Cantoreggi, ‘è stato assassinio’
L’accusa ha richiesto 17 anni per il 35enne austriaco. Attimi di tensione fuori dall’aula.
È tornato ieri davanti ai giudici il cittadino austriaco 35enne (nativo di San Gallo), in carcere da due anni e mezzo, autore del delitto che ha visto vittima Matteo Cantoreggi, colpito con pugni e calci nella propria stanza della pensione La Santa di Viganello il 17 dicembre 2019. Dopo la condanna a 4 anni e 3 mesi inflitta lo scorso anno dalle Criminali di Lugano (presidente il giudice Amos Pagnamenta) per il reato di omicidio per omissione, sia la pp Valentina Tuoni – che per l’imputato aveva richiesto 17 anni per assassinio o, in subordine, omicidio intenzionale e l’espulsione dalla Svizzera per 15 anni – sia l’avvocato Stefano Pizzola, rappresentante degli accusatori privati (i familiari della vittima e la fidanzata, presenti in aula) hanno riformulato alla Corte di secondo grado le stesse richieste. Al termine del processo, fuori dall’aula, ci sono stati attimi di tensione quando alcuni familiari della vittima hanno inveito contro l’imputato e la sua legale.
Tre liti nella stanza dell’imputato
La Corte di appello e revisione penale (presidente il giudice Angelo Olgiati; giudici a latere Ilario Bernasconi e Attilio Rampini e assessori giurati) ha ripercorso le circostanze del delitto. L’austriaco risiedeva dall’ottobre 2019 nella pensione, dove alloggiava in una stanza al secondo piano. Due stanze più in là c’era quella di Matteo Cantoreggi. L’imputato ha ribadito che le giornate in pensione con Matteo e altri ospiti trascorrevano, salvo la terapia del mattino a Ingrado, «parlando di ogni argomento, consumando alcool e stupefacenti». C’erano stati diverbi con Cantoreggi?, ha chiesto il presidente della Corte. «Sì, 5-6 giorni prima del 17 dicembre, abbiamo avuto un primo litigio. Poi ne sono seguiti altri due. Quello che ricordo, ma non voglio fare confusione, è che dopo aver fumato una canna lui mi ha tirato uno schiaffo e gli ho detto di non più rifarlo. Lui l’ha rifatto e io l’ho colpito con pugni e ginocchiate. Ha iniziato a sanguinare e l’ho portato fuori dalla mia stanza. Poi qualcuno lo ha portato nella sua camera e più tardi l’ho sentito russare. Il giorno dopo abbiamo fatto pace, anche perché non c’era motivo per litigare. Matteo era blu in faccia ma mi ha risposto che non era grave e che era abituato a picchiarsi». Qualche giorno dopo, una seconda lite. La gerente della pensione aveva chiamato la polizia. Il 17 dicembre 2019, il giorno della tragedia, «si passava dalla sua alla mia camera a bere alcool e fumare canne. Io ero sul mio letto, se ricordo bene» ha evocato l’imputato. «Matteo aveva appena litigato con un altro ospite della pensione e l’ho fermato. Poi siamo andati nella mia stanza, Matteo e l’altro erano sul mio letto, io in piedi. Matteo ha iniziato a darmi di nuovo fastidio, tirandomi calci sugli stinchi. A un tratto s’è alzato e voleva colpirmi con un pugno. Sono riuscito a schivarlo ma mi ha colpito con un dito nell’occhio e un altro pugno. A questo punto l’ho colpito con trequattro pugni in faccia ed è caduto sul letto. Poi l’ho trascinato fuori dalla stanza, dapprima in corridoio, poi nella sua stanza, per terra». Poi cosa ha fatto?, ha chiesto il giudice. «Sono tornato nella mia camera e, con l’altro ospite della pensione, abbiamo spostato Matteo sul suo letto. Lo abbiamo messo sul fianco. Ho visto che aveva il viso insanguinato. Quindi siamo tornati nella mia stanza. Dopo un po’ di minuti sono tornato da Matteo per sentirgli il polso e non si sentiva nulla. Ho chiamato l’altro ospite, che ha fatto lo stesso. Ho dunque chiamato l’ambulanza». L’esito è stato letale.
La pp Valentina Tuoni ha ribadito le richieste formulate in primo grado. «L’imputato l’ha riempito di pugni anche quando era sul letto. L’imputato mente. Cantoreggi viene trascinato nell’atrio mentre è privo di coscienza, come un sacco, come una cosa e ancora un calcio viene inferto dall’imputato, che prova il disprezzo per la vittima. È tutto ripreso dalle videocamere. L’imputato – ha proseguito il magistrato – sa che si può morire soffocati dal proprio sangue, eppure lo ha abbandonato. Ha atteso 20 minuti prima di andare a vedere come stava Cantoreggi. È colpevole di omicidio per dolo eventuale: pur non volendolo, ha accettato che ciò potesse avvenire». La pp Tuoni ha chiesto alla Corte di valutare «se nel freddo ed egoistico comportamento adottato dal 35enne austriaco, non possa essere ammesso il reato di assassinio». Identiche le richieste di pena formulate dal magistrato rispetto al primo grado: 17 anni di carcere e 15 di espulsione. Dodici anni di carcere, invece, se la Corte decidesse di ammettere l’omicidio intenzionale per dolo eventuale. L’avvocato degli accusatori privati, Stefano Pizzola, ha dal canto suo spiegato che i familiari si sono sempre prodigati nell’aiutare Matteo, afflitto da lungo tempo da alcolismo. Il legale ha stigmatizzato come alla pensione La Santa gli ospiti non venissero per nulla controllati e potessero consumare alcolici e droga a piacimento. Il patrocinatore ha spiegato che per i familiari la condanna di primo grado, 4 anni e 3 mesi, «è stata per loro un ulteriore shock» per la mitezza. Un altro punto messo in rilievo: le arti marziali praticate dall’austriaco «di cui si vantava». «Matteo è stato picchiato a morte, ucciso per motivi futili». Richiesti infine risarcimenti di 40mila franchi a favore del padre di Cantoreggi e della nonna.
La difesa: manca il nesso di causalità
L’avvocato di difesa, Letizia Vezzoni, ha dichiarato che la sentenza di primo grado ha centrato la vicenda, escludendo sia l’assassinio sia l’omicidio intenzionale per dolo eventuale. «Non si può valutare il caso con una lucidità a posteriori. Dobbiamo guardare la vicenda non con i nostri occhi, bensì con quelli dei protagonisti della vicenda». Per la difesa, «la reazione del mio assistito, brutta e inaccettabile, ha fatto seguito alle provocazioni di Cantoreggi». Il medico legale – ha evidenziato la difesa – ha spiegato che le lesioni inferte alla vittima non erano sufficienti a condurre alla morte. Manca dunque il nesso di causalità. La difesa ha chiesto una pena massima di 3 anni. L’imputato, in chiusura, ha dichiarato: «Non ho mai voluto che Matteo morisse. Non doveva finire così».