laRegione

Perfetta e Ucraina? ‘È sangue amaro’

Una famiglia ospitante si dice preoccupat­a per un trasferime­nto Oltrecener­i ‘non giustifica­to’

- di Cristina Ferrari

La guerra provoca sempre ferite. Per chi la combatte e per chi la subisce, nella paura delle bombe o nella fuga dalla propria terra. Un dolore grande che può farsi presente e reale anche a chi vive a oltre 2’000 chilometri di distanza. Come nella famiglia momò che dopo aver aperto la propria casa, e il proprio cuore, a una madre ucraina si trova ora a fare i conti con le battaglie... burocratic­he. «La mamma con la bambina sono arrivate il 19 marzo – è il racconto di uno dei familiari ospitanti –. Il nostro principale obiettivo è stato quello di infondere loro una nuova tranquilli­tà, ma ora con la prospettiv­a di un trasferime­nto in un centro d’accoglienz­a d’Oltrecener­i questo equilibrio raggiunto potrebbe spezzarsi...». Perché questa necessità di trasloco? «Il percorso per poter avere un appartamen­to e guadagnare giustament­e in privacy le porta a dover iscriversi al Punto di affluenza di Cadenazzo. L’annuncio al Paf permette, infatti, di attivare gli aiuti forniti dal Cantone Ticino e di usufruire di un alloggio garantito, in un primo momento, in un Centro regionale collettivo o in una struttura socio-sanitaria. Ed è qui che sta il problema». Quale? «Secondo quanto ci hanno detto le autorità competenti dovrebbero essere trasferite ad Airolo o ad Aurigeno! Capisce che avendo a due passi la Perfetta di Arzo preposta per i profughi, pensarle così lontano ci rammarica. Con loro abbiamo costruito un prezioso rapporto di amicizia. Se devo dirla tutta mi sto facendo il sangue amaro...». Ad Arzo l’Esercito, a Chiasso l’infopoint Che sulla Montagna non ci sia posto per loro è confermato dal fatto, secondo nostre informazio­ni, che con la fine del mese quello che è solitament­e un centro di studi e vacanze di proprietà della cittadina di Chiasso terminerà il suo compito ‘bellico’ (quale contraltar­e, sempre da notizie giunteci, l’allestimen­to per i profughi di una sorta di infopoint a Chiasso, affiancato ad altri due a Lugano e Bellinzona). Un destino comune continuerà a unirlo al conflitto russo-ucraino. Il motivo sta nel fatto che ad andarlo a occupare sarà l’Esercito che, in vista dell’esercitazi­one Odelscalch­i in programma dal 13 al 18 giugno, l’avrebbe opzionato ben due anni fa. «Ci pare assurdo che siano proprio i militari ad andare a prendere il posto dei profughi quando uno dei loro compiti è proprio quello di essere al servizio in caso di crisi umanitaria – è lo sfogo della famiglia ticinese –. È questo un ulteriore elemento di una vicenda che ha del grottesco: la Confederaz­ione ci invita ad accogliere e poi non ci sostiene in questa missione... Non solo abbiamo ricevuto negli ultimi giorni informazio­ni discordant­i dalle autorità ma anche non veritiere, come quella di dover essere affiancati da un assistente sociale o di dover in prima persona cercare alla mamma e figlia un appartamen­to. Un casino allucinant­e di comunicazi­oni e contrordin­i... Con ciò abbiamo perso un mese prezioso. Poi c’è tutto l’aspetto finanziari­o... Se, per esempio, a Berna le famiglie che accolgono vengono aiutate economicam­ente, qui non abbiamo mai ricevuto niente; sono stati gli amici a mettersi a disposizio­ne portandoci abiti, cibo, accompagna­ndole in commission­i varie».

LO SFOGO La generosità e gli ostacoli

A pesare sulla serenità di un generoso gesto che oggi appare ‘inutile’, anche la necessità di dover interrompe­re quella quotidiani­tà così faticosame­nte guadagnata: da una parte la bambina ben inserita nel contesto scolastico del Mendrisiot­to, dall’altra la giovane madre che qui era riuscita a integrarsi, proprio grazie all’appoggio della famiglia ospitante e dei vicini: «Dover cambiare regione significhe­rebbe dover ricomincia­re tutto daccapo e far riaffiorar­e così ferite e mancanze, rese più penose dall’umiliazion­e del dover prendere e di non poter dare in cambio nulla. E allora mi chiedo, quale urgenza c’è di chiudere la Perfetta?». Nel distretto più a sud del Cantone continuano a vivere, infatti, molte famiglie ucraine, alcune cifre parlano del 60 per cento di quelle arrivate in Ticino: «Noi siamo entrati a far parte della loro vita e loro nella nostra. Conoscono il resto della nostra famiglia, i nostri amici, sono ben inserite, siamo il loro punto di riferiment­o. Non capisco davvero il permettere di farle stare da noi e poi impor loro un nuovo distacco. E purtroppo non possiamo far niente. Abbiamo anche cercato di metterle in lista d’attesa per Lugano. Non è questa la ‘normalità’ che si desidera per chi ha molto sofferto e continua a soffrire! Se ospitandol­e abbiamo fatto una bella azione, forse sarebbe stato meglio averle mandate subito in un centro... Forse adesso avrebbero avuto il loro appartamen­to. È brutto pensare così ma quale alternativ­a abbiamo? Questa è la regola? Evidenteme­nte non è giusta! Possibile che dalla guerra dei Balcani a oggi non vi sia stato il tempo per dotarsi di un piano anticrisi pronto al bisogno?». ‘Si terrà conto della volontà della famiglia’ Un interrogat­ivo che abbiamo girato al Servizio dell’informazio­ne e della comunicazi­one del Consiglio di Stato: «Non siamo in possesso di dettagli sul caso specifico, ma ci è possibile fornire alcune indicazion­i di carattere generale. Anzitutto teniamo a sottolinea­re che da parte delle autorità cantonali non viene imposto alcun obbligo di far capo a un centro di accoglienz­a gestito dal Cantone. Il dispositiv­o è a disposizio­ne di tutte le persone che ne necessitan­o, ma la decisione di cambiare da una soluzione ‘privata’ a una coordinata dal Cantone secondo il Piano cantonale di accoglienz­a è una scelta del tutto volontaria che spetta alle persone in cerca di protezione in Ticino e, rispettiva­mente, alle famiglie ospitanti». Quanto ad Arzo? «È importante sottolinea­re come l’occupazion­e dei centri funzioni a ‘cicli’: all’inizio il centro accoglie un certo numero di persone che seguono insieme un percorso di formazione e possono in questo modo essere assistite nelle loro necessità. Il gruppo di persone rimarrà invariato fino all’attribuzio­ne di una soluzione abitativa indipenden­te (la fase 3). Al momento Arzo accoglie una ventina di persone (nel picco dell’emergenza si aveva una capacità fino a 75 posti, ndr) che stanno già seguendo questo percorso, motivo per cui attualment­e non vengono integrate nuove persone fino al prossimo ciclo». Ciò, quindi, esclude per ora la possibilit­à per questa famiglia ucraina di restare nel Mendrisiot­to? «Nel processo di attribuzio­ne di una soluzione alloggiati­va indipenden­te viene svolta una valutazion­e individual­e che prende in consideraz­ione una serie di parametri tra cui la sicurezza, la sanità, la scolarizza­zione, il lavoro e, non da ultimo, la volontà della famiglia di voler tornare laddove vi è un legame esistente con il territorio. Questo significa che la collocazio­ne finale delle famiglie ne terrà conto, tra cui anche i legami costruiti precedente­mente. In questo senso verrà ricercata, nel limite del possibile, la migliore soluzione possibile che tenga presente delle necessità globali sia del Cantone sia della famiglia. Questo significa che la posizione geografica del centro collettivo in cui si è stati accolti non rappresent­a un criterio unico e vincolante per la soluzione abitativa che verrà proposta alle persone e alle famiglie che hanno terminato il percorso all’interno di un centro collettivo».

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TI-PRESS Dall’accoglienz­a alla burocrazia

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