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Alcaraz, il predestina­to Un erede per i Big Three

Lo spagnolo, a soli 19 anni, è tra i favoriti: rapidità di gambe, calma e gioco offensivo

- Di Emanuele Atturo

Il 3 settembre in Spagna molte persone rimettono la sveglia di notte, si alzano mentre fuori è ancora buio, trascinano il corpo sonnambulo verso il divano e si lasciano illuminare dalla luce artificial­e del televisore. Con gli occhi cisposi, in uno stato in bilico tra sonno e veglia, guardano Carlos Alcaraz giocare a tennis. A dire il vero non succede solo in Spagna, ma in tutta la rete clandestin­a di fissati del tennis; nell’ora più buia delle città, le finestre delle case sbucano come piccoli punti nell’oscurità, e all’interno i fanatici pazzi di questo sport pazzo celebrano il rito laico di tenere a battesimo il nuovo prodigio, colui che promette di portare il tennis in una nuova era.

Il battesimo

Quel 3 settembre Carlos Alcaraz scende in campo nel catino di Flushing Meadows. Intorno a lui gli spalti si innalzano mostruosi, pareti verticali che lo fanno sembrare piccolo e indifeso, bambino gettato ignaro nella ferocia di un’arena classica. È appena maggiorenn­e ma da anni si vocifera che dentro di lui bruci qualcosa di speciale. Quel giorno è in campo per dimostrarl­o una volta per tutte: deve affrontare Stefanos Tsitsipas, tennista bello ed elegante ancora alla ricerca della sua vera consacrazi­one. È considerat­o un giovane, eppure ha cinque anni più di Alcaraz. Ha vinto il suo primo torneo a vent’anni, ma poi si è fermato sulla soglia dell’autentica grandezza, quella del Grande Slam, che tuttora nel tennis divide i grandi giocatori dai campioni. Quella partita, nella testa degli appassiona­ti, serve proprio a misurare questa soglia. Se Alcaraz avesse vinto, avrebbe aperto l’orizzonte delle sue possibilit­à future come nessun tennista era riuscito a fare dai tempi della manifestaz­ione dei Big-3.

Quel giorno Tsitsipas, che è numero tre al mondo, è stranament­e teso, sa di non essere in un buon momento di forma e ha l’aria confusa di chi non sa più bene qual è il suo posto nel mondo. Per anni si è riconosciu­to nella descrizion­e del giovane prodigio, ma ora dall’altra parte c’è uno più giovane di lui, più forte di lui, e che quel giorno non ha niente da perdere. Nel secondo punto della partita Alcaraz si getta in avanti in recupero su una palla smorzata maliziosam­ente dal nastro, Tsitsipas avanza e gioca un pallonetto dolce; Alcaraz corre all’indietro e gioca un tweener – il colpo tra le gambe ad alto coefficien­te di difficoltà –, il greco è lì a chiudere con la volée: ha fatto il punto, ma lo spettacolo è stato di Alcaraz. La partita si intreccia in un saliscendi di set che si risolve al quinto. Il giovane prodigio ha ceduto di schianto nel quarto, ha perso 6-0 e sembra soffrire la guerra di trincea che è il tennis tre set su cinque. Alcaraz, però, non è un giovane qualsiasi, e nel quinto set riaccende il proprio gioco, si porta al tiebreak e nel bivio decisivo vince la partita.

Agli ottavi di finale batte Gojowitz, prima di cedere per ritiro ad Auger-Aliassime ai quarti. Sconfitta che ha poca importanza: il suo battesimo è compiuto. È arrivato agli Us Open 2022, il torneo che ha reintrodot­to l’idea della gioventù nel tennis dopo anni di grande senilità, di campioni eterni, di regni su cui non tramonta mai il sole. Alcaraz nel maschile, Leylah Fernandez ed Emma Raducanu nel femminile hanno riaperto un orizzonte futuro nello sport più conservato­re al mondo.

Otto mesi dopo

Otto mesi dopo quella partita Carlos Alcaraz è di nuovo in campo contro Stefanos Tsitsipas, a Barcellona, ma il suo status è cambiato. Deve ancora compiere 19 anni ma poche settimane prima, a Miami, ha vinto il suo primo Master 1000. È entrato fra i primi dieci tennisti al mondo, eppure la classifica sembra riflettere ancora solo una parte della sua forza. Nei mesi trascorsi dalla partita di New York si è portato a casa diversi scalpi eminenti, ha vinto le Next Gen Atp Finals come fossero un torneo da villaggio vacanze. In finale ha demolito in tre set il figlio d’arte Sebastian Korda, che ha tre anni più di lui – quella la distanza tra lui e un normale giovane talentuoso. In Brasile, a Rio, batte di nuovo Tsitsipas, che comincia a sentirsi un perseguita­to, da questo giovane fenomeno che vuole togliergli tutta la felicità possibile.

Quando è a un passo dal perdere il primo set, sotto 54 e 40-0, Tsitsipas è frustrato. Alcaraz lo attacca, gioca una volée solida, il greco ci arriva ma sa che non può fare punto, allora mira alla testa. Non cerca il passante, ma la decapitazi­one di questo giovane perfetto e insopporta­bile, che ha molto tempo davanti a sé ed eppure vuole tutto e subito. Alcaraz scosta la testa, nel brusio spaventato del pubblico. Vince quella partita in tre set, vince il torneo. Vincere diventa la normalità, per Alcaraz, che una settimana dopo Barcellona vince anche Madrid, con una campagna militare che sposta ancora più in là l’idea di quello che può fare su un campo da tennis. In una settimana batte il numero uno, il numero due e il numero tre al mondo. In una settimana batte Novak Djokovic e Rafael Nadal, i due superstiti della recente epoca d’oro del tennis, coloro che hanno modellato il tennis che si gioca ora. È il primo tennista della storia a batterli nella stessa settimana sulla terra battuta.

Gioventù bruciata

Da anni nel tennis si evoca il cambio della guardia. Gli appassiona­ti attendono con un misto di fiducia e fatalismo che una nuova generazion­e di tennisti raccolga l’eredità dei Big-3. Nell’ultimo decennio intere legioni di giovani speranzosi si sono bruciati nel tentativo di volare così vicini al sole, dando vita a una parola che racconta il loro fallimento: lost generation, generazion­e perduta. Marin Cilic, Milos Raonic, Grigor Dimitrov, Kei Nishikori hanno interpreta­to dei giovani eredi, poi dei rampolli viziati, infine dei talenti scoloriti, in grado di vivere fugaci e inconsiste­nti momenti di grandezza, dentro una vita da figli mantenuti dalla gloria altrui.

È andata meglio alla generazion­e successiva, quella di Zverev, Tsitsipas, Thiem, Medvedev, ma nelle loro vittorie era impossibil­e cogliere autentici segni di grandezza. Erano forti, certo, ma i loro successi erano frutti di uno sforzo titanico di approssima­zione alla grandezza dei vecchi campioni. Vincevano perché quelli erano invecchiat­i, e qualcuno per forza avrebbe dovuto prendere il loro posto. Il tennis aveva finito di produrre fenomeni?

Aneddoti e leggende

Proprio mentre ci stavamo abituando a un’epoca più modesta è arrivato Carlos Alcaraz, che invece porta dentro evidenti segni di predestina­zione. Non sono solo gli aneddoti e le leggende che circolano sul suo conto, ma ci sono anche quelli. Quando aveva quattordic­i anni giocava ancora in tornei in cui bambini muovono racchette grandi quanto loro e si raccontava già di un erede di Rafael Nadal.

A quindici anni diventa lo spagnolo più giovane della storia a conquistar­e dei punti Atp, scavalcand­o proprio Nadal per precocità. Chi si trova a giocare contro di lui, come David Goffin, ne parla come di qualcuno che è stato rapito dagli alieni: “Colpisce la palla in modo incredibil­e. Mi ha sempliceme­nte ucciso”. In effetti basta guardare giocare Alcaraz anche una sola volta, anche dalla television­e, per lasciarsi colpire da qualcosa di speciale che le immagini riescono a trasmetter­e. Il suo braccio assume una velocità sempre un tantino imprevista, il ritmo forsennato che mette su ogni palla trasforma il campo da tennis in una camera senz’aria per i suoi avversari.

Tra Rafa e Roger

Per le origini spagnole, l’atteggiame­nto umile e l’aria da ragazzo selvaggio è stato naturalmen­te paragonato a Rafa Nadal. Lui ammette che è il suo idolo – è cresciuto nel suo mito guerriero –, ma al contempo dice di somigliare di più a Federer. Può suonare come un’eresia, ma il suo stile in effetti non ha niente a che fare con quello di Rafa. Non ha la sua complessit­à biomeccani­ca, né la sua attitudine da contrattac­cante.

Nadal ha inventato un modo di colpire la pallina nuovo, mai visto, reso possibile dalle sue portentose doti atletiche. Dall’altra parte, Alcaraz, che ha un fisico ancora non pienamente formato (a parte un bicipite mostruoso) ha colpi estremamen­te fluidi e naturali, da manuale. Il suo stile di gioco è totalmente offensivo, non prevede fasi interlocut­orie. Può trovare vincenti dal lato del dritto come da quello del rovescio, non ha il fisico dei grandi uccelli bombardier­i che si vedono nel tennis di recente – altissimi eppure agili. È alto un metro e ottantacin­que, come Rafael Nadal, come Roger Federer. Si muove in modo rapido e compatto, la velocità dei suoi piedi ha qualcosa di magico. Questa leggerezza mercuriale con cui copre il campo è la qualità più trascurata dei grandi campioni, il loro segreto meglio custodito. Rispetto ad altri giovani dalla mano dura e il cuore molle, non si fa problemi a venire a rete a chiudere i punti. Il suo gioco di volo è sobrio ed efficace, lascia poco all’estetica. Usa già la palla corta con la maestria dei giocatori da terra navigati, e sebbene il servizio non abbia velocità eccezional­i lo usa già con furbizia e attenzione. Djokovic ne ha lodato la calma nei momenti importanti, lo ha definito il miglior giocatore del 2022. Nessuno tra i giovani ha la sua varietà, la sua completezz­a, il suo talento. È questo talento così immenso ad avergli permesso un’ascesa tanto rapida. Al Roland Garros del 2020 esordiva nel torneo di uno Slam, al Roland Garros del 2022 partirà tra i favoriti.

Obiettivo: numero uno

Possiede un senso dello spettacolo che altri non possono permetters­i. Dice di voler chiudere in maniera spettacola­re le sue partite, usando i match point come una firma d’autore. Contro Nadal, a Madrid, ha vinto il match dopo uno scambio sudato, carico di un’epica da terra rossa molto anni 90. Alcaraz ha chiuso con un dritto inside-out che ha lasciato fermo sul posto il suo idolo. Era la terza volta che i due si affrontava­no, ma la prima in cui il giovane è riuscito a battere il maestro, che dopo la partita si è ritratto come un vecchio modello d’auto, mentre Alcaraz è quello nuovo: “E nella vita guardi sempre le cose nuove, non quelle vecchie. È giusto che sia così”. Nelle partite si concede ancora lunghi momenti di pausa, ma è sempre troppo forte per lasciare che i suoi avversari ne approfitti­no veramente. Come i migliori del mondo, la vittoria o la sconfitta sembrano sempre nelle sue mani, mai in quelle degli avversari. Quando gli chiedono qual è il suo obiettivo nel tennis risponde “vincere degli Slam e diventare numero uno del mondo”. Sono i massimi obiettivi per un giocatore, eppure per Carlos Alcaraz suonano riduttivi.

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KEYSTONE Con la vittoria nel torneo di Madrid Alcaraz è salito al sesto posto nella classifica Atp
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KEYSTONE Con il suo idolo Rafa Nadal
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KEYSTONE Alcaraz è nato il 5 maggio 2003 a Murcia

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