Come «Big Tech» silura la libertà di espressione
Se vuoi essere un vero cercatore della verità è necessario che almeno una volta nella tua vita tu dubiti, per quanto possibile, di tutte le cose CARTESIO
Facebook e YouTube eliminano milioni di voci che contraddicono la politica ufficiale sul coronavirus. E Google vuole soffocare le voci che mettono in discussione i cambiamenti climatici causati dall’uomo. I grandi gruppi tecnologici stanno diventando una minaccia per il libero dibattito.
Google lo sta facendo di nuovo. La compagnia Internet vuole manipolare il dibattito pubblico - questa volta sul cambiamento climatico. Qualche giorno fa Google ha annunciato di voler togliere terreno sotto ai piedi degli scettici sul riscaldamento globale causato dall’uomo, bannandoli dal suo motore di ricerca e dalla sua piattaforma video YouTube.
In futuro Google non permetterà più di inserire annunci con contenuti «in contrasto con il consenso informato dell’esistenza e delle cause del cambiamento climatico». In generale, i «negazionisti del cambiamento climatico» non saranno più in grado di realizzare redditi tramite contenuti web che contraddicono il presunto consenso sulle cause del riscaldamento globale. Impedendo tali redditi, Google vuole bandire dalle sue piattaforme tutti i punti di vista che differiscono da quelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change.
Un quasi-monopolio dell’informazione
Il motore di ricerca Google e YouTube hanno un quasi-monopolio dell’informazione. Chi vuole informarsi sui dibattiti politici o scientifici in corso difficilmente può aggirarli. L’attacco di Google agli scettici del clima è quindi un attacco alla libertà di espressione. Non è il primo attacco del genere. Anche Google sta prendendo provvedimenti simili contro gli scettici del coronavirus. Ad agosto si è saputo che YouTube aveva cancellato più di un milione di video che presumibilmente contenevano «pericolose disinformazioni» sul virus. L’obiettivo era quello di rimuovere i contenuti web che potessero «recare danni significativi diretti nel mondo reale».
Rigorosamente secondo le raccomandazioni OMS
In materia di vaccinazione, YouTube ha un’opinione unificata. Già nell’aprile dell’anno scorso il CEO di YouTube Susan Wojcicki ha annunciato che tutto ciò che contraddicesse le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sul coronavirus sarebbe stato cancellato. Ma la piattaforma va oltre: vuole anche rimuovere i video che contengono presunte false informazioni su altre vaccinazioni - per esempio, quelle contro il morbillo o l’epatite B.
Facebook non è per nulla da meno. Fino ad agosto di quest’anno la società statunitense aveva rimosso dalla sua piattaforma più di sette milioni di post sul tema del coronavirus. Facebook ha giustificato la censura affermando che si trattava di voci che potevano mettere in pericolo la salute delle persone. Circa 98 milioni di «contenuti meno pericolosi» sono stati dotati di avvisi.
La censura viene dall’America
Le società di Internet come Google o Facebook sono obbligate a rimuovere i contenuti web che violano la legge per esempio, gli inviti alla violenza, le informazioni terroristiche o la pornografia vietata. Ma sempre di più tali gruppi si stanno trasformando in supervisori paternalistici, decidendo secondo le proprie linee guida ciò che al pubblico è permesso sapere e cosa no. Che tale censura venga proprio dall’America - culla della libertà e della libera espressione - è particolarmente preoccupante.
La mania della cancellazione di solito ha un taglio politico. «La censura è diretta contro la destra», ha notato Josef Joffe (editore di «Die Zeit») nella «Neue Zürcher Zeitung». L’esempio più noto di censura diretta contro la destra è il bando di Donald Trump dalle piattaforme Twitter, Facebook e YouTube. Già nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti aveva accusato i grandi gruppi di Internet di «controllare che cosa possiamo vedere e cosa no».
Trump fa causa a Facebook, Google e Twitter
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha definito il bando di Trump un «attacco al diritto fondamentale di esprimere la propria opinione». Mentre Trump viene imbavagliato, i terroristi talebani possono continuare a twittare. La scorsa estate Donald Trump ha annunciato azioni legali contro Facebook, Google e Twitter per il suo bando digitale. Se avrà successo, è tutto da vedere.
Ma anche i contenuti di sinistra sono presi di mira dai censori di Internet. Nel 2019 il «Wall Street Journal» ha riferito che Google stava bloccando miratamente anche dei siti web di sinistra e di propaganda contro la guerra. Anche se Google ha sempre negato di tenere liste nere, Sundar Pichai, CEO della società madre di Google «Alphabet», ha dovuto ammettere l’anno scorso che la sua azienda aveva censurato almeno la «World Socialist Web Site».
Singole persone si ergono a censori
La lotta legittima dei gruppi di Internet contro i contenuti vietati si trasforma così sempre di più in una marcia ideologica contro contenuti bollati come moralmente riprovevoli. L’opinione unificata invece del dibattito è all’ordine del giorno. In questo modo questi gruppi impediscono i dibattiti sociali e politici, che sono alla base di una società libera.
Anche singole persone senza legittimazione democratica si ergono a censori pubblici. Questo succede pure su Wikipedia. Si è notato da tempo che, almeno la parte in lingua tedesca dell’enciclopedia Internet, si presenta sempre come allarmista quando si parla di cambiamento climatico e non permette alcuna critica al Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.
Le manipolazioni di «Andol» su Wikipedia
Due anni fa la «Weltwoche» ha scoperto che un unico autore con lo pseudonimo «Andol» controlla quasi tutti i contributi sui relativi temi. «Andol» scrive un gran numero di contributi che presentano la transizione energetica sotto una luce favorevole e veglia con attenzione che i «negazionisti del cambiamento climatico» ne escano sempre male. Gli utenti di Wikipedia sono probabilmente poco consapevoli di tale manipolazione. L’autore britannico George Orwell era un pessimista culturale. Ha predetto a metà del secolo scorso che stava arrivando «un’epoca di dittature totalitarie». Orwell non sapeva ancora nulla dei gruppi Internet che vogliono controllare l’opinione pubblica. Ma era ben consapevole di cosa fosse la libertà. «Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire». Sarebbe ora di difendere il libero dibattito dal potere interpretativo di «Big Tech». * dal «Nebelspalter» del 14.10.2021