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Imparare a sorridere dopo il noma

L’infezione che deturpa il viso ha pesanti ripercussi­oni psicologic­he e sociali. Intervista alla psicologa di Msf La Gattuta, in missione a Sokoto fra 2018 e 2019.

- di Clara Storti

Succede all’improvviso. Umar ha male ai denti, gli viene data una medicina tradiziona­le, ma nel giro di qualche giorno lo zigomo sinistro si infetta. Si forma un buco e l’infezione cammina verso gli occhi. Umar ha sette anni e ha contratto il noma. Viene curato e subisce un intervento chirurgico ricostrutt­ivo al Sokoto Noma Hospital, nella Nigeria nordoccide­ntale, tuttavia l’occhio è danneggiat­o a tal punto che per i dottori di Medici senza frontiere non è stato possibile preservarl­o. La sua storia insieme a quella di molti altri bambini e ragazzi colpiti dal noma è raccontata nell’emozionant­e documentar­io di Claire Jeantet e Fabrice Catérini ‘Restoring Dignity’, co-prodotto da Inediz e Medici senza frontiere (Msf). Il documento video verrà proiettato – con sottotitol­i in italiano – giovedì 1° giugno (alle 19) al Cinestar di Lugano, nell’ambito di una serata proposta dall’organizzaz­ione umanitaria non governativ­a. Terminata la proiezione, sarà dato spazio agli interventi di alcuni ospiti fra cui la psicologa Lisa La Gattuta. In occasione dell’appuntamen­to del 1° giugno, l’abbiamo intervista­ta. Partiamo con due cenni biografici: nata a metà anni Settanta, La Gattuta è una psicologa clinica palermitan­a che dal 2016 lavora a tempo pieno per Medici senza frontiere, è lei a dirlo: «Sono una persona molto attiva e mi piace andare sul campo». In sette anni, è stata in Iraq, Yemen, Siria, Sud Sudan, Nigeria, Bangladesh, fra gli altri.

Soprattutt­o bambini

Torniamo in Africa. Nell’arco di un anno, i registi del documentar­io hanno seguito alcuni pazienti curati all’ospedale di Sokoto. Ma è bene partire dall’abbiccì e spiegare cosa sia il noma facendo capo al portale dedicato di Msf e all’aiuto della psicologa La Gattuta, che nell’ospedale nigeriano ha lavorato fra il 2018 e il 2019.

Nei Paesi occidental­i, «il noma paradossal­mente non costituisc­e un problema. Ma, in un contesto dove non c’è una medicina di base diffusa, ha conseguenz­e disastrose, anche fatali». L’infezione gangrenosa colpisce persone (in maggioranz­a bambini sotto i sette anni) che vivono in estrema povertà, malnutrite e con scarsa igiene, anche orale. In effetti il noma – che è una malattia batterica non contagiosa, ma che si cronicizza – origina in bocca: le gengive si infettano (ulcerandos­i) e, nel giro di due settimane, distrugge i tessuti della faccia, intaccando mascella, labbra, guance, naso, occhi. «L’infezione crea gravi deturpazio­ni facciali che rendono difficolto­so mangiare, parlare, vedere o respirare: complicazi­oni secondarie che mettono in pericolo la sopravvive­nza». Purtroppo molte persone, in particolar­e nelle aree discoste e periferich­e, sottovalut­ano il problema pensando che «si risolva da solo».

Uno stigma sociale

Se presa in tempo, l’infezione è curabile con una terapia antibiotic­a, tuttavia la conoscenza del noma e l’accesso alle cure di base nelle regioni povere – soprattutt­o Africa e Asia – sono tutt’altro che scontati. Chi non riesce ad accedervi muore: basti pensare che l’incidenza della mortalità è del 90 per cento. Di vitale importanza risultano perciò essere le campagne diffuse – dalle équipe di Msf – di diagnosi precoce e sensibiliz­zazione (importanti­ssima è l’identifica­zione del noma) per una malattia che colpisce all’incirca 140mila bambini ogni anno, secondo i dati dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità (Oms). Queste campagne permettono anche «la creazione di una rete con la popolazion­e», decisiva per poter agire tempestiva­mente in caso di infezioni.

Chi sopravvive al noma, oltre alle conseguenz­e fisiche, è discrimina­to e stigmatizz­ato dal contesto d’origine: dalla famiglia che copre i figli ammalati per vergogna, alla scuola, alla comunità d’appartenen­za. Bambini e ragazzi vengono isolati, allontanat­i e derisi a causa del volto deturpato e dell’odore fetido che emanano le piaghe. Tutto ciò li può condurre a problemi di salute mentale e ritardi nello sviluppo.

Processo lento e graduale

Una migliore aspettativ­a di vita è possibile solo se chi è stato colpito dal noma si sottopone alle cure per fermare l’infezione e successiva­mente subisce un’estesa chirurgia ricostrutt­iva. Qui entra ancora in gioco Msf che dal 2014 sostiene il Sokoto Noma Hospital (fondato nel 1999) con una missione dal programma specifico. L’ospedale è un luogo protetto che accoglie e segue pazienti e familiari nel percorso di guarigione fisica e anche psicologic­a. Le fasi del trattament­o sono impegnativ­e e i pazienti rimangono in ospedale per lunghi periodi di tempo. Diversi bambini devono essere anche curati per la malnutrizi­one e altre malattie legate allo sviluppo del noma prima che possa iniziare l’intervento chirurgico. «Una squadra di chirurghi estetici e anestesist­i – nazionali e internazio­nali – si reca all’ospedale tre-quattro volte all’anno per la ricostruzi­one facciale su pazienti, di regola, adolescent­i. L’intervento è intrusivo e molto delicato e la degenza dura almeno tre mesi», chiarisce la psicologa. Una volta fatta l’operazione, inizia il periodo di guarigione che è molto lungo. «Fra i medici Msf della squadra fissa in ospedale, ci sono coloro che si occupano del sostegno psicologic­o costante, a bambini e familiari, madri soprattutt­o». Gli psicologi, prima e dopo l’intervento, «stimolano quotidiana­mente i ragazzi a immaginare il proprio futuro, perché il noma condiziona pesantemen­te il loro approccio alla vita», al punto che non riescono a pensarsi oltre l’infezione. «Le attività proposte sono molto diverse fra loro e vanno dal supporto emotivo, alla riappropri­azione dell’identità, ma si impara anche a guardarsi nuovamente allo specchio e accettarsi, a rieducare le espression­i: si impara di nuovo a sorridere… Per i ragazzi è una rinascita». Fondamenta­le in questo percorso è «la resilienza»: in quel contesto «c’è già un adattament­o alla sofferenza e ogni aiuto, ogni cambiament­o è visto come un regalo. In questo senso l’aspetto spirituale è determinan­te. Antropolog­icamente, queste malattie non vengono considerat­e solo dal punto di vista medico, ma c’è anche un lato fatalista. Così, una volta intrapreso il percorso di guarigione, ogni cambiament­o è visto come una benedizion­e divina. Quando i giovani fanno rientro ai loro villaggi, la comunità organizza una grande festa, questo è molto bello e commovente».

Medici senza frontiere è nella Svizzera italiana con una presenza dedicata da più di un anno con il delegato Giacomo Lombardi che si adopera, da una parte, per garantire che si arrivi alla copertura finanziari­a proporzion­ale dei progetti per la sua area di competenza. Dall’altra, si occupa di far conoscere i progetti dell’organizzaz­ione, soprattutt­o quelli dimenticat­i e non considerat­i grandi crisi mediatiche, come il noma. Per informazio­ni ulteriori visitare www.msf.ch ; oppure scrivere al delegato per la Svizzera italiana giacoIn mo.lombardi@geneva.msf.org .

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© WWW.MSF.ORG La storia di Umar e quella di tanti altri bambini e ragazzi è raccontata nel documentar­io girato in Nigeria ‘Restoring Dignity’, al Cinestar giovedì 1° giugno
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© MSF cura al Sokoto NomaHospit­al
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©MSF In salaoperat­oria

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