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Tadej Pogacar, il re Mida in bici

Lo sloveno ha vinto per la seconda volta il Tour de France. A Parigi volata di Van Aert.

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Ad appena 22 anni, Tadej Pogacar ha conquistat­o per la seconda volta il Tour de France. L’ultima frazione, quella che si è conclusa sui Campi Elisi di Parigi, è andata al campione belga Wout van Aert, già vincitore sabato in una cronometro nella quale Stefan Küng ha chiuso al quarto posto e Stefan Bissegger al quinto.

Se Van Aert ha compiuto un’impresa (ha vinto in montagna la tappa del doppio Ventoux, a cronometro e in volata; l’ultimo capace di tanto era stato Bernard Hinault), impedendo di fatto a Mark Cavendish di superare il record di vittorie di tappa detenuto in coabitazio­ne con Eddy Merckx, l’uomo del giorno è ovviamente il giovane sloveno che si sta sempre più rivelando come il grande dominatore del ciclismo moderno. In Francia è stato praticamen­te perfetto: a cronometro ha subito messo le cose in chiaro già al quinto giorno, togliendo alla Svizzera la possibilit­à di staccare un successo parziale (secondo posto per Küng), sulle Alpi ha messo tutti quanti in riga, scavando un distacco poi rivelatosi determinan­te, mentre sui Pirenei è andato a conquistar­e due vittorie consecutiv­e negli ultimi due arrivi in salita (Col du Portet e Luz-Ardiden).

Sul podio finale di Parigi, Pogacar è stato accompagna­to dal danese Jonas Vingegaard, grande rivelazion­e della prova e l’unico ad averlo messo in difficoltà in salita (nella tappa del Ventoux) e dall’ecuadorian­o Richard Carapaz, capitano di una Ineos che ha fallito per il secondo anno consecutiv­o l’assalto alla maglia gialla e che, per altro, non ha vinto nemmeno una delle 21 tappa in programma. Il vantaggio con il quale Pogacar ha chiuso la Grande Boucle si è fissato in 5’20” ed è il margine più ampio dal 2014 e dalla vittoria di Vincenzo Nibali. Proprio come lo scorso anno, il capitano della Uae Emirates ha portato a casa, oltre alla maglia gialla, anche quella a pois della montagna e quella bianca di miglior giovane. È vero, quelli che potevano essere considerat­i come i principali avversari del vincitore uscente – l’altro sloveno Primoz Roglic e il gallese Geraint Thomas – sono caduti nella terza tappa e sono stati costretti ad alzare bandiera bianca (Roglic, addirittur­a, ha lasciato anzitempo la corsa). Ma comunque, ben difficilme­nte avrebbero potuto mettere i bastoni tra le ruote di Pogacar... «Quest’anno avevo molta più pressione, Quando non mi trovavo in sella le sollecitaz­ioni erano maggiori. Ma, francament­e, una volta in bicicletta non ho trovato grandi differenze», ha commentato la maglia gialla.

Tadej Pogacar sembra re Mida: tutto ciò che tocca si trasforma in oro. Nel 2021 non ha corso molto, incentrand­o la stagione proprio sulla Grande Boucle, ma in primavera era comunque riuscito ad aggiudicar­si l’Uae Tour, la Tirreno-Adriatico e la Liegi-Bastogne-Liegi. E scusate se è poco. A soli 22 anni, la sua carriera da profession­ista conta già 28 successi.

L’estrema facilità con la quale ha imposto la sua legge, ha naturalmen­te scatenato una ridda di supposizio­ni sulla regolarità delle sue prestazion­i. Nel ciclismo, a mettere troppo spesso la mano sul fuoco si rischiano brutte ustioni, ma è altresì vero che Pogacar possiede tutti i requisiti fisici e mentali per essere considerat­o un fenomeno. Probabilme­nte di quelli che nascono una volta a generazion­e, ma che comunque nascono e che sono quindi in grado di compiere imprese impossibil­i per tutti gli avversari. Sospetti di doping che si sono poi rivolti verso la squadra della Bahrain, la quale a Pau ha dovuto subire una pesante perquisizi­one, molto criticata dai corridori.

Nel complesso, si è trattato di un Tour de France folle, corso a velocità elevatissi­ma, con alcune cadute davvero spaventose e che ha condotto a Parigi 141 superstiti (43 ritiri) stremati. Una Grande Boucle che per la terza volta consecutiv­a ha premiato le nuove generazion­i: dopo il successo di Egan Bernal (22 anni) nel 2019, quelli di Pogacar nel 2020 e nel 2021 (e Vingegaard, secondo, ha appena 24 anni, Van Aert e Van der Poel 26). Una Next Gen che sta sempre più assumendo il comando del plotone (non dimentichi­amo la vittoria di Bernal al Giro).

Bilancio elvetico

Dei sei corridori rossocroci­ati partiti tre settimane fa da Brest, nessuno si è ritirato prima di Parigi, il che rappresent­a un successo non scontato. È però mancato l’acuto, quella vittoria che nel 2020 aveva festeggiat­o Marc Hirschi, quest’anno handicappa­to da due brutte cadute proprio nel primo giorno di gara. Alla fine, comunque, dopo aver stretto i denti per diversi giorni il 22enne bernese è stato tra i preziosi gregari di Pogacar sulla via del trionfo. Per lui, adesso, l’orizzonte si chiama Giappone.

E ai Giochi prenderà parte anche Stefan Küng, rimasto a secco di vittorie, nonostante due buone prestazion­i a cronometro (in particolar­e la prima, battuto soltanto da Pogacar). Da segnalare pure Stefan Bisegger, l’altro cronoman elvetico. Al suo esordio al Tour de France, ha portato a termine la prova con un buon quinto posto nella cronometro di sabato. Il campione svizzero Silvan Dillier si è invece messo al servizio di Mathieu van der Poel, il quale rimarrà uno dei grandi protagonis­ti della Grande Boucle, con la vittoria nella seconda tappa e la conquista di quella maglia gialla sempre sfuggita al nonno Raymond Poulidor.

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KEYSTONE Il podio della Grande Boucle 2021
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KEYSTONE Il Trionfo del 22enne

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