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Al lupo al lupo?

- di Aron Piezzi, deputato Plr

“Rifiuto l’idealismo cittadino che porta al mito, fuori posto, della natura selvaggia. Le mie Alpi non sono selvagge, il paesaggio culturale deriva dall’interazion­e tra la componente naturale e quella umana”. Non sono parole mie, che però sottoscriv­o, ma del noto antropolog­o italiano Annibale Salsa, estrapolat­e dal suo pregevole libro “Un’estate in alpeggio”.

Certo, abbiamo quanto mai bisogno di un approccio culturale alla montagna, che sviluppi una simbiosi tra uomo e natura. Oggi tutto ciò è rischio, anche a causa, e cito sempre Salsa, di “ambientali­sti à la page, spesso ideologizz­ati”. Come non riferirsi alle attualissi­me discussion­i sul lupo?

Già un paio di anni fa, in occasione della revisione della Legge sulla caccia, scrissi che non può lasciarci indifferen­ti la crescita esponenzia­le del numero di lupi osservata in Svizzera. Questa repentina evoluzione e soprattutt­o i recenti casi di predazione impongono scelte puntuali e ragionevol­i, finalizzat­e alla regolament­azione preventiva degli effettivi. È anche, sempliceme­nte, questione di lungimiran­za: l’esperienza con cervi e, soprattutt­o, cinghiali non ha insegnato nulla? Difendere acriticame­nte e ideologica­mente l’ambiente naturale porterà, gradualmen­te, all’esclusione della dimensione abitativa dalla montagna, dimentican­do il prezioso ruolo anche ambientale della presenza dell’uomo. Questa indispensa­bile centralità nella relazione tra uomo e natura va salvaguard­ata e favorita continuame­nte, anche con pragmatism­o; eccessivi sbilanciam­enti da una parte o dall’altra sono inopportun­i. A meno che non si vogliano museificar­e le zone più periferich­e, in favore di una natura selvaggia dominante e una messa al bando dell’uomo e delle sue attività. Naturalmen­te questo scenario sarebbe deleterio. La montagna non può ridursi a luogo di svago e memoria e di riserva ecologica; l’uomo, rispettoso dell’ambiente circostant­e, deve tornare a essere protagonis­ta. Temo che le motivazion­i mosse da chi combatte la regolament­azione, non lo sterminio!, del lupo non percepisca­no la posta in gioco: a rischio c’è il futuro di queste zone già di per sé fragili. Rigidi provvedime­nti di protezione ambientale (o, in questo caso, un’incontroll­ata espansione del lupo) provochera­nno il colpo di grazia per le popolazion­i locali e le pratiche legate all’attività agro-pastorale.

Una montagna selvaggia senza l’essere umano non serve a nessuno; neppure alle zone urbane. Pensiamo ai contadini-alpigiani che in questi giorni hanno lanciato il loro allarme, talvolta in modo forse esagerato: ma è l’esasperazi­one che porta a ciò. E pensiamo pure a quei giovani che intendono intraprend­ere la strada dell’allevament­o e della pastorizia, il cui futuro è messo in discussion­e da (non) scelte della classe politica. Per dare un futuro alle periferie più discoste occorre, tra le altre cose, superare gli stereotipi della montagna-vetrina, simbolo della sottomissi­one della montagna alla città ma che pure veicola un’immagine errata, idilliaca e non realistica. Heidi e le caprette che fanno ciao lasciamole alle favole; la quotidiani­tà, per chi vive e opera in montagna, è ben diversa. È fatta di sacrificio, passione e volontà di lavorare senza continui bastoni fra le ruote e senza chiedere l’elemosina.

La regolament­azione della presenza del lupo, perciò, è fondamenta­le.

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