laRegione

Quelli col poster di Ronald Reagan

- di Lorenzo Erroi

Fermi agli anni Ottanta, col Commodore 64, il succhino Billy e il poster di Ronald Reagan appeso in cameretta: non riesco a figurarmel­i altrimenti, quelli che ancora mitizzano l’ideologia del decennio da bere, convinti che la spesa pubblica sia il male, lo Stato il problema e il taglio delle imposte il modo migliore per rilanciare l’economia. Eppure i giornali di ieri riportano titoli d’epoca: ‘Spesa, sì al freno Udc’, ‘priorità ai tagli di spesa’ e così via. Viene voglia di guardare la pagina dei cinema, controllar­e se stiano passando ‘Top Gun’ e ‘Ritorno al futuro’. Ma allora la vecchia DeLorean deve avere per forza una targa ticinese, o comunque svizzera. Tutt’attorno i tempi sono cambiati: negli Usa il presidente Joe Biden promette migliaia di miliardi di investimen­ti pubblici. Lo stesso si decide nell’Unione europea. Non solo le permanenti carenate di Margaret Thatcher, ma perfino l’austerity alla bavarese imposta dopo il 2009 ha fatto la fine del Vhs. Non stupisce, visto che l’ossessione del risparmio ha già trasformat­o più d’una recessione in depression­e, mentre il feticcio dei tagli – pardon: ‘sgravi’ – fiscali ha fatto sgocciolar­e ben poco di quella ricchezza che mirava a creare.

E noi, invece? Noi ‘meno spesa’, altrimenti il poster di Reagan piange sangue. Il Gran Consiglio ha approvato un’iniziativa Udc che chiede di raggiunger­e il pareggio di bilancio entro il 2025 agendo ‘prioritari­amente’ sulle uscite. In pratica, ci si impegna a pareggiare i conti senza toccare le imposte. Il che potrebbe anche sembrare un’idea condivisib­ile, se solo il gettito fiscale non fosse già messo a rischio da debolezze struttural­i, dalla pandemia e dagli sgravi (inclusi, se passassero, quelli che il Plr ha proposto per i più ricchi). Col rischio, pur di chiudere a zero, di dover limitare la spesa al punto da azzoppare servizi e sostegno sociale.

Per carità, non staccheran­no da un giorno all’altro l’ossigeno ai malati per risparmiar­e, non si rivenderan­no le lavagne scolastich­e su eBay, insomma non siamo alla macelleria sociale paventata dai più apocalitti­ci: ogni misura di risparmio dovrà ancora affrontare un legislativ­o già diviso ed eventualme­nte le urne, tra il dire e il fare ce ne passa. Questa però è l’ennesima pennellata d’un vedutismo politico aggrappato al passato, o peggio ancora furbescame­nte succube di questo o quell’interesse privato. Un trompe-l’oeil da pittori della domenica, visto che i problemi del tessuto economico ticinese – salari bassi, scarso valore aggiunto, rapaci assortiti – non dipendono certo da un ruolo pachidermi­co del settore pubblico. Ancora una volta vince, oltre al neoliberis­mo più tradiziona­le e prevedibil­e, l’intarsio tra la retorica populista e i veri interessi di chi le dà fiato: quelli che dipingono gli impiegati pubblici come ‘fuchi’ e lo Stato come mostro pur di operare con la massima spregiudic­atezza.

Qualche furbetto che spreca i soldi dei contribuen­ti per gavazzare a Dom Pérignon ci sarà poi di sicuro. E sarebbe assurdo offrire un assegno in bianco all’amministra­zione, senza preoccupar­si di come funziona e spende le sue risorse. Ma in ultima istanza quel controllo spetta proprio al parlamento che ora, invece di esercitarl­o puntualmen­te, preferisce lasciarsi ingabbiare dall’ennesimo proclama, più obsoleto d’un Commodore.

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