Sempre la stessa storia, con un finale da paura Di nuovo fuori ai quarti, per la quinta volta di fila tra Mondiali e Giochi. Fischer: ‘Abbiamo dato ragione a chi dice che non siamo pronti per vincere’.
A cento all’ora addosso a un muro. Esattamente come due anni prima, contro lo stesso avversario, allo stesso stadio della competizione, nella stessa città e persino alla stessa ora, pur se sul ghiaccio dell’Olympic Sports Centre e non quello della ben più imponente Arena Riga. Dove, beffarde, riecheggiano le note dell’inno tedesco che ha tutto il sapore del requiem, per una Svizzera dell’hockey a cui basta sentir nominare la parola Germania per scatenare una crisi di panico.
Del resto, non potrebbe essere altrimenti. Perché sin dai tempi di Ralph Krueger, che ebbe l’indiscusso merito di catapultare il nostro Paese tra le nazioni che contano (pur se, ai tempi, non ancora nel ristrettissimo novero di quelle che contano sul serio), la Svizzera cominciò – anche giustamente, perché i tedeschi non sono gli stessi di adesso – a darsi delle arie quand’era chiamata a sfidare la ‘Mannschaft’. Finché, quella nefasta sera di giovedì 20 maggio del 2010, a Mannheim, diede avvio a una maledizione che sembra non aver mai fine, regalando ai tedeschi la loro prima semifinale a un Campionato del mondo 57 anni dopo l’ultima volta. Esattamente come quella Svizzera affidata a Sean Simpson, anche quella di ieri aveva tutto per vincere, e invece ha perso.
La Svezia dei poveri
Un po’ come la Svezia quando si parla di finali, quando si arriva ai quarti la Germania ha il potere di annientare le speranze rossocrociate. È successo anche stavolta, in un pomeriggio in bianco e nero in cui Nino Niederreiter e compagni passano il tempo alla ricerca di loro stessi, di fronte a un avversario che ha un piano in testa e – magari anche grazie a un po’ di fortuna, visto che le tre reti tedesche cadono nei peggiori momenti possibili – lo porta a termine brillantemente. Grazie alla determinazione, all’abnegazione e persino allo stoicismo, verrebbe da dire. Spegnendo sul nascere qualsiasi velleità di una Svizzera che comincia ben presto a innervosirsi, per non dire a panicare, nonostante il ritorno in pista di tutti gli Nhl eccezion fatta per l’ammalato Denis Malgin. E la sua assenza, a conti fatti, è più importante di quanto sarebbe stato lecito immaginarsi.
Il capolinea delle idee
Non che la Svizzera non ci provi, ma durante l’intero pomeriggio non dà mai l’impressione di avere l’idea giusta per mettere realmente in difficoltà un avversario granitico anche nelle proprie convinzioni. A cui, come se non bastasse, serve anche poco per far male: prima un appoggio su Robert Mayer trasformatosi nel clamoroso gol dell’1-0, poi un gran tiro di John Peterka (otto partite fin qui, già cinque gol e altrettanti assist per il ventunenne attaccante dei Buffalo Sabres) e, infine, il micidiale contropiede rifinito da Marco Sturm, in una superiorità numerica in cui i cinque rossocrociati in pista hanno la testa altrove. Crudele, certo, ma logico epilogo. Per un altro finale da paura a cui questa Nazionale ci ha abituati: infatti è dall’argento in Danimarca nel 2018 che gli elvetici non passano più i quarti a un Mondiale (e fanno cinque volte di fila contando i Giochi di Pechino). «Davvero, non ho una spiegazione – dice il tecnico –. Eravamo ottimisti, avevamo buone sensazioni perché avvertivamo che la squadra era tranquilla, concentrata sulla partita. Invece abbiamo concesso dei regali ai tedeschi, e quei regali ci hanno portati ad andare sotto. Sono deluso, anche da me stesso: ancora una volta abbiamo fallito, non siamo riusciti a fare la partita che dovevamo. Non eravamo concentrati al 100%, abbiamo perso troppi dischi, e lo 0-1 ci ha resi insicuri. Alla prima pausa ci siamo detti che dovevamo cominciare a giocare a hockey, infatti abbiamo cominciato bene il secondo tempo e abbiamo preso il ritmo. Poi sono arrivate quelle penalità per bastone alto e nuovamente abbiamo perso il ritmo, ed è diventato tutto più laborioso. E ora sono molto arrabbiato, perché abbiamo dato ragione a chi dice che non siamo pronti per vincere. È questo che mi turba di più».
‘Io non getto la spugna’
Poi, ‘Fischi’ – che è ancora sotto contratto con la Federazione fino al 2024 – torna sui proclami d’inizio torneo, parlando di grandi obiettivi che, se non fossero stati raggiunti, avrebbe dovuto essere qualcun altro a perseguire. «Certo, confermo ciò che ho detto. Ma io sono un combattente, lo sono sempre stato, non sarò io a gettare la spugna: tocca agli altri decidere. Ma la responsabilità è dell’allenatore, sempre, è una cosa che accetto. Se dovessi continuare, per me è importante sapere di avere la fiducia dei giocatori, e quella fiducia l’ho avvertita».
Certo che, ripensando alle scelte fatte nelle ultimissime ore, tutto si può dire tranne che Fischer ci abbia visto giusto, dapprima lasciando fuori Hischier, Kukan, Niederreiter e Malgin contro i lettoni, poi schierando tra i pali Robert Mayer contro i tedeschi, invece di un Leonardo Genoni che, statistiche alla mano, dopo la prima fase era il portiere con la miglior percentuale di parate (96,6%). «Mi dispiace per Roby, perché ha giocato molto bene durante tutta la stagione, e ha giocato dei playoff sensazionali: è stata una scelta difficile decidere chi avrebbe giocato in porta, perché abbiamo due portieri molto forti a disposizione». Anche se, aggiunge ‘Fischi’ riguardo alla misura che era stata presa martedì sera, «Nino (Niederreiter, ndr) stava già poco bene dopo la partita contro i cechi, mentre Nico (Hischier, ndr) non ha dormito per tre notti di fila a causa del jet lag. Quindi era chiaro che avremmo dovuto conceder loro un po’ di riposo, però sì, è vero, durante tutta la partita sono venute a mancare compattezza e linearità».
‘È come aver fatto tutto per niente’
L’amarezza che avverte Fischer, se possibile, è anche più forte tra i giocatori. «Cosa mi passa per la testa? Non saprei, fa un male cane... – spiega uno sconfortato Andres Ambühl –. Dopo una preparazione relativamente lunga e aver giocato un’ottima prima parte di Mondiale, uscire adesso, in questo modo, ti porta a dire che tutto ciò che hai fatto l’hai fatto per niente... Perché è successo? È difficile dirlo così, senza poter analizzare bene le cose. Non credo che sia stato un problema di testa, il fatto è che non siamo riusciti a mettere abbastanza dischi davanti alla loro porta, infatti alla fine siamo riusciti a segnare soltanto una rete. Le situazioni speciali? Sappiamo bene che a questi livelli sono fattori decisivi sul serio, ma se il boxplay trovo che abbia lavorato bene, il powerplay non è riuscito a creare. Ed è un po’ lo stesso problema che abbiamo avuto a cinque contro cinque».