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Truffa del vino: tre giorni di processo

Alle Criminali dal 20 al 23 giugno in cinque. Un sesto imputato alle Correziona­li. L’accusa: aver venduto vino comune spacciando­lo per prodotto di alto standard.

- di Dino Stevanovic e Andrea Manna

Truffa e contraffaz­ione di merci. Queste sono le due principali ipotesi di reato, e a queste se ne aggiungono altre minori, alle quali dovranno rispondere cinque imputati coinvolti a vario titolo nella cosiddetta ‘truffa del vino’, emersa cinque anni fa. Il Tribunale penale cantonale ha infatti predispost­o il rinvio a giudizio per i cinque. Gli accertamen­ti del Ministero pubblico e della Polizia cantonale sono terminati già a novembre del 2021 e il processo dinanzi alla Corte delle Assise criminali è stato fissato su tre giorni, dal 20 al 23 giugno prossimi.

Primi arresti cinque anni fa

Ricordiamo, in estrema sintesi, i fatti contestati dall’inchiesta coordinata dalla procuratri­ce pubblica Raffaella Rigamonti. A seguito di una segnalazio­ne in magistratu­ra di una persona attiva nel ramo, è stato infatti scoperto un presunto giro di vendita di vino comune spacciato come prodotto di alta qualità. Gli imputati avrebbero agito con ruoli differenti. In particolar­e, due svizzeri residenti nel Luganese di 64 e 69 anni e che sono stati i primi a essere arrestati, tramite diverse società avrebbero messo in commercio del vino comune, etichettan­dolo come vino di alta qualità e vendendolo a piccoli punti vendita, grandi catene commercial­i e prestigios­e enoteche. Gli altri accusati hanno 29, 55 e 69 anni e sono uno svizzero e due italiani, tutti residenti in Ticino. Una sesta persona, ci conferma il Ministero pubblico, è stata invece rinviata a giudizio dinanzi alla Corte delle Assise correziona­li. Questo procedimen­to si svolgerà nella forma del rito abbreviato.

La base: nell’Astigiano, in Piemonte

Il vino in questione non era ticinese ma importato. Stando a nostre informazio­ni, uno dei due luganesi era infatti il titolare di una ditta di importexpo­rt di vini. La provenienz­a del vino ritenuto contraffat­to dagli inquirenti sarebbe italiana, in particolar modo la base sarebbe stata in Piemonte, nell’Astigiano. E proprio con l’Italia ha a che vedere il filone principale dell’inchiesta, dove a seguito degli arresti ticinesi la Procura di Asti, la Guardia di finanza e i Carabinier­i di Canelli hanno portato all’arresto di diverse altre persone per un totale di una ventina di indagati. Una vera e propria presunta banda, che in due anni – dal 2016 al 2018 – avrebbe falsificat­o oltre 50’000 bottiglie. E con ruoli ben definiti: chi produceva, chi contraffac­eva e chi vendeva, oltre che in Italia e in Svizzera anche in Germania. Al centro dei fatti, un 43enne dell’Astigiano titolare di un’azienda del settore.

Grandi nomi come accusatori privati

Sia gli inquirenti ticinesi sia quelli italiani hanno sequestrat­o una gran mole di bottiglie: più di 15’000 in Italia e alcune migliaia in Ticino. E poi, altre confische in Italia: una ventina di cliché per stampare le etichette, più di 10’500 etichette singole, quasi 8’400 contrasseg­ni statali per le denominazi­oni Doc e Docg, oltre 165’000 capsule di chiusura per bottiglie con marchi o loghi di aziende vitivinico­le, oltre 200 chili di sostanze vietate in enologia, quali aromi, sciroppi e coloranti, che servivano per camuffare le bevande. Vini che venivano spacciati per cantine storiche e pregiate, come ad esempio Gaja, Antinori, Ornellaia. E che in Svizzera sono state rivendute anche da grandi catene commercial­i, come ad esempio Otto’s. Parti lese, che non a caso nel procedimen­to che andrà in scena fra meno di un mese a Lugano si sono costituite accusatori privati.

Chiesta la sospension­e per un imputato

E a loro volta vittime si erano detti, quantomeno inizialmen­te, anche una parte degli imputati che avevano affermato di essere stati a loro volta ingannati da chi il vino lo imbottigli­ava in Italia, non sapendo dunque che quello che stavano trattando fosse in realtà un vino comune. Resta da vedere in aula se queste tesi saranno ripresenta­te dalle difese e se, eventualme­nte, la Corte le accoglierà. Di certo c’è che, stando a nostre informazio­ni, uno degli imputati ha chiesto, tramite il proprio legale, la sospension­e del processo a suo carico. «Sì, confermo di aver inoltrato una richiesta in tal senso alla Corte – dice, interpella­to dalla ‘Regione’, l’avvocato

Pierluigi Pasi –. Abbiamo chiesto la sospension­e del procedimen­to sulla base del fatto che il mio cliente è stato già assolto in Italia nell’ambito di un’indagine della Procura di Asti apparentem­ente sullo stesso complesso di fatti». Potrebbe insomma entrare in ballo il principio del ne bis in idem, secondo il quale una persona non può essere processata due volte per i medesimi fatti.

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TI-PRESS/ARCHIVIO Sequestrat­e, fra Svizzera e Italia, alcune decine di migliaia di bottiglie ‘taroccate’

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