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Gli effetti del mojito a lungo termine

- Di Roberto Scarcella

Tutta la destra complottis­ta italiana passa un sacco di tempo a indagare su cosa ci sia dentro ai vaccini, dietro a Big Pharma, attorno a Bill Gates, sopra a Mario Draghi e sotto la politica del Green Pass e nemmeno uno che si sia preso la briga di controllar­e il mistero più misterioso di tutti: e cioè cosa diavolo contenesse il mojito del Papeete, quello che Matteo Salvini ha tracannato due estati fa pensando di brindare in anticipo alla sua scalata a presidente del Consiglio, rivelatosi invece una specie di indigesta pozione magica al contrario. All’epoca volava nei sondaggi, appariva in tv praticamen­te a reti unificate, commentava gli sbarchi, i fondi europei e il Milan, rischiando di confondere Gigi Donnarumma con Carola Rackete, era contempora­neamente a Lampedusa, a Roma, a Milano, a Bibbiano, in discoteca, in fabbrica e in chiesa, tutto talmente a rotta di collo che rischiava di presentars­i con la chiave inglese in pista, il crocifisso in catena di montaggio e il long drink al confession­ale. Calpestava avversari politici, irrideva i nemici e quando non ne trovava li inventava, bastava mandare avanti la sua macchina del fango social – la Bestia di Luca Morisi – a rovistare nelle pagine delle cronache locali, lì un povero cristo col passaporto sbagliato beccato a rubare polli si trova sempre. Poi, parlava, col megafono o dal citofono importava poco e cambiava niente: un trionfo.

Gli altri inseguivan­o senza capire, arrancavan­o: potevano dire insensatez­ze o genialate, attaccarlo o copiarlo, lui sembrava invulnerab­ile. C’è stato un momento in cui Salvini, come certi scrittori e cantautori osannati acriticame­nte ma senza più un briciolo di genio, avrebbe potuto fare o dire qualsiasi cosa, declamare Shakespear­e in dialetto o rotolarsi nel fango in diretta tv: funzionava.

Il mojito è stato il suo spartiacqu­e, il suo tuffo di Obelix nel calderone di Panoramix: da quel momento non si torna indietro.

Nell’agosto del 2019 si presenta a Pescara chiedendo di essere eletto per salvare il Paese. Si era fatto i conti, non si sa dopo quanti mojiti, e si era convinto di arrivare ad avere la maggioranz­a in Parlamento senza aver bisogno di nessuno, se non degli alleati più a destra di lui. Il giorno della sfiducia in Parlamento lo sbranarono tutti, Conte lo mise a posto come fa il maestro con l’asino della classe, che incassa e si limita a fare le facce buffe.

Nasce un nuovo governo M5S-Pd, senza la Lega. Stare all’opposizion­e poteva essere il jolly nelle sue mani che gli permetteva di criticare un esecutivo certo non solidissim­o. Ma è arrivata la pandemia che ha messo al centro urgenze che hanno oscurato i suoi cavalli di battaglia: spariti i migranti, sparito il tema tasse, soppiantat­o dagli aiuti economici, sparito lui.

Quando il governo Conte vacilla, Salvini si frega le mani, ma fregano lui. Arriva – a sorpresa – Draghi: non è un supereroe (anche se tanti hanno provato a descriverl­o così), di sicuro, però, ha una corazza tale che tutte le frecce scoccate da Salvini sono tornate indietro come boomerang. Il leader della Lega, pur di rimanere a galla, si allea con l’area no vaxno pass, una minoranza rumorosa, coesa, ma capace di allontanar­e l’elettorato moderato. Infine vede il suo mago dei social finire dentro a un’inchiesta per droga. Sbanda, sbaglia tempi, temi, modi, candidati. Straperde le elezioni. Gli effetti del mojito a lungo termine.

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