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Il Vescovo e la marmellata

- di Cristina Ferrari

Ci chiediamo se sia stata la recente entrata in vigore del nuovo sistema penale canonico a risvegliar­e le sopite promesse di ‘giustizia’ che da qualche tempo a questa parte la Chiesa è ben attenta a predicare. Nel caso di un parroco del Mendrisiot­to ci pare proprio di sì. Come giustifica­re altrimenti un ripetersi di atteggiame­nti sconvenien­ti e mai ripresi come la ‘norma’ diversamen­te imporrebbe? Norma che, come ci indicano le rinnovate sanzioni canoniche, entrate in vigore l’8 dicembre scorso, si traduce nella chiara e non interpreta­bile ‘tolleranza zero’. Basta silenzi, basta scuse, basta... indulgenza!

Sui fatti in questione c’è, inoltre, un appunto in più. Perché non intervenir­e subito su quel ‘comportame­nto già verificato­si in passato’ (espression­e utilizzata dalla Diocesi di Lugano nel comunicato stampa seguito al fermo sabato del prelato, ubriaco al volante, al di là del confine)? Perché mostrarsi misericord­iosi per le accuse di molestie nei confronti del sacerdote e utilizzare il pugno di ferro solo al momento di un’intemperan­za verso la polizia italiana, scatenata dalla facile, e pare ripetuta nel tempo, alzata di gomito? È forse meno grave molestare giovani donne in discoteca o ai margini di una festa dove il prete era stato invitato dopo aver impartito un Sacramento? Fortunatam­ente, la riforma messa in atto su stimolo di papa Francesco del diritto della Chiesa, ha indicato la via: misericord­ia e giustizia sono indissolub­ili, come ha ricordato su queste colonne il professor Bruno Fabio Pighin, curatore di quello che è un cambiament­o radicale. Perché ‘se la giustizia senza misericord­ia diventa sì crudele, la misericord­ia senza giustizia è madre della dissoluzio­ne e dell’arbitrio’. Quell’arbitrio che il Vescovo (…)

(…) di Lugano ci pare aver preferito in occasione di ormai diverse ‘spine nel fianco’ in seno al clero ticinese (incardinat­o o presente in quanto ‘prestato’ da altra giurisdizi­one diocesana). Si perdona, dunque, il don con precedenti e gravi problemi finanziari, e anzi lo si ‘premia’ affidandog­li la vicepresid­enza di un Consiglio parrocchia­le, con la possibilit­à, fin troppo facile, di mettere mano alla cassa; si perdona, con un semplice trasferime­nto, il parroco alle prime voci di amicizie fin troppo strette con le adolescent­i oratoriane. Entrambi condannati poi per la giustizia terrena.

Monsignor Lazzeri, e il suo ufficio stampa, hanno invece sempre scelto il profilo basso. Per tutelare le vittime? No, nel rispetto della privacy della persona coinvolta. Il prete. Quella stessa riservatez­za e difesa che (magari) si dovrebbe accordare a chi, invece, ne subisce la smodatezza e la mancanza di controllo, con una corsia preferenzi­ale se si veste un abito talare o se si è alla guida di un’auto intestata alla Parrocchia, e dunque a tutti i fedeli. Ancora una volta le voci sulla dipendenza del prete circolavan­o e anziché intervenir­e a gamba tesa così da aiutarlo in una sua... redenzione, gli si è data la possibilit­à di varcare la frontiera dove il suo volto e il suo ‘vizietto’ erano sconosciut­i. Qui, ripetutame­nte e ulteriorme­nte, si è lasciata, neppure troppo ingenuamen­te, la marmellata sul tavolo. Per poi intimargli, a vasetto ormai vuoto, ‘adesso basta’.

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