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‘C’è più solidariet­à nei paesini che in città’

Non sembra un periodo facile per il volontaria­to, che dopo la pandemia sembra aver perso drasticame­nte attrattiva, ma la richiesta aumenta

- di Mirko Sebastiani

In molti, se non tutti, si ricordano di quella immediata (e sorprenden­te) ondata di solidariet­à che sembrava aver investito il cantone. Tutti sembravano essere disposti ad andare a fare la spesa per chi non poteva uscire di casa, ad accompagna­re le persone fragili, a mettersi a disposizio­ne per gli altri. Pareva davvero che la società, unita dalla crisi, si stesse dirigendo verso un futuro più generoso e solidale. Ma al giorno d’oggi, terminata la pandemia, diverse realtà sono alla continua ricerca di volontari, in special modo in quei luoghi dove ve ne sarebbe maggior bisogno: i grandi centri abitati.

Più invecchia la popolazion­e, più servono volontari

Lo sa bene Angelo Fumagalli, presidente dell’Associazio­ne Mendrisiot­to Anziani (Ama), che da oltre trent’anni si occupa di accompagna­re anziani e invalidi ai loro appuntamen­ti medici. Contattato da ‘laRegione’, ha esordito dicendo: «Prima della pandemia ce n’erano a sufficienz­a (di volontari ndr); durante ce n’erano fin troppi; e adesso che la pandemia è passata non sembrano essercene più». E questo in un cantone come il nostro, dove la popolazion­e invecchia sempre di più e la richiesta di aiuti continua ad aumentare.

‘A Chiasso la situazione è un disastro’

L’associazio­ne, attiva dal 1991, opera «dal ponte diga in giù», e i suoi volontari ricevono un rimborso spese (pari a 75 centesimi al chilometro) per la distanza percorsa. Di conseguenz­a, l’ideale sarebbe che il volontario abitasse vicino alla persona da accompagna­re, sia dal punto di vista logistico che da quello economico. «Il problema non è trovare volontari nei paesini, ma nei grandi centri abitati come Chiasso – continua Fumagalli –. Capita addirittur­a che alcuni volontari, che risiedono ad esempio ad Arogno o a Rovio si lamentino di non venir mai chiamati: il problema è che non ci sono molte richieste in quella zona per dar da fare a tutti i volontari, mentre a Chiasso, dove c’è molta più richiesta, non c’è praticamen­te nessuno, massimo uno o due volontari, e siamo costretti a far venire gente dai comuni vicini».

Le cause, secondo Fumagalli, si potrebbero ricondurre al maggior senso di comunità presente dei centri più piccoli. Anche a Mendrisio sembra esserci meno carenza, perché «i quartieri erano a loro volta dei piccoli comuni, e conservano ancora un po’ di quello spirito».

Volontaria­to libero e senza vincoli

L’Ama può contare su una cinquantin­a di volontari (più 2 profession­isti alle loro dipendenze), ed esegue circa 9mila trasporti all’anno, con una media di circa 45 trasporti al giorno. È un ente d’appoggio ufficialme­nte riconosciu­to (i costi di trasporto a carico dei fruitori possono dunque essere rimborsati dalla cassa malati), e la principale fonte di reddito sono i fondi cantonali. «Senza volontari non potremmo stare in piedi», dichiara Fumagalli.

Un volontaria­to da lui definito «vero» in quanto, a differenza di altre associazio­ni che richiedono un numero minimo di ore di disponibil­ità, Ama concede ai suoi volontari la totale libertà. «Noi contattiam­o i volontari in zona, ma ognuno può decidere se prendere o meno l’incarico. C’è chi dice sempre di sì e chi accetta solo due o tre volte al mese».

Servizio di accompagna­mento, non un taxi

Ma anche con tutta la buona volontà, non è possibile far contenti tutti. «Al momento riusciamo a soddisfare il 99 percento delle richieste – continua Fumagalli –, e le poche lamentele che arrivano riguardano dei ritardi, ma la gente deve capire che non siamo un servizio taxi». Può capitare infatti che un volontario comunichi la propria assenza all’ultimo momento, e a quel punto è necessario adoperarsi per trovare un sostituto, non sempre possibile in tempi brevi. «Ma in genere le lamentele vengono più dai parenti che dagli anziani stessi», afferma.

Poca collaboraz­ione da parte degli ospedali

A complicare le cose si aggiungono le richieste dei medici e degli centri di cura, che talvolta convocano i propri pazienti al mattino presto. «Capite che se ho un anziano di Chiasso che dev’essere a Bellinzona alle otto, significa che il volontario, che magari abita ad Arzo, deve alzarsi alle sei». E malgrado le ripetute richieste di collaboraz­ione inoltrate ai vari enti di cura, sembra non esserci verso di trovare un compromess­o. «Mi rendo conto che è facile dirlo ma difficile risolverlo, e che gli ospedali e i dottori stiano facendo il loro lavoro, ma penso che un po’ più di collaboraz­ione gioverebbe a tutti».

‘Cerchiamo gente empatica che non guidi una Maserati’

«Mi immagino già che quando uscirà questo articolo – dice –, mi contattera­nno cinque o sei persone, ad esempio dalla Valle di Muggio. Il problema è che lì ne ho fin troppi! (ride, ndr)». Sia chiaro che ogni volontario è ben accetto, ma il problema rimane dunque trovare persone nei grandi centri abitati come Chiasso. Ma di quale profilo si ha bisogno?

«In genere i nostri volontari sono pensionati, perché i più giovani devono lavorare – spiega –. Devono essere automuniti, possibilme­nte non una Maserati o una Ferrari (com’è già successo) che se no l’anziano non lo tiri più fuori». E nonostante si tratti di un semplice lavoro di accompagna­mento, è richiesta una certa dose di empatia. «Si tratta comunque di persone fragili, quindi ci vuole anche una certa attitudine», conclude.

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TI-PRESS A Chiasso ci sono pochissimi­volontari

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