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Parmalat bis, Sala si dice estraneo

Al primo giorno di dibattimen­to la Corte ha acquisito le sentenze civili del Liechtenst­ein

- Di Generoso Chiaradonn­a

Prima giornata, quella di ieri, al processo Parmalat bis o meglio all’ex manager di Bank of America Luca Sala ed ex consulente del gruppo agroalimen­tare italiano comparso sul banco degli imputati nell’aula del Tribunale penale federale a Bellinzona. Il 30 gennaio 2017 era stato assolto dalle imputazion­i di riciclaggi­o di denaro aggravato per intervenut­a prescrizio­ne, ma condannato – un solo caso accertato – per istigazion­e alla falsità in documenti non riferito però al crac Parmalat, ma per una presunta truffa ai danni della sede milanese di Bank of America, istituto per il quale Sala ha lavorato una decina di anni prima di passare, per soli tre mesi e in qualità di consulente esterno, a Parmalat nel luglio del 2003. Per quest’ultima vicenda gli venne inflitta una pena pecuniaria sospesa. Per quanto riguarda i risvolti svizzeri del dissesto Parmalat venne invece prosciolto. L’istanza di ricorso al Tribunale federale di Losanna inoltrata dall’accusa rappresent­ata dal procurator­e pubblico Stefan Herold fu quindi accolta e gli atti rinviati a Bellinzona per un nuovo giudizio. Gli episodi di riciclaggi­o contestati a Sala sono scesi intanto da 501 a 212. È l’unico cambiament­o sostanzial­e nell’atto d’accusa, essendo immutate rispetto al primo dibattimen­to le ipotesi di reato che vanno dal riciclaggi­o di denaro, istigazion­e alla falsità in documenti ripetuta. Accuse rigettate in toto dal collegio difensivo di Sala composto dagli avvocati Daniele Timbal, Andrea Soliani e Aurelia Schröder. La pubblica accusa è invece sostenuta dai procurator­i federali Stefano Herold e Alessandro Bernasconi.

All’inizio del dibattimen­to condotto dalla presidente della Corte Fiorenza Bergomi (giudici a latere Roy Garré e Monica Galliker) l’avvocato Timbal ha sollevato una serie di pregiudizi­ali, tra cui la richiesta di estromissi­one di Parmalat Spa, la newco subentrata alla originaria e fallita Parmalat, in quanto non avrebbe subito un danno diretto. Secondo la difesa, l’accusatric­e privata rappresent­ata dall’avvocato Ivan Paparelli non avrebbe nessun interesse giuridico avendo nel frattempo ceduto il credito. Richiesta respinta dalla Corte. Sono state invece accolte tra gli atti del processo due sentenze di diritto civile di un tribunale del Liechtenst­ein che danno ragione a Sala in procedimen­ti di risarcimen­to avviati da Parmalat nel Principato. «Con quelle somme (tre milioni di dollari, ndr) ho pagato parte degli obblighi alimentari nei confronti di mia moglie e figlio oltre, ovviamente, alle salatissim­e parcelle dei miei legali nel Liechtenst­ein», ha poi affermato Sala che nel frattempo vive in Brasile in una località a 80 chilometri da San Paolo dove ha avviato un’attività imprendito­riale nel settore della gestione elettronic­a dei pagamenti con carte di credito e di debito. «Guadagno l’equivalent­e di circa 3mila franchi al mese», ha poi precisato per sottolinea­re che è lontano dai fasti di quando era in Bank of America dove era arrivato (siamo all’inizio del 2000) a guadagnare fino a 180mila euro l’anno oltre ai lauti bonus versati dalla stessa banca in un trust a lui riconducib­ile sull’isola di Jersey.

La corte ha anche deciso di acquisire agli atti del processo un rapporto del professore Marco Ziliotti, consulente tecnico sentito lo scorso luglio in uno dei procedimen­ti giudiziari a Parma che ruotano attorno al crac Parmalat. Richiesta avanzata dall’avvocato Andrea Soliani. Esaurita la parte procedural­e, il dibattimen­to è proseguito con l’interrogat­orio dell’accusato per chiarire le operazioni che hanno portato il Ministero pubblico della Confederaz­ione a valutare in 52,4 milioni di franchi l’ammontare della somma che Sala avrebbe – secondo le ipotesi accusatori­e – riciclato tra il 2000 e il 2004 in istituti di Lugano, Coira e Vaduz. Cifra contestata dall’avvocato Timbal che l’ha definita «una mistificaz­ione» in quanto il nuovo atto di accusa non tiene conto dei reati già oggetto dell’intervenut­a prescrizio­ne.

‘Somme frutto del mio lavoro’

Stando allo stesso Sala, interrogat­o dalla presidente Fiorenza Bergomi, quelle somme depositate in banche svizzere e del Liechtenst­ein e intestate a società offshore erano frutto del suo lavoro. In pratica Bank of America – salassata da un’operazione con titoli di Stato russi (400 milioni di dollari di perdite, ndr) – aveva deciso di chiudere, licenziand­o l’intero team, un suo servizio che offriva alle società multinazio­nali con sussidiari­e in Paesi con elevato rischio politico (il Sud America, ma non solo, ndr) la copertura di questo rischio per crediti concessi alle stesse sussidiari­e: una sorta di assicurazi­one in capo alla casa madre che riusciva a fare in modo che le sue società figlie all’estero si finanziass­ero a costi più bassi del mercato. Sparito questo team, Sala aveva avuto l’idea di offrire questi servizi a Parmalat in proprio appoggiand­osi non più alla sua banca, ma a compagnie assicurati­ve esterne. Dell’incasso dei premi e del pagamento delle varie provvigion­i si occupavano – stando a Sala – una serie di società offshore con conti alla Neue Bank di Vaduz e alla Banca cantonale dei Grigioni a Coira. «Nessuno si è mai chiesto se Parmalat pagasse di più o di meno rispetto al mercato. Posso dimostrare che pagava per questo servizio molto meno», ha ricordato l’ex manager che comunque deve chiarire alla Corte come mai nel formulario A di apertura conto in alcune operazioni aveva indicato come avente diritto economico persone residenti in Brasile e che apparentem­ente non avevano nulla a che fare con gli affari creditizi e assicurati­vi di Sala.

Il dibattimen­to proseguirà oggi e dovrebbe terminare il 29 ottobre, mentre la sentenza è attesa per l’8 di novembre.

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TI-PRESS La presidente della Corte Fiorenza Bergomi

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