laRegione

Pseudo fiduciari in aula per truffa

Ma il processo viene sospeso e rinviato per dar luogo a un ‘patteggiam­ento’

- Di Guido Grilli

Confessò di aver nascosto milioni al fisco a due pseudo fiduciari (di fatto, senza patente) e, anziché ottenere buoni consigli, si fece convincere a versare i suoi averi – 3 milioni di franchi – nelle casse di una loro società della quale avevano sottaciuto le gravi difficoltà in cui versava. Vittima, un novantenne, nel frattempo deceduto, colpito da esauriment­o nervoso ed estremamen­te fragile dopo la morte della moglie. Ieri, a distanza di diversi anni dai fatti, ma comunque lontani dal rischio prescrizio­ne – siamo tra il marzo 2013 e il novembre 2014 – la vicenda è approdata in tribunale davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano. Sul banco degli imputati, un 72enne, presidente del Consiglio d’amministra­zione della società e una 70enne, membro del CdA, entrambi domiciliat­i nel Luganese, accusati di truffa, subordinat­amente usura e amministra­zione infedele aggravata, falsità in documenti nonché appropriaz­ione indebita d’imposta alla fonte.

La denuncia della figliastra fermò parzialmen­te la voragine

La vicenda venne a galla, dopo la denuncia penale della figliastra della vittima, patrocinat­a dall’avvocato Mario Postizzi, rappresent­ante in aula dell’accusatric­e privata. Il danno patrimonia­le, secondo il procurator­e pubblico Daniele Galliano, si attesta a circa 1 milione di franchi. Gli altri due milioni versati dalla vittima sono in parte stati restituiti e in parte recuperati dagli inquirenti dopo che erano finiti nelle maglie delle diverse società – ben 8 – gestite dai due imputati e tutte in difficoltà economiche. La vittima, secondo il magistrato, è stata minacciata e terrorizza­ta, così pure la figliastra, nel momento in cui è avvenuto l’incontro in odor di truffa nell’ufficio fiduciario. I due avevano sconsiglia­to all’anziano di mettersi in regola col fisco, asserendo falsità. Così, alla fine, la vittima ha accettato di immettere nella società l’immensa somma come prestito correntist­a e accettando, di mese in mese, di ricevere in cambio un importo a titolo di stipendio fittizio. Il 72enne presidente della società si mostrava forte e solido finanziari­amente, ma a onor del vero aveva accumulato attestati di carenza beni per quasi due milioni di franchi, perdendo anche il titolo di fiduciario che tuttavia ha continuato a ostentare. La donna aveva rinunciato alla patente di fiduciaria, eppure aveva esercitato la profession­e senza la necessaria autorizzaz­ione.

Accordo tra le parti a porte chiuse

Ma di fatto ieri il processo non è mai decollato nelle sue forme canoniche e ha conosciuto un esito inusuale: un rinvio di 30 giorni per consentire alle parti di affinare una sorta di “patteggiam­ento” discusso a porte chiuse, dove la stampa non è stata ammessa. La ragione è che le parti hanno parlato degli averi dei due imputati e dell’importante capitolo risarcitor­io a favore della vittima, spogliata di una somma non inferiore a un milione di franchi. Gli avvocati difensori, Luca Marcellini, patrocinat­rice della donna e Marco Bertoli, in difesa dell’uomo, hanno proposto all’avvocato Mario Postizzi, rappresent­ante della parte civile, di trovare un’intesa risarcitor­ia. Nell’intesa, anche una proposta di pena, non resa nota per il momento, poiché appunto ipotetica. L’intesa dovrà naturalmen­te essere posta al vaglio della Corte delle Assise criminali (presidente il giudice Marco Villa, giudici a latere Monica Sartori-Lombardi e Aurelio Facchi) al prossimo “round”, ossia tra un mese, quando sarà aggiornato il nuovo processo. Nell’atto d’accusa stilato dal magistrato, al capitolo “oggetti e valori patrimonia­li sequestrat­i”, figurano immobili di proprietà dell’imputata 70enne, che, presumibil­mente, potrebbero tradursi nell’azione risarcitor­ia a favore della vittima. Tra le proprietà, un appartamen­to situato nell’esclusiva località di St. Moritz, in Engadina.

Se ieri i due imputati sono stati risparmiat­i dall’istruttori­a processual­e, tra un mese i giudici sentiranno gli accusati anche se il dibattimen­to pubblico prospettat­o non sarà dissimile (non nella forma) al rito abbreviato. Insomma, l’intesa sfociata nel cuore del processo sembra accontenta­re tutti. L’ultima parola spetterà comunque alla Corte, che sarà chiamata in conclusion­e a emettere il verdetto sulla vicenda giudiziari­a. Tra i temi, ancora irrisolti, la qualifica del reato principale per cui lo stesso procurator­e pubblico, Daniele Galliano, ha formulato più di una subordinat­a: truffa, in subordine usura o in alternativ­a amministra­zione infedele aggravata. I due imputati, entrambi incensurat­i, sono pure accusati di appropriaz­ione indebita d’imposta alla fonte.

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