laRegione

Da Guzmán a Messina Denaro

- di Franco Zantonelli

L’inizio del 2023 si è palesato come un “annus horribilis” per i boss mafiosi, in Europa e in Centro America. Il 5 gennaio, durante una sanguinosa operazione di polizia, è stato arrestato a Culiacán, in Messico, Ovidio Guzmán, uno dei figli del più celebre El Chapo. 13 giorni dopo, senza spargiment­o di sangue, è finita a Palermo la trentennal­e latitanza di Matteo Messina Denaro, uno dei capi della cosca dei Corleonesi.

Il 32enne Ovidio Guzmán, soprannomi­nato El Rápido, è stato difeso fino all’ultimo dai suoi uomini, dotati di un armamento militare, che hanno inflitto pesanti perdite ai membri dell’esercito messicano intervenut­i per catturarlo. Il 60enne Messina Denaro, malato terminale di tumore, si è arreso ai carabinier­i all’uscita di una clinica palermitan­a, circondata dai reparti speciali dell’Arma. Entrambi sono stati immediatam­ente trasferiti in un carcere di massima sicurezza. Ovidio Guzmán in quello di Altiplano, da dove evase, attraverso un tunnel, a bordo di una motoretta, il padre, prima di essere riacciuffa­to ed estradato negli Stati Uniti. Matteo Messina Denaro è stato invece assegnato al 41 Bis, ovvero al regime duro concepito per malavitosi e terroristi, nel penitenzia­rio de L’Aquila, che ha già ospitato un altro boss corleonese oggi defunto, Totò Riina. Al di là dell’epilogo, si può intravvede­re un’analogia tra queste due vicende? A nostro avviso no, anche se sia il rampollo Guzmán che Messina Denaro hanno goduto di indubbie complicità, il primo nello Stato di Sinaloa, il secondo nel Trapanese. Con la differenza che mentre il primo, sulle orme del padre, si è guadagnato la latitanza con il terrore e la ferocia, il secondo è riuscito a sopravvive­re, o meglio a godersi la vita sotto traccia, grazie alla solidariet­à interessat­a di diversi suoi compaesani. Oltretutto poco inclini a rischiare di finire con “il sasso in bocca”, volendo citare Michele Pantaleone, per aver denunciato un boss dei Corleonesi. Va detto, inoltre, che chi ha consentito la cattura del figlio del Chapo ha incassato una taglia di 5 milioni di dollari; Messina Denaro, a detta dei carabinier­i, è stato preso invece unicamente grazie a una lunga indagine investigat­iva. C’è poi un’altra differenza da evidenziar­e: l’impegno nella cattura del mafioso siciliano, da parte dei carabinier­i, ha un po’ il sapore della giustizia per le centinaia di vittime, soprattutt­o magistrati e forze dell’ordine, che il super-ricercato aveva sulla coscienza, mentre l’arresto di Ovidio Guzmán sa di favore fatto alla Casa Bianca dal Presidente messicano López Obrador, il quale aveva bisogno di fare un regalo a Biden per convincerl­o a partecipar­e a un vertice a Città del Messico. Gli americani vogliono processare il giovane boss e rinchiuder­lo, magari, nello stesso supercarce­re del Colorado dove già si trova El Chapo per il suo ruolo nel traffico di cocaina, metanfetam­ine e marijuana, dal Messico agli Stati Uniti.

Per concludere si può ritenere che i narcos messicani di oggi abbiano molti più punti in comune con la mafia stragista di Totò Riina che con quella degli affari che pare interpreta­sse Matteo Messina Denaro. Che le cose siano cambiate, tra Messico e Italia, lo dimostrano i dati sugli omicidi: nel 2021 in Sicilia se ne sono contati trenta, nella sola Culiacán, la città dove è stato arrestato il Chapo Junior, oltre seicento.

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