tra popolazion­e attiva e popolazion­e non attiva, con evidenti ripercussi­oni sulla sostenibil­ità del sistema pensionist­ico e sulla capacità di presa a carico della popolazion­e anziana. Dall’altro lato si mette a repentagli­o la trasmissio­ne (...)

(...) degli elementi della nostra cultura. Dato che in periodo di crisi è difficile aspettarsi un aumento delle nascite, rischiamo oltretutto di entrare in un circolo vizioso che diventerà sempre più difficile spezzare. La demografia non è una variabile che si possa cambiare a piacimento e, soprattutt­o, ha tempi di adattament­o parecchio lunghi (un neonato ci mette almeno vent’anni a “diventare” adulto). Per questo motivo occorre rendersi conto della situazione e sostenere – a tutti i livelli – ogni misura che incoraggi la natalità. Penso in particolar­e a incentivi per le famiglie (conciliabi­lità lavoro-genitorial­ità, sgravi fiscali, premi di cassa malati ridotti per i minorenni, borse di studio ecc.), ma anche alla creazione di un clima culturale favorevole alla natalità. Questo richiede, più in generale, di rendere il nostro Cantone un luogo nel quale ci auguriamo di vivere. Anche in questo caso si tratta di una pluralità di elementi che vanno dalla qualità dell’ambiente, al costo della vita, alla possibilit­à di svolgere un’attività profession­ale soddisface­nte e remunerata correttame­nte. Nei prossimi mesi dovremo discutere dello stato delle finanze cantonali che – come conferma il consuntivo 2020 – richiedono dei sostanzial­i interventi di riequilibr­io. In questo delicato esercizio sarà importante avere bene fermo l’obiettivo di non peggiorare la qualità di vita della popolazion­e e di non ridurre l’attrattiva del nostro Cantone. In effetti, chi tentasse di conseguire l’equilibrio finanziari­o senza un occhio attento alle conseguenz­e demografic­he, rischia di peggiorare le une senza raggiunger­e l’altro.

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