‘Perdiamo il pensiero, dobbiamo rallentare’
Oggi si parla di abilità utili al lavoro, dice Daniele Dell’Agnola. Ma queste conoscenze necessitano radici, che si costruiscono con le storie e la pazienza
I recenti dati Pisa l’hanno sorpresa?
Non particolarmente. Quanto emerge deve assolutamente impegnare tutti coloro che lavorano in ambito educativo: la scuola in quanto istituzione, e le famiglie. Delle cifre relative alla difficoltà nella lettura va tenuto conto, poiché indicatori del fatto che c’è parecchio da lavorare. In quest’ambito cito spesso Maryanne Wolf (vedi articolo a fianco, ndr) secondo la quale abbiamo bisogno di processi cognitivi più lenti, per favorire il pensiero critico e l’empatia. Ossia per costruire le fondamenta della conoscenza. Purtroppo, sostiene la neuroscienziata, siamo ormai abituati a leggere informazioni ‘saltellando’. Con l’avvento e l’accresciuto utilizzo della tecnologia il nostro cervello oggi è addestrato a ricevere molte più informazioni, ma al contempo si adatta a ‘rimbalzare’ qua e là. E questo non favorisce la nostra attenzione.
Quali sono le conseguenze di questo modo di leggere ‘a balzi’?
In pratica siamo distratti e stiamo crescendo bambini distratti. Ciò è un problema, che a mio parere si riflette nei dati che anche l’analisi Pisa ci mostra, in relazione ai quindicenni in difficoltà nel capire un testo. Sempre la neuroscienziata Wolf parla delle piste neuronali che il cervello attiva quando legge la parola poi la frase e poi un testo, quando analizza e quando fa le inferenze. In estrema sintesi: analizzando la nostra realtà digitalizzata, Wolf si dice preoccupata della relazione tra il numero di caratteri con i quali scegliamo di scrivere o leggere e il modo in cui pensiamo. E la sua tesi è quella che la nostra pazienza cognitiva stia vieppiù venendo meno.
La scuola può fare qualcosa (e cosa?) per invertire la tendenza?
La scuola può lavorare sui fondamentali. Vale a dire quelle conoscenze disciplinari (nell’italiano, ma evidentemente non solo), che diventano poi competenze. Occorre partire, soprattutto nell’infanzia, dall’ascolto dei testi letti ad alta voce e per questo è necessario che i docenti sappiano scegliere contenuti buoni, affinché il bambino si abitui a seguire storie di qualità lette ad alta voce (la voce rassicurante dell’adulto competente, che può essere anche un genitore, un nonno o altri) in modo da attivare quei processi cognitivi. Un bimbo abituato a seguire narrazioni, sviluppa ed esercita l’empatia attraverso l’attivazione di piste neuronali. Se invece il cervello non cresce con queste connessioni, si genera una carenza di conoscenze pregresse, le quali a loro volta creeranno lettori facili prede di informazioni non verificate o false. Se non si attiva il livello di comprensione profonda, si diventa adulti ‘impazienti’.
La difficoltà di lettura non si riduce quindi alla ‘sola’ crisi del libro, per dire una delle conseguenze più evidenti che vengono in mente. Faticare a leggere, genera la perdita di una serie di competenze in vari ambiti, ad esempio la capacità di esprimersi oppure la comprensione degli stati d’animo altrui. Cosa significa?
Quello che io leggo in tutto ciò, è una scomparsa di complessità nel pensiero. Ne parla anche Sherry Turkle nel suo libro ‘La conversazione necessaria’, nel quale la sociologa e psicologa statunitense parla dell’importanza del confronto a quattr’occhi, con il corpo e la voce, anche quando dobbiamo stare nel conflitto con le parole. È una fatica fondamentale per crescere.
Perché è essenziale la connessione con il libro di carta?
Perché dobbiamo rallentare e lavorare sull’essenziale. Oggi si sente parlare di ‘competenze trasversali’, ossia le ‘skills’ necessarie nel mondo del lavoro. Però attenzione: le radici si costruiscono anche con le storie; siano esse ascoltate, lette, scritte. Se perdiamo queste radici, perdiamo pensiero e dunque anche pensiero critico. E in ultima analisi va smarrita anche quella trasversalità ritenuta così fondamentale, in quanto tutte le abilità hanno bisogno di conoscenza che può diventare competenza. Ma si arriva alla competenza solo se abbiamo modelli linguistici e riferimenti culturali che ci diano profondità.
È un discorso che riguarda sì lettura e scrittura, ciò nondimeno la pazienza di esercitarsi può applicarsi a diversi aspetti della vita: allenare il corpo, abituarsi ad ascoltare la musica e così via. Se non invertiamo la tendenza, è purtroppo una scommessa che non vinceremo.
Invertire la tendenza richiede un impegno gravoso?
Più che altro a essere essenziale è la regolarità. In Svizzera, e anche nella Svizzera italiana, abbiamo una grande fortuna che consiste in un sistema bibliotecario notevole. È un servizio che garantisce un accesso al libro per tutte le famiglie, indipendentemente dalle capacità economiche. A mio parere questa è una grande ricchezza, da cui si può partire.
È fiducioso? C’è margine, oggi, per portare o riportare alla lettura e all’ascolto?
È ovvio che i binari tracciati siano quelli della tecnologia; la quale, a scanso di equivoci, è importantissima. Peraltro non si tratta di andare contro questo mezzo e tornare ai soli libri di carta. Il discorso è invece molto diverso: si usi il libro di carta come strumento per allenare la pazienza cognitiva. È proprio la pazienza cognitiva che permette di entrare nel mondo della tecnologia con molta più competenza.
Quindi investire nella lettura non è una sottrazione di tempo all’acquisizione di quelle competenze ritenute necessarie nel mondo del lavoro, ma al contrario è utile e funzionale proprio a questo?
Certo. Dedicare tempo, rallentare, è un concetto che oggi non fa molta presa. Ma è proprio nella scuola che si può farlo, in quanto luogo che per sua natura resiste. In che senso? Faccio un solo esempio recente: nei mesi più duri della pandemia, proprio la scuola era una delle poche istituzioni aperte, in questo senso, a resistere. Poi va detto che non tutto dev’essere funzionale al mondo del lavoro.
Tra obiettivi, programmi e incombenze varie, i docenti devono sacrificare qualcosa affinché possano ritagliarsi il tempo da dedicare alla lettura? Rallentare è un lusso?
Non la vedo così. Peraltro proprio nel piano di studi della scuola dell’obbligo (pubblicato nel 2022) per l’italiano, a fine Medie, alla voce ‘scrivere e parlare’ è indicato che “l’allievo è in grado di comporre spontaneamente, e dopo un’adeguata preparazione, testi orali e scritti di diverso tipo (argomentativi, espositivi, narrativi) facendo ricorso ai modelli linguistici e testuali assimilati, per esprimere e condividere esperienze, narrazioni, conoscenze e opinioni”. Questo è basilare. Come ci si arriva? Ascoltando, leggendo parecchio, allenandosi a scrivere. E, non da ultimo, imparando un metodo. Dentro tutto ciò c’è la pazienza cognitiva. Non è un lusso. L’insegnante sceglie testi di qualità, ci lavora con cura, tenendo conto che per imparare un metodo occorre assimilarlo e ci vuole tempo. Quali storie leggere? Basti seguire il podcast dell’Istituto svizzero Media e Ragazzi ‘Tutt’orecchi’ curato da Letizia Bolzani, oppure ‘Storiecontrovento’ o il nostro festival di letteratura infanzia ‘Con le ali’, per avere un’idea della qualità oggi a disposizione. Senza dimenticare i classici.
Pisa mette in evidenza come una delle principali discriminanti sia la condizione economica delle famiglie. Quando i figli arrivano a scuola, si possono ancora recuperare eventuali lacune derivanti dal poco allenamento all’ascolto e alla lettura?
È vero che l’età zero-quattro anni è determinante, ma la scuola può fare moltissimo per colmare il divario. In Ticino lo si sta facendo, attraverso ad esempio i laboratori di scrittura in prima e quartaMedia.