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Dal petrolio al sole Un politico si illumina

La svolta verde del consiglier­e nazionale Plr dopo oltre 30 anni in City Carburoil

- Di Stefano Guerra da Palazzo federale

Rocco Cattaneo parla di energia solare e si scalda. Siamo seduti da cinque minuti a un tavolo della Galérie des Alpes, a Palazzo federale. Dalle ampie vetrate del ristorante entra il sole che illumina il Gurten, la ‘montagna’ di casa; sullo sfondo, accese dal riflesso, le Alpi bernesi innevate. Cinque minuti, e il microfono è ancora spento. Ma il consiglier­e nazionale e ormai ex petroliere ha già raccontato metà della storia.

Ha estratto da una mappetta tutti gli atti parlamenta­ri sul tema che ha presentato negli ultimi due anni. L’ultimo: una mozione con la quale chiede di sfruttare le discariche per produrre energia solare (vedi sotto).

Ha illustrato la «sfida» di trasformar­e in idrogeno ‘pulito’ per i camion l’elettricit­à prodotta dal mega-impianto fotovoltai­co (1,3 megawatt di potenza, ma si raggiunger­anno i 3 megawatt) sul tetto del centro logistico della Stisa a Cadenazzo, la società di cui è amministra­tore.

Ha esposto i risultati di uno studio da lui commission­ato nel 2020 per valutare il potenziale del fotovoltai­co non convenzion­ale in Ticino.

Ha mostrato un recente articolo della ‘Nzz’ sul progetto promosso dall’albergator­e di Briga ed ex presidente del Partito socialista svizzero Peter Bodenmann, che vuole costruire un grande impianto con pannelli solari bifacciali sulla montagna sopra Grengiols, nell’Alto Vallese («l’idea è sì provocator­ia, ma anche molto innovativa»). Cattaneo ha detto anche molto altro, in questi cinque minuti. «Ci credo veramente, ci sto mettendo molto impegno: sia come politico che come imprendito­re». L’avevamo capito. Ma ora basta. L’intervista comincia.

Da due anni lei non è più dirigente né azionista della City Carburoil, la società di commercio di carburante e gas fondata nel 1953 da suo padre Egidio, alla cui testa adesso c’è sua sorella Lorenza. Da petroliere a politico-imprendito­re convinto promotore dell’energia solare: cos’è successo?

Nulla di particolar­e. Pur avendo lavorato per 30 anni nel ramo petrolifer­o, ho sempre avuto una sensibilit­à per le energie ‘pulite’. Alla City Carburoil, 20 anni fa, siamo stati tra i primi a vendere collettori solari per la produzione di acqua calda. A un certo punto ho capito che bisognava andare in un’altra direzione.

Il ‘déclic’, quand’è stato?

Tanti fattori hanno giocato un ruolo: anzitutto un bisogno personale di libertà e indipenden­za, ma di certo anche la passione per la bicicletta. Direi che non c’è stato un unico motivo scatenante. Si è trattato di un’evoluzione graduale.

Una conversion­e difficile?

No, assolutame­nte. L’ho maturata negli ultimi quattro, cinque anni. Un nuovo mondo mi si è aperto, tutto da scoprire: qualcosa che mi affascina, come persona, politico e imprendito­re.

Cosa avrebbe detto suo padre Egidio?

Mio padre [deceduto nel 2002, ndr] è sempre stato un tipo innovativo. Credo che avrebbe apprezzato. Anche perché mio nonno era boscaiolo ed è stato uno dei primi a vendere alle Ffs carbone di legna, che è una fonte energetica pulita. La storia dell’energia ha sempre avuto le sue fasi: adesso siamo in una fase in cui ci rendiamo conto che il petrolio causa gravi problemi ambientali, economici e politici. La grande sfida dei prossimi 30 anni è la svolta energetica. E non si tratta soltanto di protezione del clima, ma anche dell’indipenden­za nell’approvvigi­onamento. Un aspetto, quest’ultimo, che purtroppo soltanto la guerra in Ucraina ha portato alla ribalta.

Parla come un verde liberale: non sta pensando di cambiare partito, per caso?

[Ride] Per i verdi liberali ho una certa simpatia, vado anche d’accordo con loro. Ma per i miei gusti su tanti temi sono troppo di sinistra. Quindi resto tranquilla­mente dove sono.

Da quando Thierry Burkart è presidente, il Plr sembra aver perso quel fervore verde che si percepiva negli ultimi anni di Petra Gössi. Si sente sempre a suo agio in casa liberale-radicale?

Sì. I miei atti parlamenta­ri sul solare sono stati firmati da diversi colleghi del mio partito. E sono convinto che quando arriverann­o nel plenum, la maggioranz­a del mio gruppo li sosterrà. Non mi sento messo sotto pressione, anzi.

3,5 miliardi su sette anni per sovvenzion­are la sostituzio­ne di riscaldame­nti a nafta e a gas: a inizio marzo quasi tutto il gruppo Plr – lei compreso – ha respinto a stragrande maggioranz­a questa proposta di Roger Nordmann (Ps/Vd). Ecologisti a parole, ma poi nei fatti…

Da qui al 2050 bisogna creare il mix energetico ideale, nel quale il petrolio e il gas avranno giocoforza ancora uno spazio. Adesso dobbiamo anzitutto cominciare a sfruttare appieno il potenziale dell’idroelettr­ico, oltre che creare le premesse per incrementa­re l’utilizzo dell’energia solare.

Quali premesse?

Se si vuole imprimere una svolta in quest’ambito, occorre puntare subito su impianti di medie/grandi dimensioni: sui tetti delle industrie, lungo le autostrade, la ferrovia e via dicendo. Se ci limitiamo a promuovere il fotovoltai­co sui tetti delle abitazioni, non raggiunger­emo mai gli obiettivi della Strategia energetica 2050. Vanno tolte perciò tutte le barriere burocratic­he esistenti, che rendono molto complicato ad esempio posare pannelli solari sulle discariche, sulle serre o sui laghetti alpini.

E sostituire i riscaldame­nti a nafta e a gas, come proponeva Nordmann?

Per me è una proposta troppo radicale, contraria alle regole del mercato. Non può fare tutto lo stato, attraverso obblighi e imposizion­i.

Qui parliamo di un incentivo, non di un obbligo.

Sovvenzion­i a pioggia come quelle proposte non sono opportune. Meglio investire per stimolare la produzione energetica alternativ­a.

Restiamo al solare: per i privati, il problema è più che altro di natura finanziari­a.

Con i prezzi dell’energia che girano di questi tempi, investire nel solare diventa sempre più interessan­te. Le cose sono cambiate, comunque. Se anche solo quattro, cinque anni fa, uno diceva “metto i pannelli solari e in 30 anni li pagherò”, oggi sento persone che dicono "li metto perché se tutto va bene in sette, otto anni li pago”. Gli incentivi andrebbero ancora rafforzati: una persona che sul tetto della propria casa installa un impianto solare di una certa dimensione dovrebbe avere maggiore sicurezza per quanto riguarda gli introiti ottenuti grazie all’immissione nella rete elettrica dell’energia in esubero.

Da un paio d’anni il fotovoltai­co è in auge in Svizzera. Eppure il ritmo di crescita attuale è sempre insufficie­nte. Cosa manca?

Le recenti proposte del Consiglio federale vanno nella giusta direzione. In futuro, ad esempio, dovrebbe bastare una semplice procedura di notifica per posare dei pannelli solari sulle facciate delle case. Un’idea ripresa da una mia mozione, tra l’altro. Poi anche le banche dovrebbero attivarsi.

In che modo?

Non capisco ad esempio perché BancaStato non abbia ancora creato un fondo apposito per finanziare crediti ai privati che vorrebbero posare dei pannelli solari, ma non hanno i soldi per farlo.

Visto che siamo in Ticino: come si spiega che, da cantone pionierist­ico nel fotovoltai­co [40 anni fa a Canobbio-Trevano venne allacciato il primo impianto solare alla rete in Europa, ndr], oggi la ‘Sonnenstub­e’ della Svizzera sia tra i cantoni meno avanti nella produzione di energia solare?

In generale, mi pare di capire che in Ticino abbiamo una sensibilit­à ecologica non così spiccata come nel resto della Svizzera. Tutti dovrebbero fare la loro parte: a cominciare dal Cantone, chiamato a rimuovere gli ostacoli burocratic­i e a dare l’esempio, installand­o impianti solari sugli stabili di sua proprietà. Perché il Consiglio di Stato non chiede un credito quadro per promuovere un’offensiva energetica di questo tipo? Lo fa [la ministra della Difesa] Viola Amherd con gli edifici dell’esercito, perché non dovrebbe farlo il governo cantonale?

Diciotto Cantoni hanno già introdotto un obbligo per i nuovi edifici di produrre autonomame­nte una parte dell’elettricit­à consumata. Swissolar vorrebbe che tutti i Cantoni lo facciano. In Ticino sono i Verdi a chiederlo, con un’iniziativa parlamenta­re. Lei è favorevole?

Da liberale quale sono, a me gli obblighi in generale non piacciono: la via giusta è quella degli stimoli finanziari, degli incentivi. Però in questo caso, quando l’esposizion­e solare lo consente, sono favorevole – vista la situazione critica sul piano climatico ed energetico – a un obbligo per i nuovi edifici. Il Cantone, inoltre, potrebbe rendere più ambiziosi gli obiettivi di produzione di energia solare definiti nel Piano energetico cantonale.

Oggi la Svizzera dipende dall’estero per l’approvvigi­onamento di petrolio e gas. Se puntiamo sul fotovoltai­co, diventerem­o ancor più dipendenti dalla Cina, che è di gran lunga il maggior produttore mondiale di pannelli solari.

È vero. Perfino i pannelli solari costruiti in Germania e in altri Paesi hanno cellule fotovoltai­che prodotte in Cina. Sto preparando una mozione per chiedere di indicare sulle loro etichette anche l’origine delle cellule, ciò che oggi non viene fatto. Essere dipendenti dalla Cina non è bello, ma è meno grave che essere dipendenti dalla Russia per il gas o da altri per il petrolio. In effetti, una volta acquistati i pannelli, questi funzionano per 30 anni senza che uno abbia più bisogno della Cina. Per le fonti energetich­e fossili, invece, la dipendenza la sentiamo subito: se Putin chiude il gas, in Europa si rischia di restare al freddo.

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TI-PRESS/GOLAY Favorevole all’obbligo di posare pannelli solari sui nuovi edifici. ‘In Ticino il Cantone dovrebbe dare l’esempio’

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