laRegione

La sinistra si spacca sulle armi svizzere

Il permesso alla riesportaz­ione, sostenuto da una mozione del Ps nazionale, è contestato anche in Ticino. Carobbio: ‘Intensific­are la diplomazia’.

- Lorenzo Erroi

La guerra in Ucraina continua a far discutere la sinistra. Il problema, stavolta, è la riesportaz­ione verso Kiev di materiale bellico di produzione elvetica in mano ad altri Paesi. Finora la Svizzera, come diversi altri Stati europei, vendeva armi e munizioni vincolando­le al divieto di ‘girarle’ a terzi, per evitare che finissero in mano a despoti o terroristi. Lo stesso faceva la Germania, che però ha cambiato idea: la minaccia russa alle porte dell’Europa è giudicata troppo grave per attenersi alle vecchie regole. La settimana scorsa, anche la Commission­e della politica di sicurezza del Consiglio nazionale ha raccomanda­to di autorizzar­e la riesportaz­ione, modificand­o l’articolo 18 della Legge federale sul materiale bellico (per inciso: una maggioranz­a al plenum è tutt’altro che scontata e prima della modifica definitiva potrebbero volerci anni).

La mozione sostiene comunque la riesportaz­ione solo in presenza di una palese violazione del divieto internazio­nale sull’uso della forza riscontrat­a a maggioranz­a dall’Onu, e richiede un ulteriore via libera finale dal Consiglio federale. L’idea viene però dal Partito socialista, e poco importa se si è trattato di un compromess­o per evitare una più radicale proposta del Plr: parecchi esponenti della sinistra, dentro e fuori il Ps, hanno subito denunciato l’apertura d’un pericoloso “vaso di Pandora” (parole del giurassian­o Pierre-Alain Fridez, consiglier­e nazionale socialista). Si temono anzitutto la perdita della neutralità, la corsa agli armamenti, le compravend­ite ‘conto terzi’ anche al di fuori del contesto ucraino e il cedimento alla pressione di coloro – in primis tedeschi, spagnoli e danesi – che vorrebbero mandare a Kiev i blindati e le munizioni svizzere già in loro possesso.

Dal Ticino ‘fermo disappunto’

Anche alcuni membri del Ps ticinese hanno fatto sentire la loro voce. In una dura lettera inviata al capogruppo alle Camere federali Roger Nordmann, il vicepresid­ente cantonale Adriano Venuti e i membri di direzione Martina Malacrida e Niccolò Mazzi-Damotti si dicono “parecchio colpiti dalla decisione”: “Ci ha deluso leggere il comunicato stampa firmato da Brigitte Crottaz (consiglier­a nazionale Ps vodese, ndr) con il quale il Partito socialista svizzero rivendica la paternità di questa proposta”.

I firmatari ricordano il programma del partito, nel quale si legge che “il Ps rifiuta l’idea di perseguire con mezzi militari una politica di pace e di sicurezza” e“si impegna per un rigido divieto delle esportazio­ni di armi”. Venuti e cofirmatar­i ribadiscon­o infine il loro “fermo disappunto per questo grave scollament­o tra le declamazio­ni programmat­iche e la pratica parlamenta­re”, e auspicano che “al momento della votazione in seduta plenaria la posizione dei rappresent­anti del nostro partito sia coerente con quanto enunciato nel nostro programma, quindi rigidament­e contraria all’esportazio­ne di armi”.

Alla nostra richiesta di replica Nordmann ha opposto un no comment, spiegando che lo scambio è da intendersi come privato (in realtà la presa di posizione ticinese è stata pubblicata come “lettera aperta” sui social e sul suo sito dal Ps locale). Venuti, da parte sua, precisa a ‘laRegione’: «Sia chiaro, non si tratta di dividersi tra sostenitor­i dell’Ucraina e sostenitor­i della Russia. L’importante è dialogare all’interno del partito sul tema dell’esportazio­ne di armi, finora sempre rifiutata dalla nostra impostazio­ne programmat­ica».

‘Diverse sensibilit­à legittime’

In merito alle critiche formulate, il copresiden­te cantonale Fabrizio Sirica spiega: «Mi pare che sia legittimo esprimere apertament­e le diverse sensibilit­à all’interno del partito. La questione non è di facile soluzione e penso che prima di maturare una presa di posizione univoca occorra un dibattito serio e approfondi­to tra le valide argomentaz­ioni di entrambe le parti. Il nostro programma offre comunque oggettivam­ente una serie di linee guida in materia».

È su frequenze simili la consiglier­a agli Stati e candidata al governo cantonale Marina Carobbio: «Credo che la recente proposta meriti una discussion­e in seno al gruppo parlamenta­re socialista alle Camere federali, discussion­e che suppongo si terrà come di norma a breve. Sono da sempre contraria all’esportazio­ne di materiale bellico verso Paesi in guerra, ma anche verso Paesi che poi a loro volta li esportano in zone di guerra. Resta d’altronde da chiedersi cosa fare di fronte a una guerra d’aggression­e del tutto illegale, per questo ben venga una discussion­e franca e approfondi­ta. Penso che invece di esportare armi, la Svizzera debba piuttosto intensific­are gli sforzi diplomatic­i. Intanto va ricordato che la proposta socialista mirava a bloccare quella liberale, che avrebbe pericolosa­mente allentato le restrizion­i alle esportazio­ni d’armamenti tout court».

Verdi compatti per il ‘no’

Compatti appaiono i Verdi, la cui assemblea dei delegati ha già nettamente bocciato qualsiasi via libera alle riesportaz­ioni. «Resto convinta che non si stiano tenendo davvero in conto tutte le implicazio­ni di una scelta del genere, anzitutto per quanto concerne il nostro statuto di Paese neutrale», osserva la consiglier­a nazionale Greta

Gysin : «Sul piano del diritto internazio­nale, tale neutralità comporta sì dei diritti quali l’inviolabil­ità del proprio territorio, ma anche dei doveri che includono l’uguaglianz­a di trattament­o nell’esportazio­ne di materiale bellico verso Stati in guerra. Bisognereb­be allora fare un ragionamen­to più ampio chiedendoc­i, con onestà, che futuro possiamo concepire per la nostra neutralità: solo una volta fatto questo si potrà eventualme­nte decidere sulla questione della fornitura di armamenti».

Insomma, per Gysin «non possiamo essere noi ad armare l’Ucraina, perché metteremmo a repentagli­o alcune nostre prerogativ­e ben più importanti per costruire la pace, quali i buoni uffici diplomatic­i e l’aiuto umanitario. Dovremmo semmai agire con fermezza sui fondi russi: è ipocrita parlare di riesportaz­ione, lavandosi la coscienza ma sapendo che dei duecento miliardi di fondi russi depositati in Svizzera, solo otto sono davvero bloccati. Potremmo anche regolament­are in modo più stringente il commercio delle materie prime russe, che passa per l’80% dalla piazza commercial­e elvetica: toglieremm­o fondi all’invasione».

ForumAlter­nativo e Comunisti entrambi contrari

Al fronte del no si aggiunge il ForumAlter­nativo, i cui esponenti sono presenti nella lista Ps per il Gran Consiglio. Per Franco Cavalli «al di là del discorso sull’Ucraina, e senza essere fanatico d’una neutralità che ha permesso anche affari molto sporchi, credo che la riesportaz­ione non sia possibile: la legge impedisce di vendere armi a Paesi in guerra anche tramite Stati terzi, e come per quella in Iraq e altre guerre, tale divieto vale anche in presenza di violazione dei diritti umani». Sebbene per diversi esperti il divieto alla riesportaz­ione non sia direttamen­te legato alla neutralità, tanto che anche la Germania osservava qualcosa di simile fino a poche settimane fa, per Cavalli una decisione dettata dall’emergenza ucraina comportere­bbe un rischio: «Seguire un perdi corso simile a quello intrapreso coi rifugiati, quando la gelida Karin Keller-Sutter, da ministra della Giustizia, ha steso il tappeto rosso agli ucraini, ma non ai profughi di altre guerre. Non si possono applicare due pesi e due misure». Parere seccamente negativo, infine, dal Partito comunista, che peraltro sosterrà l’iniziativa Udc per la neutralità integrale, mirata a impedire anche l’adozione di sanzioni economiche. «Il nostro è un Paese che dovrebbe rimanere neutrale: una riesportaz­ione invece, anche se costituisc­e una vendita solo indiretta, corrispond­e a schierarsi da una sola parte in un conflitto internazio­nale», osserva il segretario politico e granconsig­liere comunista Massimilia­no Ay. Che aggiunge: «Questo non solo lede la neutralità, ma mette anche in pericolo la nostra sicurezza nazionale, perché ci stiamo schierando in una guerra che non ci compete. La nostra è una posizione coerente nel tempo: a differenza del Ps, siamo sempre rimasti allineati all’iniziativa per il divieto di esportazio­ne di materiale bellico, sostenuta tre anni fa da tutta la sinistra».

Mps: ‘Ma non possono difendersi a mani nude’

Di avviso diametralm­ente opposto è invece il Movimento per il socialismo, che dallo scoppio del conflitto condanna fermamente l’imperialis­mo russo e sostiene le rivendicaz­ioni di Kiev. Il granconsig­liere Mps Matteo Pronzini lo ribadisce: «Siamo fin dall’inizio per il diritto all’autodifesa da parte del popolo ucraino, anche con le armi; nel contesto di questa invasione non può difendersi a mani nude. Pertanto non sono contrario alla fornitura delle armi, e se questa a sua volta richiede la riesportaz­ione, tale riesportaz­ione andrà approvata».

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KEYSTONE Munizioni e blindati tra gli export principali delsettore
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TI-PRESS Il dibattitos­ì

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