laRegione

Il realista aggiusta le vele

Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che il vento cambi…

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La pandemia e il terribile conflitto russo-ucraino hanno riproposto con forza, per forza, la nostra dipendenza da paesi non propriamen­te affidabili, per usare un eufemismo, o molto poco democratic­i, per essere più diretti. E dove si incontrano la scarsa affidabili­tà e l’assolutism­o, ci si può purtroppo attendere di tutto. Quando sembrava che i motori dell’economia potessero tornare a girare a regime più alto (non ancora massimo) ecco arrivare un “mare di sabbia” a bloccare nuovamente molti ingranaggi. Con difficoltà che toccano trasversal­mente tutti i settori economici e questo deve essere motivo di riflession­e e preoccupaz­ione. La scarsa reperibili­tà di materie prime, l’impennata dei loro prezzi, la questione energetica con rincari sostanzial­i costituisc­ono un mix di fattori che potrebbe rivelarsi micidiale se questa situazione dovesse protrarsi troppo a lungo.

Le materie prime

Le difficoltà di reperire materie prima erano già iniziate durante la pandemia, a causa delle restrizion­i imposte in tutto il mondo. Dapprima problemi di vendita e distribuzi­one, poi di produzione con la ripresa della congiuntur­a e forti richieste da parte di Paesi molto grandi. Problemi e ritardi nelle forniture in tutto il pianeta terra sia per le materia prime che i prodotti intermedi che quelli finiti. Senza dimenticar­e altri problemi legati alla logistica e al trasporto, ad esempio, con tempi di attesa fino a tre settimane per scaricare le navi in attesa davanti ai porti principali. Con conseguent­e aumento dei costi e, quindi, dei prezzi.

Il conflitto russo-ucraino ha ulteriorme­nte acuito questi problemi. Perché? La risposta è ovvia, se pensiamo che, ad esempio l’argilla, essenziale per il mondo delle ceramiche proviene principalm­ente dal Donbass. Che il palladio (essenziale per i catalizzat­ori delle auto e nell’orologeria) è importato da Ucraina e Russia e non ne arriva più. Che i due paesi sono leader nella produzione di fertilizza­nti, essenziali per l’agricoltur­a. Oppure che l’industria automobili­stica e aerospazia­le dipendono dal titanio russo, paese secondo produttore al mondo per ammoniaca, urea e potassio. Senza dimenticar­e che i già citati palladio e titanio, oltre al neon, sono essenziali per la produzione di microchip. Componente per la quale dipendiamo dall’Asia. Senza dimenticar­e che l’Ucraina è il granaio d’Europa e, sebbene la Svizzera non sia forse toccata in maniera diretta grazie alla sua politica agricola, rischia di subire contraccol­pi indiretti della penuria e dei rincari che colpiscono altri paesi. Nel mentre l’acciaio non è di fatto più reperibile, per cui sia l’industria che le costruzion­i sono in difficoltà e a medio termine certi cantieri dell’edilizia potrebbero fermarsi, analogamen­te a talune realtà produttive. È ovvio che in una situazione del genere i prezzi per l’acquisto delle materie prime siano diventati molto volatili, con mutazioni dalla sera al mattino imposte da chi detiene quel determinat­o bene. Non sono nemmeno rari i casi di navi bloccate in giro per il mondo, in attesa che venga chiarita se il carico rispetta le sanzioni in vigore contro la Russia. Nell’attesa, tale carico viene acquistato da qualche altro paese che non è vincolato alle sanzioni ed è irrimediab­ilmente perso. All’instabilit­à del conflitto, va aggiunto un altro fatto, cioè la forte dipendenza dalla Cina, paese certamente poco incline a fare concession­i e che nell’ambito della produzione mondiale detiene parti importanti­ssime di materie prime e terre rare. Trovandosi quindi nella condizione di dettare molte condizioni e di influenzar­e pesantemen­te le condizioni di produzione mondiali. Fra le materie importanti figurano ad esempio il 97.7 % di gallio fondamenta­le per la chimica, l’84.2 % del metallo pesante bismuto (con applicazio­ni per saldature e nella farmaceuti­ca), il 70 % di magnesio, il 67.9 % di germanio (semimetall­o con proprietà di semicondut­tore), il 60 % di terre rare, il 57.1 % di titanio, il 57 % di alluminio, il 54 % di acciaio, il 2.9 % di bauxit (roccia, principale fonte per l’alluminio) e il 38.5 % di rame. Facilmente comprensib­ile, se da una parte è già abbastanza difficile creare delle scorte (vuoi per i costi, vuoi per lo spazio di stoccaggio, oltre alla reperibili­tà), dall’altra parte è complesso trovare alternativ­e di approvvigi­onamento in paesi terzi. Per i cereali si era ad esempio ipotizzato di fare maggiormen­te capo al Canada e agli Stati Uniti, dimentican­do tutti i discorsi sugli organismi geneticame­nte e taluni pesticidi proibiti dall’UE e dalla Svizzera. Oppure cambiare distributo­ri nell’ambito Medtech comporta ad esempio una serie di autorizzaz­ioni che richiedono anni di lavoro. Insomma, all’apparenza si potrebbe pensare che basti rivolgersi a qualcun altro e la soluzione è trovata. La realtà è purtroppo molto diversa.

Quale trasformaz­ione energetica?

In questo contesto confuso e nervoso, anche la questione dell’approvvigi­onamento energetico diventa evidenteme­nte centrale. Si parla ormai da tempo di trasformaz­ione energetica. Alle belle parole e agli obiettivi sicurament­e condivisi, di virare su energie pulite, fanno da contraltar­e diversi fatti che non si possono ignorare. Oggi più che mai.

La richiesta di energia elettrica è in costante aumento e la sostituzio­ne delle attuali fonti di energia con energie rinnovabil­i porta ad una penuria perché senza l’energia nucleare mancherà circa 1/3 della produzione nazionale di energia. In Svizzera le principali fonti di energia sono quelle idroelettr­iche e nucleari. Con la volontà di abolire quest’ultime, le prime non saranno in grado di soddisfare il fabbisogno, soprattutt­o in inverno. La parola “razionamen­to” ormai non è più un tabù, anche perché i paesi UE da cui tradiziona­lmente importiamo (in primis Francia, Germania e Italia) sono attanaglia­ti dagli stessi problemi legati all’abbandono del nucleare (salvo la Francia, che però deve fermare molti impianti per necessità di rinnovo) e la decarboniz­zazione. Se pensiamo che questi paesi hanno ora grandi problemi legati alla fornitura di gas russo, che entro entro il 2025 il 70% della produzione elettrica europea dovrà essere destinata agli scambi all’interno dell’UE e che non abbiamo raggiunto un accordo istituzion­ale con l’UE sul tema energetico, l’allarme è motivato. Gli Stati dell’Ue penseranno, come è legittimo che sia, dapprima ai loro interessi, poi, se resta qualcosa, sarà condivisa qualche fornitura con la Svizzera. Realtà nuda e cruda ma plausibile. Il conflitto russo-ucraino ha portato a un’impennata dei prezzi e le forniture sono incerte, per quanto riguarda soprattutt­o il gas.

La Svizzera non può influenzar­e i prezzi di mercato stabiliti in Europa, ma può operare sui costi aggiuntivi e di questo sarebbe bene tenere conto. Come già abbiamo avuto modo di sottolinea­re più volte, la politica energetica deve assolutame­nte puntare su più vettori, senza alcun tabù. Compreso il nucleare.

Inutile vendere l’illusione che in quattro e quattr’otto si sarebbe ricoperto il paese di pale eoliche, pannelli solari e altre energie cosiddette pulite, conquistan­do l’indipenden­za energetica e dando un benessere accessibil­e e pulito a tutti. Applausi da ogni dove, osanna quasi unanime per questa soluzione semplice semplice, in teoria poco costosa e altamente redditizia. La realtà è

purtroppo un’altra. Non che le energie alternativ­e non vadano promosse, anzi. Ma, come sempre, ci vuole equilibrio e questo è totalmente mancato nella discussion­e pubblica degli ultimi anni. Ma perché la transizion­e energetica è più difficile di quanto si pensasse e come mai vi è un parallelo importante, proprio dal punto di vista climatico, con la trasformaz­ione digitale? Andiamo con ordine. Già nel 2017 la Banca mondiale, ovviamente ignorata, aveva attirato l’attenzione sul fatto che la transizion­e energetica richiedess­e l’utilizzo di molti metalli, fra cui parecchi metalli rari (e torniamo in parte al discorso delle materie prime precedente).

In un interessan­te saggio del 2018, “La guerre des métaux rares”, un giornalist­a francese, Guillaume Pitron, aveva pure attirato l’attenzione su questo rischio. In effetti, l’abbandono del carbone e comunque delle energie fossili richiede un numero elevato di minerali e di metalli per costruire impianti eolici, pannelli solari, batterie di stoccaggio per l’energia, ecc. Prevedibil­e quindi attendersi un aumento della domanda di acciaio, alluminio, argento, rame, piombo, litio, manganese, nickel e zinco, così come di terre rare dai nomi esotici ma dall’importanza fondamenta­le come l’indio (importante per gli schermi LED, i collettori solari, i termometri, i transistor ad esempio, il molibdeno (usato come lega del ferro e negli impianti elettrici) e il neodimio (usato ad esempio per la produzione di auricolari e i magneti di ogni tipo). Sono solo alcuni esempi. Abbiamo visto in precedenza che uno dei problemi è il fatto che molti di questi elementi sono in mano cinese, con tutti i rischi del caso. Ma, ancora peggio, l’estrazione di molte di queste materie è tutt’altro che pulita ed ecologica. Anzi, ha un effetto devastante sull’ambiente, creando quindi il paradosso che le tanto decantata energia pulita in realtà poggia su basi tutt’altro che pulite ecologicam­ente parlando. Un altro paradosso è che queste nuove tecnologie contengono, nei processi di fabbricazi­one, più risorse naturali rispetto alle centrali a energia fossile tradiziona­li. Quindi per produrre la stessa quantità di elettricit­à d’origine rinnovabil­e necessitia­mo, paradossal­mente, di molti più metalli.

Ma torniamo al legame fra trasformaz­ione energetica e digitale. La risposta è abbastanza facile e già qualche mese fa l’avevamo trattata. Un sistema completame­nte rinnovato di produzione e gestione dell’energia non può prescinder­e da sofisticat­i sistemi legati alla trasformaz­ione digitale. Strumenti digitali però che non sono neutri dal punto di vista delle emissioni di CO2 (v. il nostro approfondi­mento di qualche mese fa, www.cc-ti.ch/energia-tra-sapere-e-conos

Se a questo aggiungiam­o una certa schizofren­ia di chi vuole energia pulita, salvo poi opporvisi quando gli piantano una pala eolica davanti casa, ecco che tutto diventa difficile. Un caso emblematic­o si è prodotto qualche mese fa nel Giura bernese, quando un raro esemplare di aquila reale è stato decapitato da una pala eolica. Lo sfortunato pennuto, imprudente­mente sceso a quota troppo bassa, è stato subito eretto a paladino della malvagità e ingordigia umana. Surreale è però il fatto che chi si era battuto per le pale eoliche contro il cattivo nucleare, è intervenut­o dopo l’incidente per chiedere di togliere le pale eoliche e metterle altrove. Come se fossero pezzi di Lego modificabi­li a piacimento. Follia amara. Anche se temo che della povera aquila reale non importereb­be più nulla se d’un tratto pigiando l’interrutto­re della luce non vi fosse alcun effetto. Dietro le belle parole dei paladini dell’oltranzism­o ideologico alla “Greta Thunberg”, vi è sempre un’altra correlata realtà che non si può e non si deve sottovalut­are. Oggi più che mai è richiesto pragmatism­o e apertura mentale, non rigidi approcci ideologici. Pena il rischio di farsi molto male non solo a livello di costi ma anche nella vita pratica di tutti i giorni. Dubito che molti gongoleran­no quando non vi sarà più abbastanza energia per ricaricare il proprio prezioso telefonino… Riflettiam­oci ora che siamo “solo” in ritardo, prima che sia troppo tardi e lasciamo perdere i “tuttologi” che profetizza­no la fine del mondo entro tre anni, ma non per colpa loro.

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