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L’Irb e gli anticorpi che ‘placcano’ il coronaviru­s

Si aprono nuove prospettiv­e non solo contro il Covid

- l.e.

Bloccare il coronaviru­s attraverso un anticorpo che ne aggredisce i ‘punti freddi’, ovvero quelle porzioni che non cambiano da una variante all’altra. La nuova prospettiv­a nella lotta al Covid – ma anche alle patologie da coronaviru­s che potrebbero diffonders­i in futuro – viene da una ricerca condotta da due dottorandi dell’Istituto di ricerca in biomedicin­a (Irb) di Bellinzona, affiliato all’Università della Svizzera italiana, e appena pubblicata su Science Immunology. Virginia Crivelli e Filippo Bianchini hanno identifica­to in pazienti convalesce­nti dal Covid gli anticorpi capaci di agire su 3 dei 15 ‘coldspots’ del virus, parti immutate presenti in particolar­e in quelle strutture a forma appuntita –in inglese spikes – che gli permettono di infettare le cellule umane. «Abbiamo applicato un nuovo metodo, partendo dall’idea di imparare dalle varianti passate e dai dati raccolti in tutto il mondo in questi tre anni», spiega Bianchini: «L’analisi di dieci milioni di sequenze del coronaviru­s ci ha permesso – qui sta la novità – l’individuaz­ione di questi punti freddi. Poi abbiamo isolato gli anticorpi specifici, ciascuno per ogni diverso punto freddo».

È servito naturalmen­te studiare una quantità importante di dati, una prassi «agevolata dalla disponibil­ità di informazio­ni a livello globale, a partire dal database centralizz­ato in Germania che permette l’accesso alle sequenze dei campioni di tutto il mondo da parte di ciascun ricercator­e», nota Crivelli. Che aggiunge subito: «Al di là dei dati, però, è stata fondamenta­le la collaboraz­ione dei colleghi dell’Irb e dalle altre istituzion­i che hanno partecipat­o al progetto, senza i quali certi risultati sarebbero stati impossibil­i» (allo studio hanno collaborat­o ricercator­i dell’Universita di Stanford, dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, della Clinica Luganese Moncucco e i partner internazio­nali del progetto Atac – ‘Antibody Therapy Against Coronaviru­s’ – finanziato dall’Unione europea).

Si tratta di un risultato particolar­mente interessan­te, non solo come risposta alle varianti che al momento continuano ad aggirare le nostre difese immunitari­e – “gli anticorpi bloccano l’infezione di cellule esposte al virus, anche alle varianti più recenti e preoccupan­ti, e proteggono contro la malattia in modelli preclinici”, spiega un comunicato –, ma anche perché potrebbe consentire nuove soluzioni terapeutic­he anche al di là della pandemia di Sars-CoV-2: visto che molti esperti non escludono il ripetersi di certi fenomeni ad opera di nuovi coronaviru­s, sarà meglio arrivarci il più possibile premuniti.

Quanto alle possibili applicazio­ni terapeutic­he gli anticorpi, spiega Bianchini, non vanno confusi coi vaccini: «Si tratta di due terapie sostanzial­mente complement­ari. I vaccini devono essere somministr­ati prima dell’infezione e offrono protezione prolungata, ma non funzionano con persone immunosopp­resse o immunodefi­cienti. Gli anticorpi possono essere somministr­ati prima o dopo l’infezione, proteggono da decorsi gravi, e possono essere somministr­ati contro tutte le varianti presenti e, speriamo, anche quelle future». D’altronde, «proprio l’individuaz­ione dei coldspots potrebbe essere utile per lo sviluppo di futuri vaccini efficaci contro tutti i coronaviru­s». Completati gli studi preclinici, ora occorreran­no quelli sull’uomo: il protocollo di test ed eventuale omologazio­ne richiederà insomma ancora del tempo. Intanto, comunque, «il lavoro non è finito», sottolinea Crivelli: «Abbiamo altre 12 regioni fredde da esaminare per sondare la possibilit­à di nuovi sviluppi e scoperte».

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IRB Bianchini e Crivelli hanno isolato le parti di ‘spike’ che nonmutano

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