I Nets mettono Irving ai margini
Oltre che la questione tecnico-sportiva delle possibilità dei Bucks di confermarsi campioni, sull’Nba aleggia il grande interrogativo circa l’impatto dei “no vax” su una lega che ha spinto in maniera incisiva a favore di una campagna di vaccinazione il più estesa possibile, incontrando il parere favorevole delle franchigie e della stragrande maggioranza dei giocatori, ma anche la ritrosia di una minoranza capeggiata dalla stella dei Nets Kyrie Irving, oltre che del sindacato degli atleti. “Il novanta per cento dei giocatori”, ha spiegato la Nba, ma non manca chi ha fatto sentire la propria voce rivendicando il diritto di non vaccinarsi. Il più celebre, come detto, è Irving, ma l’asso di Brooklyn è in buona compagnia: Bradley Beal, dei Washington Wizards, Andrew Wiggins, giovane talento dei Golden State Warriors, Jonathan Isaac degli Orlando Magic. Con loro, una discreta fila di “ribelli”. Ne consegue che il clima generale non è idilliaco.
Il fronte, insomma, è spaccato. Quello del “no” è nettamente minoritario, ma fa rumore. E la questione non è stata risolta. LeBron James ha annunciato di essersi vaccinato. Lo ha fatto «per proteggere sé stesso, la famiglia e gli amici. Ma ha anche ribadito di non voler influenzare i colleghi. «Parliamo di corpi, di esseri umani, non di temi generali come razzismo o brutalità della polizia. Sono aspetti che riguardano la sfera personale. Non è compito mio convincere i colleghi». Interrogati sulla questione, altri atleti hanno preferito glissare sulla risposta o non entrare nel merito, quasi scocciati. Irving, costretto ai margini dalla scelta dei Nets di non schierarlo in quanto non vaccinato, spingendosi addirittura oltre le misure straordinarie dello Stato di New York che vietano allenamenti e partite agli adulti non vaccinati, ha promesso che sarà «presente ogni giorno e resterà uno dei leader del gruppo». «Kyrie ha fatto una scelta personale che rispettiamo – ha reagito il direttore generale dei Nets Sean Marks –, tuttavia non possiamo permettere ad alcun membro della nostra squadra di essere a disposizione solo a tempo parziale. Il nostro obiettivo è quello di diventare campioni, e per centrarlo occorre che ciascuno di noi remi nella medesima direzione». Va ricordato, a tale proposito, che le autorità comunali di New York avevano trovato il modo di permettere a Irving di allenarsi, confinandolo in strutture della franchigia ma considerate private. Ma i Nets hanno detto no.
Protocollo rigidissimo
La lega di basket, come del resto ha fatto la National Football League (Nfl), in un primo tempo aveva deciso di rendere obbligatoria la vaccinazione, salvo poi rinunciare di fronte alle proteste del potente sindacato dei giocatori (Nbpa). Ora i responsabili della Lega spingono per un protocollo di ben 61 pagine estremamente rigido per i non vaccinati: test quotidiani e anche più volte in base a riunioni tecniche e allenamenti in programma (pasti consumati in isolamento, uscite e relazioni limitatissime). Previsti test rapidi quotidiani, ma tamponi di laboratorio il giorno delle gare. I vaccinati non saranno più costretti alla quarantena, anche se risulteranno essere stati in contatto con persone risultate positive. I no vax sì, per almeno sette giorni. Non potranno mangiare, al chiuso, assieme al resto della squadra, e viaggiare accanto a un compagno, dovranno indossare sempre la mascherina e non potranno accedere alle piscine e all’idroterapia se sarà presente anche un solo atleta vaccinato. Negli spogliatoi disporranno di un armadietto distanziato dagli altri.
Stipendi ridotti
Tutte regole che metteranno in serie difficoltà i “ribelli” del vaccino, chiamati alla cassa anche in termini di stipendio. Irving è stato pressoché messo alla porta dai Nets, poco intenzionati al suo impiego part-time ma pronti a riconoscergli lo stipendio per i match che avrebbe potuto sostenere in trasferta. Wiggins non potrà giocare le partite in programma a New York e San Francisco a causa dell’obbligo di vaccino deciso dalle rispettive autorità comunali per i rispettivi club delle due città per tutte le attività sportive al chiuso. Potrebbero quindi saltare tutte le gare in casa, con il rischio di vedersi dimezzato lo stipendio (31,6 milioni di dollari).