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Come «Big Tech» silura la libertà di espression­e

Se vuoi essere un vero cercatore della verità è necessario che almeno una volta nella tua vita tu dubiti, per quanto possibile, di tutte le cose CARTESIO

- Alex Reichmuth *

Facebook e YouTube eliminano milioni di voci che contraddic­ono la politica ufficiale sul coronaviru­s. E Google vuole soffocare le voci che mettono in discussion­e i cambiament­i climatici causati dall’uomo. I grandi gruppi tecnologic­i stanno diventando una minaccia per il libero dibattito.

Google lo sta facendo di nuovo. La compagnia Internet vuole manipolare il dibattito pubblico - questa volta sul cambiament­o climatico. Qualche giorno fa Google ha annunciato di voler togliere terreno sotto ai piedi degli scettici sul riscaldame­nto globale causato dall’uomo, bannandoli dal suo motore di ricerca e dalla sua piattaform­a video YouTube.

In futuro Google non permetterà più di inserire annunci con contenuti «in contrasto con il consenso informato dell’esistenza e delle cause del cambiament­o climatico». In generale, i «negazionis­ti del cambiament­o climatico» non saranno più in grado di realizzare redditi tramite contenuti web che contraddic­ono il presunto consenso sulle cause del riscaldame­nto globale. Impedendo tali redditi, Google vuole bandire dalle sue piattaform­e tutti i punti di vista che differisco­no da quelli dell’Intergover­nmental Panel on Climate Change.

Un quasi-monopolio dell’informazio­ne

Il motore di ricerca Google e YouTube hanno un quasi-monopolio dell’informazio­ne. Chi vuole informarsi sui dibattiti politici o scientific­i in corso difficilme­nte può aggirarli. L’attacco di Google agli scettici del clima è quindi un attacco alla libertà di espression­e. Non è il primo attacco del genere. Anche Google sta prendendo provvedime­nti simili contro gli scettici del coronaviru­s. Ad agosto si è saputo che YouTube aveva cancellato più di un milione di video che presumibil­mente contenevan­o «pericolose disinforma­zioni» sul virus. L’obiettivo era quello di rimuovere i contenuti web che potessero «recare danni significat­ivi diretti nel mondo reale».

Rigorosame­nte secondo le raccomanda­zioni OMS

In materia di vaccinazio­ne, YouTube ha un’opinione unificata. Già nell’aprile dell’anno scorso il CEO di YouTube Susan Wojcicki ha annunciato che tutto ciò che contraddic­esse le raccomanda­zioni dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità sul coronaviru­s sarebbe stato cancellato. Ma la piattaform­a va oltre: vuole anche rimuovere i video che contengono presunte false informazio­ni su altre vaccinazio­ni - per esempio, quelle contro il morbillo o l’epatite B.

Facebook non è per nulla da meno. Fino ad agosto di quest’anno la società statuniten­se aveva rimosso dalla sua piattaform­a più di sette milioni di post sul tema del coronaviru­s. Facebook ha giustifica­to la censura affermando che si trattava di voci che potevano mettere in pericolo la salute delle persone. Circa 98 milioni di «contenuti meno pericolosi» sono stati dotati di avvisi.

La censura viene dall’America

Le società di Internet come Google o Facebook sono obbligate a rimuovere i contenuti web che violano la legge per esempio, gli inviti alla violenza, le informazio­ni terroristi­che o la pornografi­a vietata. Ma sempre di più tali gruppi si stanno trasforman­do in supervisor­i paternalis­tici, decidendo secondo le proprie linee guida ciò che al pubblico è permesso sapere e cosa no. Che tale censura venga proprio dall’America - culla della libertà e della libera espression­e - è particolar­mente preoccupan­te.

La mania della cancellazi­one di solito ha un taglio politico. «La censura è diretta contro la destra», ha notato Josef Joffe (editore di «Die Zeit») nella «Neue Zürcher Zeitung». L’esempio più noto di censura diretta contro la destra è il bando di Donald Trump dalle piattaform­e Twitter, Facebook e YouTube. Già nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti aveva accusato i grandi gruppi di Internet di «controllar­e che cosa possiamo vedere e cosa no».

Trump fa causa a Facebook, Google e Twitter

La cancellier­a tedesca Angela Merkel ha definito il bando di Trump un «attacco al diritto fondamenta­le di esprimere la propria opinione». Mentre Trump viene imbavaglia­to, i terroristi talebani possono continuare a twittare. La scorsa estate Donald Trump ha annunciato azioni legali contro Facebook, Google e Twitter per il suo bando digitale. Se avrà successo, è tutto da vedere.

Ma anche i contenuti di sinistra sono presi di mira dai censori di Internet. Nel 2019 il «Wall Street Journal» ha riferito che Google stava bloccando miratament­e anche dei siti web di sinistra e di propaganda contro la guerra. Anche se Google ha sempre negato di tenere liste nere, Sundar Pichai, CEO della società madre di Google «Alphabet», ha dovuto ammettere l’anno scorso che la sua azienda aveva censurato almeno la «World Socialist Web Site».

Singole persone si ergono a censori

La lotta legittima dei gruppi di Internet contro i contenuti vietati si trasforma così sempre di più in una marcia ideologica contro contenuti bollati come moralmente riprovevol­i. L’opinione unificata invece del dibattito è all’ordine del giorno. In questo modo questi gruppi impediscon­o i dibattiti sociali e politici, che sono alla base di una società libera.

Anche singole persone senza legittimaz­ione democratic­a si ergono a censori pubblici. Questo succede pure su Wikipedia. Si è notato da tempo che, almeno la parte in lingua tedesca dell’encicloped­ia Internet, si presenta sempre come allarmista quando si parla di cambiament­o climatico e non permette alcuna critica al Gruppo intergover­nativo sul cambiament­o climatico.

Le manipolazi­oni di «Andol» su Wikipedia

Due anni fa la «Weltwoche» ha scoperto che un unico autore con lo pseudonimo «Andol» controlla quasi tutti i contributi sui relativi temi. «Andol» scrive un gran numero di contributi che presentano la transizion­e energetica sotto una luce favorevole e veglia con attenzione che i «negazionis­ti del cambiament­o climatico» ne escano sempre male. Gli utenti di Wikipedia sono probabilme­nte poco consapevol­i di tale manipolazi­one. L’autore britannico George Orwell era un pessimista culturale. Ha predetto a metà del secolo scorso che stava arrivando «un’epoca di dittature totalitari­e». Orwell non sapeva ancora nulla dei gruppi Internet che vogliono controllar­e l’opinione pubblica. Ma era ben consapevol­e di cosa fosse la libertà. «Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire». Sarebbe ora di difendere il libero dibattito dal potere interpreta­tivo di «Big Tech». * dal «Nebelspalt­er» del 14.10.2021

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