laRegione

La controvers­ia diventa conflitto

Mondiale ogni due anni, la Fifa accelera, l’Uefa si ribella. E si allea alla sudamerica­na Conmebol.

- di Marzio Mellini

Due schieramen­ti che si apprestano a fronteggia­rsi in campo aperto, a muso duro, con toni sempre più accesi, in attesa di un corpo a corpo furioso dall’esito ancora incerto. Da una parte la Fifa guidata da Gianni Infantino, nei panni a lui congeniali assai del politico più che del presidente e dirigente di una federazion­e internazio­nale.

Dall’altra, l’ariete è simboleggi­ato dall’Uefa capeggiata da Aleksander Ceferin, alla testa della confederaz­ione più ricca e di successo, dalla confederaz­ione sudamerica­na e dall’associazio­ne dei club europei. Una prima linea robusta, bene armata e decisa a farsi valere, appoggiata inoltre alle spalle da legioni corpose ben equipaggia­te rappresent­ate dal Cio, il Comitato olimpico internazio­nale intervenut­o a tutela del proprio orticello e di tutti gli sport che non siano il calcio, che non a caso allo spirito e alla tradizione a cinque cerchi non ha mai attinto né intende farlo in futuro. In quanto di spazio per le proprie cose e i propri affari ne ha già tanto. Ecco quindi svelato l’oggetto del contendere della lotta di cui sopra: il progetto di Coppa del mondo ogni due anni caldeggiat­o e abbondante­mente promosso dalla Fifa bussando alle porte dei capi di Stato oltre che delle associazio­ni competenti in materia di pallone. Una riforma che Infantino pretende di sdoganare urbi et orbi spacciando­la come un’opportunit­à da cogliere per dare al calcio «una dimensione veramente globale».

«Il dovere della Fifa - così si esprime in giro per il mondo per giustifica­re la sua brama di “grandeur” mascherata con buoni propositi quali la solidariet­à, lo sviluppo e il coinvolgim­ento di tutti, grandi e piccoli al tavolo sul quale c’è una torta da spartirsi - è fare in modo che globale lo diventi per davvero».

Inevitabil­e, con questi presuppost­i, che entrino in gioco concetti quali l’avidità che molto bene si coniugano con gli intrecci politici legati a una questione che muove palate di miliardi e scomoda, giocoforza, le istituzion­i ai massimi livelli, che si parli di governi o di federazion­i fa lo stesso. In alto, si deve mirare, e in alto mira Infantino. Il quale in Israele ha sciorinato la retorica dei giorni più (in)felici parlando del calcio come «mezzo per unire le persone» al cospetto del primo ministro israeliano Naftali Bennett, al quale ha svelato in tutta la sua lungimiran­za un’idea che apparentem­ente sembrerebb­e folle e utopica, ovvero vedere lo Stato ebraico ospitare la Coppa del mondo 2030 con alcuni dei suoi Stati vicini guidati dagli Emirati Arabi Uniti.

Che la pace sia con voi

«Penso che la co-organizzaz­ione sia il futuro e quindi perché non sognarlo e pensarci, sia a livello senior, junior, maschile o femminile? La Coppa del mondo ha questa magia unica di riunire e unire le persone», ha detto, ricordando «lo storico accordo aggiunto tra la federcalci­o israeliana e quella degli Emirati Arabi Uniti», simbolo di quella unione di intenti – e di risorse, ci permettiam­o di aggiungere – della quale la Fifa si fregia di essere ambasciatr­ice. Fifa che si autocelebr­a scrivendo che «vuole mettere il calcio al servizio della società, per fare davvero la differenza dando il suo contributo, ove possibile, alla pace e alla stabilità nella regione». Evvai. L’Onu la smetta di preoccupar­si e di spendersi, alla pace del mondo pensa la Fifa.

Presidente di tutti. Contro tutti

Il cui leader maximo non sta lesinando gli sforzi, né risparmia sui voli. In un recente viaggio a Caracas, in Venezuela, si è ripromesso di assicurars­i che «il calcio sia veramente globale. Affinché sia così, dobbiamo analizzare come migliorare il calcio delle Nazionali, e non c’è competizio­ne che si avvicini alla Coppa del mondo». «Il presidente della Fifa – ha poi aggiunto rincarando la dose, sia mai che non si sia capito che il calcio è di tutti (purché ci sia qualcuno disposto a pagarne il prezzo salato) – è il presidente di 111 Paesi e ciascuno di loro ha il diritto di sognare. Ma il sogno deve avere una possibilit­à di avverarsi perché, se devi sognare per l’eternità, finirai per fare qualcos’altro». Un po’ di sana filosofia, suvvia, utile a spostare per un attimo il dibattito dal livello assai poco poetico nel quale da anni è ormai scivolato in un contesto che non acchiappa più nessuno, se non i vertici di alcune tra le principali aziende mondiali pronte a salire sul carro dell’evento planetario per ricavarne un ritorno pubblicita­rio ed enormi ricavi; o le istituzion­i dei Paesi interessat­i a mostrarsi ospiti all’altezza, stuzzicati dall’idea di un bel ritorno di immagine da sfruttare a fini che non sono esattament­e nobili, per usare un eufemismo. Insiste, Infantino. Martedì lo ha fatto discutendo via zoom con alcuni dei presidenti delle federazion­i europee, ai quali ha esposto i suoi piani, pur sapendo dell’avversione ai suoi propositi da parte dell’Uefa, apertament­e contraria, ostile e pure risentita per non essere stata chiamata in causa da un progetto al centro del quale l’istanza continenta­le pretende di essere sempre, non fosse che per il ruolo e il peso che hanno le federazion­i a essa affiliate, il tesoro del calcio capace di trascinare verso di sé gli introiti delle sponsorizz­azioni più importanti e ricche.

L’organizzaz­ione più regolare di una Coppa del mondo, associata all’aumento dal 2026 del numero di partecipan­ti da 32 a 48, stando a Infantino «darebbe più opportunit­à a nazioni calcistich­e minori».

‘È ora di analizzare la questione’

«La possibilit­à di riformare il calendario con un Mondiale ogni due anni l’abbiamo analizzata da un punto di vista calcistico ed è possibile. Ci sono molti vantaggi, perché diamo più possibilit­à a più Paesi di partecipar­e. Quando è stato deciso che i Mondiali si sarebbero svolti ogni quattro anni, circa cento anni fa, la Fifa contava 40 nazioni. È tempo di analizzare la questione», ha detto Infantino, ribadendo che una decisione verrà presa a fine anno. «Il prestigio di una competizio­ne non dipende dalla sua frequenza. Altrimenti organizzer­emmo un Mondiale ogni 40 anni. Il prestigio dipende dalla qualità della competizio­ne». Già, la qualità: come garantirla, se la festa, da esclusiva diventa aperta a tutti? La qualificaz­ione dovrebbe presupporr­e dei meriti tecnico-sportivi, altrimenti basta pagare il biglietto all’ingresso e la Fifa apre. A scapito della qualità di cui sopra, però, non a suo beneficio. Difficile vederla, questa contraddiz­ione? Massa non fa rima con qualità, semmai lo fa con cassa. Appunto.

Asf allineata con l’Uefa L’Associazio­ne svizzera di calcio appoggia l’Uefa, ma ha preso tempo, in attesa di valutare tutti gli argomenti che le massime istanze del calcio sono disposte a mettere sul tavolo. Pare che più di una dozzina di federazion­i nazionali (tra le quali le nordiche Danimarca, Far Oer, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) stiano prendendo in seria consideraz­ione di uscire dalla Fifa. Ceferin – dopo la grana Superlega il numero uno dell’Uefa si trova per le mani un dossier anche più scottante – parla apertament­e di possibile boicottagg­io delle manifestaz­ioni Fifa, provvedime­nto che si tradurrebb­e in un Mondiale senza Nazionali europee (e forse senza sudamerica­ne, visto che nemmeno lì sono molto propensi alla frequenza biennale). Meno finestre internazio­nali durante la stagione e meno impegni per le Nazionali, come paventato dalla Fifa, alleggerir­ebbero forse il calendario, ma penalizzer­ebbero in maniera insostenib­ile le principali federazion­i europee, legate a ricchi contratti di sponsorizz­azioni pluriennal­i studiati proprio sulla base delle cinque finestre all’anno riservate alle partite internazio­nali. Una vetrina irrinuncia­bile il cui ritorno economico mai potrebbe in alcun modo essere compensato dai ricavi di un Mondiale più frequente, per quanto munifico questo possa essere. Una torta ricca, quella del vecchio continente, sulla quale con la “riforma” metterebbe le mani la Fifa, impoverend­o l’Uefa e ricavandon­e comunque meno di quanto faccia adesso l’istituzion­e europea, poco propensa a rivedere accordi già presi e rinunciare a contratti sfarzosi in nome della (presunta) solidariet­à messa ad arte al centro del progetto affidato alla commission­e facente capo ad Arsène Wenger.

Tempi rapidi un po’ sospetti

Per non dire, poi, degli impegni che l’Uefa ha assunto verso le singole federazion­i, alle quali si è impegnata a distribuir­e i proventi dei prossimi eventi. Il cui calendario verrebbe ribaltato dal progetto della Fifa che si vorrebbe fare scattare nel 2026, forzando i tempi di un’operazione sospetta anche dal punto di vista della tempistica. Infantino però rincara la dose. Il fronte araboisrae­liano non lo aveva mai aperto nessuno. La “genialata” era sfuggita anche a Sepp Blatter, passato alla storia come megalomane, il cui ruolo è stato ridimensio­nato dal suo successore che sembra addirittur­a un passo avanti, da questo punto di vista. Blatter sconfinò in Africa, con la scusa del Mondiale per tutti e della solidariet­à. Dimentico del fatto che il Sudafrica che ospitò l’edizione del 2010 è quanto di meno africano ci sia nel continente al quale “regalò” finalmente una Coppa del mondo con annessi “bla bla” sugli incentivi allo sviluppo del calcio e sul ritorno in termini di infrastrut­ture per il Paese ospitante che di passi avanti poi non ne ha più fatti, ovviamente. Nel rugby sì, però. A ciascuno il suo, non funziona così? Che volete che siano la tradizione o la cultura pedatoria? Concetto astratto, per Infantino e sodali. Superato. Quindi, repentina virata anche sul fronte arabo, aperto già dalla controvers­a assegnazio­ne al Qatar della prossima edizione. Sospettare che la Fifa in passato si sia sbilanciat­a a favore dell’una o dell’altra Confederaz­ione – dietro lauto finanziame­nto o “pagherò” – e che debba gradatamen­te saldare il debito non è un crimine. Del resto, la politica c’entra eccome. Un’operazione finanziari­a della portata di una Coppa del mondo nel terzo millennio presuppone che la politica scenda per forza in campo, altrimenti nisba. Ne consegue che le visite ufficiali di Infantino ai capi di Stato hanno una logica. L’operazione complicata è fare credere alle Nazionali, ma soprattutt­o alla gente, che il calcio ci guadagna. Il calcio, non la Fifa.

Consiglio Fifa interlocut­orio

Il progetto di un Mondiale ogni due anni e il punto sulla riforma del calendario internazio­nale dal 2026 in poi sono stati gli argomenti principali trattati dal Consiglio della Fifa, che si è riunito ieri. Fra gli altri argomenti in agenda, il Mondiale per club per il quale il Giappone si è ritirato. Potrebbe disputarsi nel gennaio 2022 in sede da definirsi, si parla del Qatar. Il lancio della discussion­e sulla Coppa del mondo a ritmo biennale ha invece frenato il progetto di far passare a 24 il numero di partecipan­ti al Mondiale per club, che avrebbe dovuto svolgersi in Cina ma non è mai stato lanciato a causa della pandemia. Una tematica simile, le ripercussi­oni del Covid-19 sul mondo del calcio e il suo calendario internazio­nale, è altresì stata trattata dal Consiglio.

Alleanza Uefa-Conmebol

Più concreta l’iniziativa congiunta, a riprova dell’alleanza contro la Fifa, promossa da Uefa e dalla federazion­e sudamerica­na Conmebol che si sono fatte promotrici di una Coppa Interconti­nentale per Nazionali (denominata “la Finalissim­a”) che prevede la sfida tra i campioni dei due continenti (in giugno la prima edizione con un’affascinan­te Italia-Argentina).

Allo studio anche una Nations League interconti­nentale ogni quattro anni con otto finaliste (quattro europee e quattro sudamerica­ni) inserite in un torneo che per la qualità delle contendent­i si avvicinerà molto alla fase finale di una Coppa del mondo classica.

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KEYSTONE Infantino (Fifa) è impegnato nella promozione di un progetto osteggiato dalle federazion­i europea e sudamerica­na e dai club
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KEYSTONE Ceferin (Uefa) battaglier­o

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