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Uno storico processo con diverse incognite

Il gambiano Ousman Sonko da ieri alla sbarra al Tpf di Bellinzona. È accusato anche di crimini contro l’umanità. I dibattimen­ti si prospettan­o complicati

- di Stefano Guerra/Ats

Un processo per certi versi storico si è aperto alle 9 di ieri mattina al numero 7 di viale Stefano Franscini a Bellinzona, sede del Tribunale penale federale (Tpf). La Corte penale del Tpf, come tribunale di prima istanza, è chiamata a giudicare l’ex ministro dell’interno del Gambia Ousman Sonko per una lunga serie di crimini che avrebbe commesso tra il 2000 e il 2016. Il processo durerà in linea di massima fino alla fine di gennaio. Vi spieghiamo qual è la posta in gioco.

Chi è Ousman Sonko?

È un ex ministro dell’interno del Gambia, piccolo Stato di 2,5 milioni d’abitanti dell’Africa occidental­e retto col pugno di ferro dal 1994 al 2016 da Yahya Jammeh. Secondo Human Rights Watch, il regime dell’ex presidente (partito in esilio nel gennaio del 2017, dopo un vano tentativo di contestare l’esito delle elezioni che aveva perso) è stato caratteriz­zato da “abusi diffusi, tra cui sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudi­ziali”. Sonko è stato per lunghi anni un fedelissim­o di Jammeh, ricoprendo diversi ruoli: dapprima come ufficiale dell’esercito e comandante della Guardia di Stato (il Corpo incaricato della protezione del presidente); in seguito come ispettore generale della polizia; infine, dal 2006 al 2016, come ministro dell’interno e in quanto tale responsabi­le dei servizi di sicurezza. Sonko compie proprio oggi 55 anni. Da sette è in carcere (dapprima preventivo, poi di sicurezza) in Svizzera.

Di cosa è accusato?

Tra le altre cose di omicidio intenziona­le, lesione grave, esposizion­e a pericolo della vita altrui, tortura e violenza carnale. I reati sarebbero stati commessi tra il gennaio del 2000 e il settembre del 2016, quando è stato destituito dall’incarico di ministro dell’interno. Il Ministero pubblico della Confederaz­ione (Mpc) ha considerat­o ciascuno dei presunti reati (tra cui l’uccisione di un militare sospettato di essere un ‘putschista’ e le ripetute violenze nei confronti della di lui moglie, presente a Bellinzona in qualità di accusatric­e privata) come ‘ordinari’, ma in alternativ­a sempre come crimini contro l’umanità, cioè come “parte di un attacco esteso e sistematic­o contro la popolazion­e civile”. La procura federale accusa Sonko di aver commesso la maggior parte di questi crimini in complicità con Yahya Jammeh e con dirigenti delle forze di sicurezza e dei servizi carcerari. L’atto d’accusa, che consta di 142 pagine, è stato redatto dalla procuratri­ce federale Sabrina Beyeler. Vale la presunzion­e d’innocenza.

Cosa dice Sonko riguardo alle accuse?

Le respinge in toto, addossando ad altri eventuali responsabi­lità. Lo ha ribadito in questi giorni il suo difensore. In dichiarazi­oni all’agenzia Afp, Philippe Currat – insignito tra l’altro nel 2023 del Premio svizzero dei diritti umani dalla sezione elvetica della Società internazio­nale per i diritti umani (Igfm) – sostiene che i fatti descritti nell’atto d’accusa non sono responsabi­lità del suo mandante, ma dei servizi segreti (Nia), e “questa agenzia non è mai stata sotto l’autorità o il controllo, né di fatto né di diritto, di Ousman Sonko”.

Quali sono i nodi da sciogliere?

Sono essenzialm­ente tre:

● Anzitutto, si tratta di capire se Sonko ha effettivam­ente commesso i singoli reati che gli sono imputati. Particolar­mente complicato sarà provare la sua colpevolez­za in quelli dove avrebbe agito non in qualità di esecutore materiale, ma di mandante. Per giunta, alcuni dei reati (non quello di crimini contro l’umanità, comunque) potrebbero essere caduti in prescrizio­ne nel frattempo.

● L’Mpc persegue i crimini internazio­nali più gravi soltanto dal 2011, ma alcuni di quelli di cui è accusato Sonko sono antecedent­i. La questione è: può la giustizia penale – e in tal caso, a quali condizioni – applicarsi retroattiv­amente, cioè a crimini commessi prima che determinat­e norme penali entrassero in vigore?

● Si tratta infine di stabilire se i singoli crimini di cui è accusato Sonko rientrano in un disegno più ampio, ovvero se sono stati commessi come parte di un attacco esteso e sistematic­o contro la popolazion­e civile. In questo caso verrebbero qualificat­i come crimini contro l’umanità.

Perché se ne occupa la giustizia svizzera?

Perché la Svizzera, ratificand­o nel 2001 lo Statuto di Roma della Corte penale internazio­nale (Cpi), ha fatto proprio il principio della giurisdizi­one universale. Si è così impegnata a giudicare i crimini più gravi (genocidio, crimini contro l’umanità, ecc.) commessi all’estero da persone di qualsiasi nazionalit­à, a condizione che queste si trovino sul suo suolo e non siano oggetto di una richiesta d’estradizio­ne. Condizioni che, nel caso di Sonko, erano soddisfatt­e.

Perché Sonko si trovava in Svizzera?

Nel 2016 Sonko cade in disgrazia presso Jammeh, che lo priva del suo incarico ministeria­le. Parte per la Svezia, dove fa domanda d’asilo. La sua richiesta è respinta. Ma poiché in mano ha un visto valido per la Svizzera (rilasciato­gli quand’era ancora ministro per partecipar­e a una conferenza internazio­nale a Ginevra), viene ‘dirottato’ verso la Confederaz­ione. Anche qui Sonko inoltra una domanda d’asilo. Per mesi alloggia indisturba­to nel centro per richiedent­i asilo di Kappelen-Lyss (Be). Finché l’emissione ‘Rundschau’ della Srf ne rivela la presenza. L’ong Trial Internatio­nal – con sede a Ginevra, specializz­ata nello scovare presunti autori di crimini internazio­nali di passaggio in Svizzera – sporge denuncia penale. L’indomani l’ex ministro gambiano finisce dietro le sbarre. È lì che si trova da quel 26 gennaio del 2017: le sue numerose richieste di rilascio sono state tutte respinte, a causa del rischio di fuga e di una forte presunzion­e di colpevolez­za.

Perché il processo è rilevante?

Per diverse ragioni. La risonanza mediatica è dovuta in particolar­e al fatto che Sonko è il più alto responsabi­le politico processato sin qui in Europa per crimini internazio­nali in nome della giurisdizi­one universale. In Svizzera, poi, esiste un solo precedente per quanto riguarda i crimini contro l’umanità: nel luglio dello scorso anno, sempre al Tpf, l’ex comandante ribelle liberiano Alieu Kosiah è stato condannato in appello a 20 anni di reclusione e a 15 di espulsione dalla Svizzera. Prima di allora la gran parte dei procedimen­ti avviati dall’Mpc in materia di diritto penale internazio­nale si erano conclusi con l’archiviazi­one. Quest’anno era in programma a Bellinzona anche il processo contro Khaled Nezzar. Non se ne farà nulla: l’ex generale e ministro algerino della difesa – accusato di crimini contro l’umanità durante la guerra civile degli anni 90 nel suo Paese – è morto lo scorso 29 dicembre all’età di 86 anni.

Quali sono le aspettativ­e in Gambia?

Il processo in corso al Tpf è seguito con grande interesse nel Paese africano, dove è stata istituita una Commission­e di verità e riconcilia­zione incaricata di far luce sulle violazioni dei diritti umani commesse durante il regime di Yahya Jammeh. Una condanna a Sonko sarebbe un tassello importante di questo processo di rielaboraz­ione del recente passato. Avrebbe “un’enorme implicazio­ne legale e politica in Gambia”, poiché – come ha spiegato al settimanal­e ‘area’ Mustapha K. Darboe, del portale investigat­ivo gambiano Malagen.org – “un buon numero di persone che hanno partecipat­o agli stessi presunti crimini di cui Sonko è accusato ricoprono ancora cariche pubbliche”. “Dal 2017 solo due casi relativi a crimini commessi sotto il governo Jammeh sono stati perseguiti in Gambia. Molto di più è stato fatto all’estero [in Germania in particolar­e, ndr]. (...) Per le vittime, quindi, le cose sembrano muoversi più velocement­e all’estero che nel Paese. Questo sta costringen­do il governo gambiano ad agire anche a casa propria”, dichiara il giornalist­a, anche lui presente in questi giorni a Bellinzona.

Cos’è successo ieri al Tpf?

La difesa ha duramente criticato la pertinenza delle accuse e lamentato lacune procedural­i, chiedendo l’archiviazi­one del caso. Quale questione pregiudizi­ale, Philippe Currat ha tra l’altro sostenuto che il Codice penale svizzero non è applicabil­e a una parte significat­iva delle accuse. L’avvocato ha inoltre menzionato il divieto della retroattiv­ità della legge penale (vedi sopra). Ha infine elencato numerose fasi del procedimen­to in cui, a suo dire, sono stati commessi errori o sono stati violati i diritti del suo cliente. Ad esempio, le persone interrogat­e in Gambia non erano state informate del loro diritto alla presenza di un legale. La procuratri­ce federale Sabrina Beyeler ha replicato punto per punto alle argomentaz­ioni della difesa, bollate in parte come “insinuazio­ni diffamator­ie”, sostenendo in particolar­e che la Svizzera è competente per giudicare le accuse di crimini contro l’umanità mosse nei confronti di Sonko.

Come si va avanti?

Il Tpf comunicher­à oggi la sua decisione in merito alla questione della competenza. Se darà il nullaosta, il processo durerà fino alla fine di gennaio, per un totale di 17 giorni di dibattimen­to (cinque giorni di riserva sono stati previsti in marzo). Sono una decina le vittime dirette e i discendent­i di vittime che si sono costituiti accusatori privati. Davanti alla Corte penale del Tpf prenderann­o la parola anche testimoni arrivati dal Gambia, nonché lo stesso Sonko. La procura federale comunicher­à la richiesta di pena durante i dibattimen­ti, che si svolgono in tedesco e solo in parte vengono tradotti in inglese. «Non bisogna nasconderl­o, il processo è complicato», ha affermato alla Rts Alain Werner, fondatore e direttore dell’ong ginevrina Civitas Maxima, attiva nella promozione del perseguime­nto di crimini contro l’umanità in particolar­e in Africa occidental­e.

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KEYSTONE Vittime e loro famigliari davanti al Tribunale penale federale nel primo giorno didibattim­enti
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WIKIMEDIA Sonko in una fotografia del dicembre20­08

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