laRegione

È giusto pagare i debiti?

Se vuoi essere un vero cercatore della verità è necessario che almeno una volta nella tua vita tu dubiti, per quanto possibile, di tutte le cose

- Alberto Siccardi*

La risposta è sì. E per le persone oneste è anche un dovere. Ma esse ben sanno anche che è meglio farne il meno possibile. La maggioranz­a dei Ticinesi ne è convinta. Grazie per aver votato guardando al futuro dei nostri figli e nipoti! Domenica, però, la sinistra ticinese e il PPD hanno perso una importante votazione e si aspettano - e temono che il Governo, seguendo la volontà del Popolo Sovrano, decida di diminuire la crescita della spesa sociale (ripeto: «diminuirne la crescita») e di tagliarne una parte, riducendo il sostegno a chi, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a procurare il sostentame­nto per sé e per la sua famiglia.

Innanzitut­to occorre dire che sarebbe inaccettab­ile se, dopo aver ricevuto un mandato ufficiale dai Cittadini, il Governo non lo rispettass­e. Siamo certi che questo non succederà. Siamo però anche certi che dopo questa votazione si porterà la massima attenzione a gestire la cosa pubblica in modo rigoroso, proprio per non fare mancare al sociale le risorse - che sono sacrosante e irrinuncia­bili creando un aumento del debito. Si è creato, senza apertament­e denunciarl­o, un patto serio, che coinvolge il futuro del Cantone e di tutti noi. Da una parte l’impegno di non toccare la spesa sociale, che è sacra, specie in un Paese civile come la Svizzera; dall’altra la necessità, se non si vuole continuare ad aumentare il debito negli anni, di guardare con attenzione a comportame­nti e a decisioni virtuose, mantenendo la spesa nei limiti delle vere necessità e della razionalit­à. Sono d’obbligo alcuni esempi.

Se si dà una occhiata alle statistich­e cantonali sulla spesa pubblica per abitante, si rileva che in Ticino è molto più alta rispetto alla media dei Cantoni. È pur vero che la nostra Amministra­zione ha maggiori carichi di lavoro, legati agli stranieri residenti e ai frontalier­i, ma questo non è sufficient­e a giustifica­re tale differenza. Anche qui non si vuole indicare la necessità di una riduzione drastica e improvvisa del personale eventualme­nte sotto-occupato. Si tratta di non assumere automatica­mente un nuovo impiegato quando qualcuno va in pensione. Il tutto accompagna­to da una intelligen­te ridistribu­zione delle mansioni.

Quando, tempo fa, ho chiesto timidament­e ad un alto esponente politico ticinese di considerar­e tale tecnica di ristruttur­azione, indolore per le famiglie, ma tanto utile per le finanze pubbliche, mi ha risposto sorridendo che dimenticav­o quanto importante sia per ogni partito avere nell’Amministra­zione un numero di votanti il più alto possibile, per ovvi motivi. Finché queste linee guida saranno adottate nella pubblica amministra­zione sarà difficile migliorarn­e i costi. Ma dovendo applicare le indicazion­i della votazione di domenica 15 maggio, dovremo pensarci bene prima di promuovere ed accettare ogni nuova spesa. Preferisco però, vista la mia esperienza di vita (oltre quarant’anni in Ticino), parlare di lavoro e disoccupaz­ione. Mi è capitato di assumere ultracinqu­antenni che, perso il precedente lavoro, cercavano di trovarne un altro che permettess­e loro di portare alla fine degli studi i loro figli e ai quali il periodo di disoccupaz­ione non bastava; ma che, più di tutto, non si sentivano a loro agio a stare a casa davanti alla loro famiglia, dopo tanti anni di lavoro. Ho intervista­to anche, in questi anni, non pochi giovani che rifiutavan­o di lasciare la disoccupaz­ione nonostante offrissimo un buono stipendio e - ancora più importante per un giovane - la possibilit­à di fare carriera e girare il mondo, in un ambiente scientific­o e stimolante. Ho conservato i loro dossier al solo scopo di poter dimostrare che il sistema può e deve essere amministra­to meglio; assieme alla scuola, che dovrebbe insegnare certi valori della vita. Sempre nel campo del lavoro, mi permetto di ricordare che sarebbe sacrosanto migliorare e orientare di più la formazione dei giovani ticinesi, per arginare l’aff lusso sempre più consistent­e di stranieri (e non solo italiani), che sottraggon­o i posti ai ragazzi residenti. È un dato ufficiale: la SUPSI, dopo il primo anno, scarta due terzi dei suoi studenti. Fin troppo facile concludere che, nonostante l’intelligen­za dei nostri ragazzi, essi non sono ben preparati ad entrare nella Università Profession­ale. Anche qui c’è molto da fare.

Da ultimo vorrei toccare un paio di fenomeni f in troppo evidenti. Mai visti tanti lavori stradali in quarant’anni di vita in Ticino, né tanti enormi autobus, lunghi il doppio di quelli di cinque anni fa, vuoti o semivuoti per due terzi della giornata. Esistono sicurament­e degli standard di riferiment­o, e a questi bisognerà adeguarsi se si voglionori­sanarelefi­nanzedelTi­cino senza toccare la spesa sociale, come è giusto che sia.

* imprendito­re

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