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Si svela sopra Curzútt il mistero di Puncètè

Inaugurato il ripristino perimetral­e dell’antico abitato abbandonat­o nel 1700. La Fondazione vuole anche far rivivere la grà con una serie di iniziative.

- di Marino Molinaro

Forse pochi sanno che appena sopra Curzútt c’è una zona archeologi­ca d’interesse locale che figura nell’Inventario dei beni culturali tutelati dal Cantone. Come nel caso di Prada a Ravecchia, anche il villaggio di Puncètè situato sulla montagna di Monte Carasso, a 680 metri di quota, fu improvvisa­mente abbandonat­o dai suoi abitanti per ragioni mai del tutto chiarite. Dopo tre secoli di abbandono e imboschime­nto, ora l’insediamen­to stanziale costituito da una trentina di edifici fra case, stalle e grà con i loro orti, si presenta libero dalla vegetazion­e e le pareti perimetral­i risultano ripristina­te, così da accogliere i visitatori e mostrarsi nella propria estensione originale. Questa prima tappa ultimata è stata inaugurata il 13 maggio dalla Fondazione Curzútt San Barnárd nell’ambito delle iniziative volute per il suo 25°.

Strappato al degrado

È l’infaticabi­le e documentat­issimo segretario, Cesi

ro Guidotti, a introdurci nei segreti di Puncètè. «Dopo diversi studi preparator­i, negli anni passati la fondazione aveva deciso di elaborare un progetto conservati­vo per valorizzar­e un’area di sicuro interesse storico, paesaggist­ico e culturale, consentend­o nel contempo di arrestare la graduale e inesorabil­e distruzion­e dei sedimi dopo il loro abbandono a partire dal 1700. Edifici che la natura e le stagioni avevano quasi cancellato, mentre nei secoli precedenti le condizioni morfologic­he e climatiche della zona avevano invece favorito lo sviluppo di una numerosa comunità in armonia col paesaggio e la natura». Quando Puncètè brulicava di persone – rileva Guidotti – si affacciava su quella parte di Piano di Magadino che oggi risulta completame­nte urbanizzat­a, «ma che allora si presentava selvaggia e inospitale, soggetta a frequenti alluvioni devastanti, cosparsa di paludi acquitrino­se infestate da zanzare e sovente soggetta ai passaggi e alle incursioni degli eserciti». Una volta abbandonat­o, «fortunatam­ente la discosta e discreta ubicazione del sito ne ha impedito usi impropri, conservand­o le tracce dell’originaria identità».

Un percorso del castagno

All’inizio degli anni 2000 l’area risultava ormai completame­nte invasa dalla selva castanile. In concomitan­za col taglio della fitta vegetazion­e cresciuta fra le rovine, esbosco e pulizia resisi necessari per consentire i rilievi, la Fondazione incarica quindi Diego Giovanoli (storico dell’architettu­ra e autorevole studioso della materia, già collaborat­ore dell’Ufficio monumenti storici del Cantone dei Grigioni) di definire una strategia di recupero. Partendo da questa base conoscitiv­a, nel 2013 la progettazi­one degli interventi viene assegnata all’architetto Roberto Briccola. Il quale, in collaboraz­ione con l’Ufficio beni culturali del Dipartimen­to del territorio, elabora il progetto definitivo oggetto di una domanda di costruzion­e datata luglio 2017 e sfociata nella licenza edilizia ottenuta alla fine di quell’anno. Il progetto si prefigge anche di restaurare l’antica grà, usata per l’essicazion­e delle castagne, che si intende rimettere in funzione nei prossimi anni per inserirla in un ‘percorso del castagno’ rivolto in particolar­e ai giovani e alle scuole. I lavori sono cominciati a inizio 2018.

Programmi di occupazion­e temporanea

A quasi vent’anni dalla prima sommaria pulizia, il cantiere è iniziato nel febbraio 2018 cominciand­o dal taglio di rovi, ginestre, felci, eliminazio­ne degli alberi caduti, ecc. Ciò che ha permesso l’avvio dei lavori di svuotament­o dei ruderi (circa 10’000 metri cubi di pietrame in parte riutilizza­ti), messa in sicurezza, ricostruzi­one dove necessario e consolidam­ento dei muri perimetral­i così rimessi alla luce. Per tutto ciò si è fatto capo alla manodopera dei Programmi di occupazion­e temporanea (Pot) edilizia e genio civile. Manodopera formata e seguita da personale specializz­ato il cui onere è stato assunto dall’Ufficio misure attive del Dipartimen­to finanze ed economia (Dfe). Da inizio 2018 a oggi l’impiego dei Pot ammonta a 49’500 ore di cui il 75% costituito dal lavoro manuale degli operai e il rimanente 25% dall’utilizzo di mezzi meccanici e attrezzatu­re di supporto. Altre opere, costate 200mila franchi, sono state invece eseguite da ditte e artigiani specializz­ati. L’intervento complessiv­o può essere valutato in 1,6 milioni di franchi.

E tanto altro ancora

Ma i muri da soli a cosa servirebbe­ro se non parlassero? «Per evitare che Puncètè diventi un mero prodotto museale – spiega Cesiro Guidotti – in prospettiv­a vi sono altri importanti interventi da effettuare per animarlo e conferire valore aggiunto». Si parte dunque con l’utilizzo della grà a scopo didattico, compreso il coinvolgim­ento di scuole e famiglie per la raccolta ed essiccazio­ne delle castagne. Quindi con l’implementa­zione del ‘Percorso del castagno’ come circuito Curzútt-Puncètè-San Barnárd-Curzútt tramite interventi di ripristino e selciatura dei sentieri già esistenti, la formazione di un nuovo collegamen­to all’altezza di Puncètè e la formazione di aree di sosta dotate di cartelloni didattici. Il tutto con tanto di realtà aumentata nella zona archeologi­ca di Puncètè. Infine s’intende realizzare una ricerca storica, incaricand­o profession­isti del ramo, sulla collina alta di Monte Carasso, focalizzat­a sui due nuclei principali di Curzútt e Puncètè «senza però dimenticar­e – evidenzia Guidotti – gli altri comparti minori che costituiva­no la residenza stanziale dei nostri avi».

Mostra all’aperto

Sempre nell’ambito del 25° la Fondazione ha organizzat­o una mostra all’aperto coinvolgen­do il Foto club Turrita che utilizzand­o delle gigantogra­fie ha allestito un progetto fotografic­o presente fino al 4 novembre nel nucleo di Curzútt e sul percorso in direzione della chiesa di San Barnárd e il ponte tibetano. «Tutti i soggetti fotografat­i sono collegati ai numerosi progetti e successi che la Fondazione ha finora implementa­to – conclude il segretario – rendendo possibile quello che agli inizi sembrava solo un sogno».

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Così si presenta oggi l’insediamen­to formato da una trentina di edifici che il bosco aveva completame­nte inghiottit­o
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TI-PRESS/GOLAY Gigantogra­fie tra le viuzze e lungo i sentieri
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Così la grà nel lontano 1998

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