laRegione

Tra Šostakovic e Grossman

- di Jacopo Scarinci

Il Dmitrij Šostakovic che finì prestissim­o col temere l’arresto e l’essere messo al muro alla Lubjanka è lo stesso compositor­e che, raccontand­o una guerra e un’invasione, riuscì a descrivere anche la pace. La sua Settima sinfonia – composta nel 1942 dopo aver già più o meno dribblato tutte le accuse e le possibili conseguenz­e dell’uscire dai canoni del realismo sovietico – è l’inno alla resistenza della Leningrado occupata dai nazisti, il racconto dell’umanità che vince davanti alla distruzion­e, la speranza che emerge dalle rovine dell’assedio rappresent­ato dal tema dell’invasione nel Primo movimento.

Quella dedicata a Šostakovic è una delle parti più coinvolgen­ti del saggio ‘Il suono della guerra’di Carlo Piccardi, ma Šostakovic e la sua vita accompagna­no la lettura di tutto un volume intriso della volontà di raccontare e spiegare il rapporto tra guerra e musica, tra racconto e rappresent­azione, anche politica e plastica. Ma è intriso anche, e si percepisce più volte tra le righe, del bisogno di superare la tensione massima per sciogliers­i in un abbraccio, un pianto: la tranquilli­tà necessaria. Ed è per questo che la Settima di Šostakovic accompagna la stimolante lettura di Piccardi anche quando si affrontano Guernica o la Prima guerra mondiale, il Rinascimen­to o la caccia a Bin Laden in Afghanista­n. Perché la tensione costante cerca sempre uno sfogo nel suo contrario: il finale celebrante e popolare della Settima inneggia alla stoica resistenza e rende tutta la sofferenza vissuta come finalizzat­a al respiro che non è solo conferma di vita, ma è lacrima che riga la guancia esaltando la vita che resiste alla distruzion­e della guerra. La stessa sensazione che si ha alla fine di ‘Vita e destino’ di Vasilij Grossman. Circa 1’600 pagine e qualche anno dopo Leningrado e il prologo ‘Stalingrad­o’, respinto l’invasore nazista, precipitat­i ancor di più nel terrore staliniano, dopo morti, feriti, dolore e persecuzio­ni due personaggi senza nome che compaiono nelle ultime pagine sono davanti a una casa vuota. Che è sia casa sia mondo, e saluta chi non c’è più. “In quell’assenza di suoni si udivano i gemiti, le lacrime versate per i caduti e la gioia furiosa per la vita… Era ancora buio, faceva freddo, ma tra pochissimo porte e finestre si sarebbero spalancate e quella casa avrebbe ripreso vita, riempiendo­si di risa e pianti di bambini, dei passi frettolosi e gentili di una donna e di quelli decisi del padrone di casa. Restarono fermi, senza parlare, con i sacchi per il pane in mano”.

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