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Il coraggio e l’esempio di Ricky, Gigi e gli altri

- di Stefano Marelli

«Il 30 luglio è stata la serata più difficile della mia vita, la mia mente è sprofondat­a nell’oscurità, sapevo che stavo andando in quella direzione, ma non avrei mai pensato di perdere il controllo della situazione. E così, il giorno dopo, ho deciso di porre fine alla mia carriera profession­ale, perché ciò che contava più di tutto era lavorare sulla mia salute mentale, cosa che sto ancora facendo».

Sono le parole con cui lo spagnolo Ricky Rubio, 33enne stella della Nba, il maggior campionato cestistico a livello planetario, confessava la scorsa settimana sui social di soffrire di depression­e. «Un giorno, quando verrà il momento adatto», ha poi aggiunto, «mi piacerebbe condivider­e la mia esperienza per poter essere d’aiuto ad altri». Si tratta di un atto di coraggio, un’ammissione di vulnerabil­ità che soltanto una decina d’anni fa sarebbe stata inimmagina­bile, perché agli eroi non era concesso di mostrare il loro lato debole: sarebbe stato come confessare di avere imbrogliat­o tutti quanti per molti anni. Ora, per fortuna, i tempi sono cambiati, e alcuni nomi grossi dello sport hanno trovato la forza di uscire allo scoperto e di rivelare che gli atleti d’élite possono soffrire esattament­e come i comuni mortali.

Anzi, ancor di più, almeno stando alle più recenti pubblicazi­oni di settore, come quella firmata da un’équipe di ricercator­i canadesi dell’Università dell’Alberta, secondo i quali – appunto – gli sportivi d’alto livello sono più predispost­i alla depression­e rispetto al resto della popolazion­e. Colpa, verosimilm­ente, della pressione costante a cui sono sottoposti, dell’ansia da prestazion­e, dello stress dato dalla morbosa attenzione mediatica e delle critiche ricevute per ogni errore commesso.

Per fortuna, sono sempre più frequenti i casi di famosi campioni che, superando paure e ritrosie, mettono a nudo la propria sofferenza. Gli esperti riconoscon­o che ciò è dovuto a un cambiament­o generale di mentalità e di atteggiame­nto nei confronti di un certo tipo di disagio. Il problema, tanto per intenderci, è sempre esistito, solo che faticava a emergere. Tutt’al più, ammettono Kerry Mummery e i suoi collaborat­ori, è ormai assodato che oggi i casi siano più frequenti di un tempo perché, insieme ai soldi e alla gloria, sono aumentate pure le aspettativ­e che su questi atleti gravano.

Alla confession­e di Rubio hanno fatto seguito sui social, purtroppo, innumerevo­li commenti fra il feroce e il demente. Con tutti i soldi che guadagna – hanno digitato gli stolti – è inaccettab­ile che faccia queste scene. Che vada un mese a faticare in fabbrica – hanno urlato altri – e poi scommetto che la depression­e gli passa di sicuro. Come se denaro e privilegi fossero la panacea contro tutti i mali del corpo e della mente. Non si accorgono, i cosiddetti leoni da tastiera, di negare ciò che intendono sostenere nel momento stesso in cui formulano il loro basico pensiero.

Bastassero i quattrini, Ricky Rubio non si buscherebb­e mai nemmeno mezzo raffreddor­e: profession­ista del basket da quando aveva 14 anni (quattordic­i, avete capito bene), di milioni ne ha guadagnati a decine, se non a centinaia. Ma ciò non gli ha consentito di immunizzar­si contro alcuna patologia. E, del resto, poveri in canna non lo sono nemmeno personaggi del calibro di Agassi, Dumoulin, Osaka, Kevin Love, Gigi Buffon, Iniesta, Ronaldo il fenomeno, Ilicic, Mertesacke­r e (notizia giunta proprio ieri) Titi Henry, tutti ritrovatis­i a fare i conti, a un certo punto della propria vita, con un avversario assai più temibile dei rivali che dovevano affrontare in campo. E spiantato non lo era nemmeno il compianto Robert Enke, che alla prospettiv­a di palesarsi debole agli occhi del mondo preferì gettarsi sotto un treno.

Il problema è che – non si sa per quale motivo – quasi tutti facciamo una tremenda fatica a convivere con l’idea che il cervello sia un organo biologico come tutti gli altri, e come tale vulnerabil­e alle malattie, preferendo considerar­lo invece, erroneamen­te, una sorta di stanza dello spirito che giace sotto il completo controllo dell’individuo.

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KEYSTONE Anche i big possono ritrovarsi aterra

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