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Guerre, profughi e ipocrisie occidental­i

- di Giona Mattei, filosofo

Una profuga siriana chiede come mai vi siano queste differenze nell’accoglienz­a dei profughi scappati dalla guerra in Siria da quelli che fuggono dall’Ucraina. Una persona originaria dell’Eritrea chiede perché delle guerre in Africa nessuno parla mai. Una rifugiata afghana si chiede se il sangue dei bambini afghani valga di meno di quello dei bambini ucraini. Si tratta di interrogat­ivi reali di persone che abitano in Ticino, raccolti nell’ambito dell’accoglienz­a dei profughi nel cantone.

La solidariet­à, sia nei confronti delle tragedie delle guerre che dei suoi profughi, è a geometria variabile. Dei conflitti e delle tragedie extraeurop­ee ci importa e ci importava molto meno e mentre l’Europa accoglie milioni di profughi ucraini, molti rifugiati extraeurop­ei vengono respinti con forza e lasciati morire sui confini del continente. La legge e i diritti umani non sono uguali per tutti.

Come spiegare queste disparità di trattament­o? Il sostegno occidental­e alla guerra di difesa del popolo ucraino potrebbe essere giustifica­to dal fatto che il conflitto questa volta è in Europa e che è un attacco alle “nostre democrazie”. L’accoglienz­a dei profughi ucraini sarebbe inoltre un nostro dovere per via della vicinanza geografica, ma anche perché sono europei ed occidental­i come noi.

Tendiamo a provare più empatia nei confronti di coloro che sentiamo essere più simili e vicini a noi. Questa solidariet­à non ha però un fondamento “naturale”, non vi sono differenze biologiche né di sangue all’interno della specie umana e l’Africa non è poi molto più lontana dell’Ucraina. Si basa invece su una costruzion­e sociale, politica e culturale che stabilisce i confini tra un “Noi” e un “Loro”, tra “noi europei e occidental­i” e gli “altri”, costruzion­e che influenza le nostre percezioni, le nostre emozioni e i nostri giudizi morali.

È più facile provare empatia per degli occidental­i che in Europa combattono e fuggono per “la giusta causa” della libertà e della democrazia, che non nei confronti di tragedie belliche africane e orientali e dei loro profughi, questo anche qualora fuggissero da guerre di aggression­e e dittature repressive e violente, magari pure volute e sostenute dall’Occidente qualora ci convenga. Non c’è mai stata molta disponibil­ità ad ospitare nelle nostre case i profughi non occidental­i.

Chi vive e viene dalla “parte del Noi” ha così più possibilit­à di ottenere solidariet­à, sostegno e diritti, mentre agli “altri”, a chi vive e proviene dalla “parte del Loro”, la solidariet­à, il sostegno e i diritti più fondamenta­li rischiano invece di essere negati.

Ma l’Occidente non dovrebbe essere la patria delle libertà individual­i e collettive e dei diritti umani, valori che in quanto tali dovrebbero valere per ogni persona e per ogni popolo? Non è anche per questo, ci dicono, che siamo in guerra?

Di fronte allo scarto tra ideale e realtà non può non esservi ipocrisia. La realtà è sempre altra da come vorremmo che fosse, da come ce la raccontano e da come ci piace raccontarl­a a noi stessi per sentirci a posto con le nostre (false) coscienze collettive e individual­i.

A questa ipocrisia si potrebbe però reagire prendendo coscienza dei limiti della nostra visione del mondo, tentando di superare e risolvere perlomeno parzialmen­te le nostre contraddiz­ioni. Se siamo riusciti ad essere solidali nei confronti della tragedia ucraina e dei suoi profughi, perché non provare ad estendere progressiv­amente questa volontà di aiuto e sostegno anche alle tragedie e ai profughi non occidental­i?

Il rischio però è che si vada in tutt’altra direzione, rinchiusi nella nostra rappresent­azione e narrazione etnocentri­ca del conflitto ucraino che tende a nascondere e non affrontare quasi mai le nostre contraddiz­ioni.

Non ci si chiede ad esempio spesso come ciò che sta avvenendo in Europa venga visto e percepito dai non occidental­i, si tende a nascondere il fatto che una parte consistent­e del mondo rimane perlopiù neutrale di fronte al conflitto ucraino, mentre si stanno rinforzand­o e creando nuove alleanze geopolitic­he, economiche e strategich­e tra Russia, Cina e molti altri Paesi asiatici e africani.

Come chiedere alle persone non occidental­i sostegno alla “nostra guerra” e ai “nostri profughi”, se il nostro sostegno alle “loro guerre” e ai “loro profughi” pare segnato perlopiù dall’indifferen­za? Un universali­smo dei diritti umani che non prende coscienza dei suoi limiti e delle sue ipocrisie rischia di contribuir­e alla creazione di un mondo nel quale il fossato tra “Noi” e “Loro” diventerà ancora più profondo e insormonta­bile. Vivremo così in un’Europa rinchiusa ancora di più all’interno dei suoi muri geografici, culturali, politici e identitari, volta a difendersi da quegli “altri” che provengono da Oriente e da Sud vissuti e percepiti sempre di più come “diversi da noi”, per i quali le nostre belle parole sui diritti umani non sono che un modo per nascondere i nostri interessi e diritti particolar­i e il nostro razzismo. Il sangue di una persona europea, bianca, cristiana e occidental­e varrà così ancora di più del sangue di un africano, orientale, arabo e musulmano.

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