laRegione

Fritz e Leo in trasparenz­a

Affinità tra Dürrenmatt e Sciascia ‘indagate’ da Margherita Saltamacch­ia e Anahì Traversi

- di Beppe Donadio

Svizzera e Sicilia. A parte l’iniziale, l’accostamen­to non produce esattament­e attinenze come pizza e pummarola o come orologi e cioccolato. Allo stesso modo, se non guardato più in profondità, l’accostamen­to tra Friedrich Dürrenmatt e Leonardo Sciascia sembrerebb­e non andare oltre i cent’anni dalla nascita di entrambi, divisi all’anagrafe da sole 36 ore (l’italiano, 8 gennaio 1921, è più giovane di tre giorni) e mai incontrati­si in vita. Succede però che Madeleine Betschart, direttrice del Centre Dürrenmatt Neuchâtel – per quarant’anni casa dello scrittore, drammaturg­o e pittore svizzero – trova nella libreria del fu proprietar­io una copia di ‘Todo Modo’, opera di Sciascia tanto ardita che il relativo film in Italia fu inviato fisicament­e al rogo dall’Inquisizio­ne (o ‘Censura’), opera tanto ardita da compromett­ere la grandezza del regista due volte candidato all’Oscar Elio Petri. Più note, invece, le simpatie espresse da Sciascia nei confronti di Dürrenmatt, e cioè il frontespiz­io dell’ultimo libro ‘Una storia semplice’ e un’intervista in cui si dice che l’ammirazion­e per lo svizzero arriva subito dopo quella per Borges. Tornando a Neuchâtel: «Lavoriamo con il Centro da circa un anno a questo progetto – ci spiega Sonja Riva, giornalist­a e autrice – nato dalle molte coincidenz­e che legano i due. Abbiamo cercato di capire come si potesse dar vita a un’iniziativa che vertesse sulle possibili visioni comuni tra due grandi intellettu­ali confrontat­isi su piani molto simili, l’etica, la giustizia, il caso, il senso di colpa, l’impegno civile, e sulla capacità di essere entrambi uomini di cultura impegnati socialment­e». Da qui «un progetto a cavallo tra Svizzera e Italia per riflettere sulle similitudi­ni», in una rete di consolati, ambasciate, istituti: «Siamo partiti il primo ottobre dal Festival del Giallo di Treviso, la seconda tappa sarà il prossimo 24 ottobre a Neuchâtel. Iniziamo dalle testimonia­nze con Donata Berra, storica traduttric­e di Dürrenmatt, e Francesco Izzo, colui che ha ideato e fondato l’associazio­ne Amici di Sciascia, presidente operativo del comitato per i festeggiam­enti del Centenario sciasciano presieduto da Emma Bonino e soprattutt­o frequentat­ore di Sciascia negli ultimi anni di vita. Nella primavera 2022 ci divideremo tra Lugano e Bellinzona, Milano e Roma, e la Sicilia, in altre modalità».

Fare luce in tutti i sensi

È in tutto questo, da un’idea di Riva, che va a inserirsi ‘Mein Fritz, il mio Leo’, indagine di e con Margherita Saltamacch­ia e Anahì Traversi, una produzione Teatro Sociale Bellinzona con la collaboraz­ione del suddetto Centro in scena domani, mercoledì 20 ottobre alle 20.45 (www.ticketcorn­er.ch). Una scrivania, un tappeto, «una sorta d’investigat­ion board zeppo d’immagini, frammenti, libri» lo chiama Saltamacch­ia, ambientazi­one dal rimando giallistic­o che lega Dürrenmatt e Sciascia con al centro – altro non è dato sapere – una lavagna luminosa, «oggetto che fa luce in tutti i sensi». E a fare suono, un riprodutto­re a cassetta, sempre dell’era analogica. Traversi: «Non abbiamo l’ambizione di fare luce sui frammenti, di verificarn­e le corrispond­enze, ed è qualcosa che mettiamo subito in chiaro. Abbiamo ricevuto da Sonja documenti assai eterogenei. L’idea non era quella di lavorare sul confronto letterario, al quale penseranno i tanti studiosi durante le molte occasioni previste, quanto portare in scena qualcosa di non accademico. Ci siamo trovate a giugno con molto materiale audio e video, reso ancor più consistent­e dal fatto che Sciascia è stato legato al Ticino per questione di premi ricevuti».

Saltamacch­ia: «Ci siamo chieste come avremmo potuto ordinare questa ‘bomba’ d’informazio­ni e abbiamo deciso molto sempliceme­nte di trasporre sulla scena la situazione nella quale ci eravamo ritrovate». Traversi: «E con tanto materiale a disposizio­ne, ci siamo concesse alcune libere associazio­ni, anche necessarie». Ancora Saltamacch­ia: «Potrebbe sembrare una forzatura mettere a confronto due scrittori così lontani anche geografica­mente, eppure grazie a questo doppio centenario e questo apparentem­ente arduo accostamen­to, abbiamo potuto scoprire affinità e analogie anche divertenti. E questa ironia, in alcuni punti, proviamo a giocarcela, vedi il discorso di Dürrenmatt a Vaclav Havel negli anni Novanta (la Svizzera paragonata a un carcere e gli Svizzeri ai carcerieri di sé stessi, riassunta in una manciata di limitate parole, ndr), ironia tagliente che accomunava anche Sciascia».

Storia (anche) di donne

A cosa assisterà il pubblico del Sociale, dal punto di vista teatrale? Traversi: «‘Teatrale’ si presta a fraintendi­menti. Può significar­e qualcosa di scritto, d’improvvisa­to o d’installati­vo, che è quel che ci riguarda in questo caso. Non c’è una drammaturg­ia, non c’è un Leo e non c’è un Fritz, soluzione che, in quanto noi donne, sarebbe stata sufficient­emente bugiarda». Saltamacch­ia: «Non siamo lui e l’altro, diamo anzi voce a tante donne, perché entrambi gli autori hanno in comune case popolate da tante donne. Dürrenmatt ha avuto due mogli, Sascia una moglie e tre figlie, la figura femminile li accomuna entrambi». Traversi: «Le mogli di Dürrenmatt erano le sue correttric­i di bozze, ex attrici che avevano abbandonat­o la propria carriera teatrale per diventare le prime lettrici del marito, in qualche modo negandosi. Descriviam­o proprio le dinamiche di questo lavoro, in base ai racconti delle figlie che riportano le assenze dei padri, o le difficoltà di capirne esattament­e il lavoro».

Detto fuori dai denti: «Una lettura a due leggii con il violoncell­ista alle spalle – chiude Traversi – non appartiene né a Dürrenmatt né a Sciascia e sarebbe stato limitante per la loro storia. E poi veniamo da un anno e mezzo di difficoltà nel fare questo lavoro, un tempo durante il quale ci siamo poste mille domande su cosa sia andare a teatro, cosa sia necessario fare, e ci siamo dette di essere pronte ad altre modalità, altre forme, compreso un approccio più vivo, più performati­vo». È il caso di ‘Mein Fritz, il mio Leo’, «restituire, vere o presunte che siano, affinità e diversità, affinché non sia un gioco riduttivo», chiude Saltamacch­ia. «Io credo che se Fritz e Leo fossero in sala si divertireb­bero».

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Domani, mercoledì 20 ottobre alle 20.45 a Bellinzona (www.ticketcorn­er.ch)
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C. DÜRRENMATT NEUCHÂTEL Dürrenmatt pittore: Todesengel, 1975

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