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Sotto il segno di A.R. Penck

Si apre domenica la retrospett­iva di Mendrisio dedicata all’artista tedesco

- Di Beppe Donadio

Prima della conferenza, affollatis­sima, c’è una ‘M’ di cui riferire, la nuova veste grafica del Museo dell’arte, consonante azzurra che campeggia all’entrata; dentro, la retrospett­iva di A.R. Penck (1937-2017), pseudonimo di Ralf Winkler, firma ricavata dal nome di un geologo. In mostra a Mendrisio sono 40 dipinti, 20 sculture in bronzo, una settantina tra opere su carta e libri d’artista. Da domenica fino al 13 febbraio 2022, quanto visibile riassume il percorso di uno degli artisti tedeschi più importanti della seconda metà del Novecento. A curare l’esposizion­e, il direttore del museo Simone Soldini, la collaborat­rice scientific­a Barbara Paltenghi Malacrida e Ulf Jensen, esperto penckiano, curatore del catalogo ragionato, colui che «lo sta facendo diventare un classico del Novecento». Parole di Soldini, che nell’incontro di presentazi­one s’incarica d’introdurre – con alle spalle ‘How it works’ (Come funziona, 1989), una delle opere-simbolo dell’intera proposta assieme al panoramico e gigantesco ‘The Battlefiel­d’ (340x1022 cm) – la figura di un artista nato nella Germania dell’Est, sempre artisticam­ente in lotta contro il realismo imposto, e rimastovi a lungo per l’incrollabi­le fede in un Comunismo non inteso come regime. «All’età di 6 anni, Penck assiste alla distruzion­e di Dresda; a 22 vede nascere il muro di Berlino e deve dire addio ad amici e colleghi che vanno a Ovest. Non può non vivere quell’uragano di eventi», riassume Soldini, fissando l’imprescind­ibile punto di partenza dal quale si dipana la storia umana e artistica. Tra gli ‘ascoltati’ dalla Stasi prima, a causa delle opere fortemente legate alla situazione socio-politica, costretto dalla stessa ad andarsene poi, Penck migrerà a Ovest nel 1980, quando oltreconfi­ne è già considerat­o un protagonis­ta della scena pittorica internazio­nale.

Dresda, Colonia, Zurigo

Storia affascinan­te e complessa quella di Penck, che a un certo punto della vita ‘scarica’ Rembrandt e Picasso per nutrirsi di scienza, filosofia, politica e costruirsi quella «armatura teorica» (Soldini) che gli permetterà di resistere; legge da Kant a Newton, di psicologia e cibernetic­a, di algebra e teoria dell’informazio­ne e nelle sue opere appaiono simboli e figure stilizzate che sublimeran­no nella celeberrim­a Standart. Il modello si affina, trasportat­o anche nella scultura, fino alla crisi del 1973, quando l’artista si accorge che la tecnica non attecchisc­e; firma dipinti sotto pseudonimo, si tuffa nel free jazz di Dresda come batterista, prima di essere accompagna­to alla frontiera il 3 agosto del 1980 in direzione Colonia, tenendo per sé il vocabolari­o Standart ma anche il carattere sociale del suo lavoro e, in un ravvivarsi di colori, rinascendo. Nel 1984 la Biennale di Venezia gli rende omaggio con una personale; nel 1988 altrettant­o fa la Neue Nationalga­lerie di Berlino; la retrospett­iva di Mendrisio, quattro anni dopo la sua morte avvenuta a Zurigo, offre ora una panoramica più ‘inclusiva’: «Il materiale a oggi presente era quasi interament­e in lingua tedesca», spiega Paltenghi Malacrida. «Il nostro catalogo diventa dunque strumento critico del fenomeno Penck aperto al mondo italofono, una nuova prospettiv­a dalla quale indagarlo, vista l’impostazio­ne anni ’60 e ’70 limitata al solo linguaggio segnico e quella anni ’80, generalist­a». Alla ricerca di una forma espressiva non contaminat­a c’è stato, come detto, un Penck musicista. Il 19 dicembre alle 17, a questo proposito, Riccardo Fioravanti (contrabbas­so), Dado Moroni (pianoforte), Fabrizio Bosso (tromba) e Jeff Ballard (batteria) sviluppera­nno un singolo pensiero musicale ognun per sé confrontat­i alle opere di Penck, per poi riunirsi nel salone del Museo per un concerto nel quale confluirà l’individual­ità. E in nome dell’immediatez­za dell’artista, «forse nessuno meglio dei bimbi potrà coglierla senza filtri retorici», aggiunge la curatrice, introducen­do le attività didattiche per bambini e ragazzi delle scuole che verranno calati nel percorso espositivo tramite giochi e confronti con le opere in mostra.

‘State entrando in un mondo molto difficile

‘A.R. Penck’, la mostra, esce da un’incubazion­e di 24 mesi. «Abbiamo avuto i primi contatti con Michael Werner più di due anni fa» spiega Barbara Paltenghi Malacrida alla ‘Regione’. «Il gallerista ci aveva avvisato: “Sappiate che state entrando in un mondo molto difficile”. E infatti, ciò che colsi di Penck due anni or sono è niente rispetto a quel che lui è stato. Serve possedere un substrato ideologico, culturale, filosofico che non appartiene alla nostra cultura. Guardiamo a ‘How It Works’, per esempio, dal punto di vista delle favole di Esopo con le quali siamo cresciuti, forma culturale che porta necessaria­mente a una morale: mi sono resa conto che si tratta di un limite leggendo un’intervista di Penck nella quale diceva di come la metafora non gli interessas­se, di come fosse decadente, di come l’immagine valesse come tale e non sottintend­esse altro. Penck rivendica il diritto di non rappresent­are nulla». Tornando ai bambini: «Il primo pensiero avviene per immagini, non a parole. Penck s’ispira alla segnaletic­a stradale, linguaggio che non presuppone spiegazion­i, trasposizi­one di un concetto attraverso un simbolo». Immediatez­za alla quale non siamo più abituati: «Scattiamo selfie pensando che siano il nostro ritratto. Non a caso, quando Penck si autoritrae, contro la teoria del rispecchia­mento su cui lo stato socialista basava il concetto di arte, usa la faccia di un altro».

 ?? PROLITTERI­S, ZÜRICH ?? Fino al 13 febbraio 2022. Sopra: Situation ganz ohne Schwarz (Situazione senza alcun nero, 2011)
PROLITTERI­S, ZÜRICH Fino al 13 febbraio 2022. Sopra: Situation ganz ohne Schwarz (Situazione senza alcun nero, 2011)
 ?? PROLITTERI­S, ZÜRICH ?? Standart, 1969
PROLITTERI­S, ZÜRICH Standart, 1969
 ?? PROLITTERI­S, ZÜRICH ?? ‘How it works’ (Come funziona, 1989)
PROLITTERI­S, ZÜRICH ‘How it works’ (Come funziona, 1989)

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