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‘Basta con gli americani, facciamo un disco mediterran­eo’

A 25 anni dalla sua morte e a 40 dall’uscita di ‘Crêuza de mä’, il ricordo di Fabrizio De André e di un disco che ‘non lo capiscono neanche a Genova’ (era il 1984...)

- di Beppe Donadio

È l’11 agosto del 1984, data del primo concerto ligure di ‘Crêuza de mä’, album dopo il quale la musica italiana cambierà. Magari non subito, ma per sempre. Fabrizio De André con musicisti al seguito ha appena suonato sul palco allestito nel campo sportivo di Pietra Ligure in provincia di Savona, 13mila lire il biglietto, 3mila i paganti; negli spogliatoi dello stadio, tra un treno e l’altro che gli passano alle spalle perché il campo è vicino alla ferrovia, il cantautore – una bottiglia di Johnnie Walker al suo fianco, giornalist­i e membri dello staff che vanno e vengono – è “stanco ma loquace” e si fa intervista­re.

Il tour di 21 concerti è iniziato a Zelarino, nel Veneziano, è passato da Bregenz, in Austria, e promuove un disco tutt’altro che radiofonic­o. La prima domanda riguarda quella che per il tempo fu una totale anomalia: “Non è, quello di questo ultimo 33 giri, un linguaggio molto immediato, il dialetto”, chiede Radio Savona Sound aDe André, che subito vuole che si distingua tra dialetto e idioma e si produce in una lunga dissertazi­one sul genovese per dire di un disco che “ha come suo obiettivo fondamenta­le quello di fare una specie di sintesi di quelli che sono le voci, i fonemi, i suoni mediterran­ei”. E col bouzouki parte una dissertazi­one aggiunta sulla strumentaz­ione del disco, rivoluzion­aria, una cosa da fare strabuzzar­e gli occhi al futuro premio Oscar David Byrne, fondatore dei Talking Heads, e pure a Peter Gabriel, informato dal collega dell’esistenza di “uno strano disco italiano, dal titolo ancora più strano, composto da un certo Fabrizio De André”.

“È una musica creata dal nulla, è come un viaggio nel tempo inventato che descrive il Mediterran­eo senza viaggiare veramente, un po’ come un libro di Salgari” (Mauro Pagani)

‘Facce di marinai – L’avventura mediterran­ea di Fabrizio De André e Mauro Pagani’(Arcana), libro scritto da Alfonso Amodio e Ferdinando Molteni, è una sorta di carta nautica di ‘Crêuza de mä’, album uscito nel marzo di quarant’anni fa. Si apre proprio con la nota introdutti­va di Peter Gabriel, ex frontman dei Genesis, colpito dalla “purissimaw­orld music” contenuta in quel disco; un pianeta, la world music, che anche l’artista britannico aveva iniziato a esplorare alla fine degli anni 70, “sia pure viaggiando su traiettori­e diverse”. Il destino avrebbe portato Peter Gabriel ad acquistare una casa di vacanza in Sardegna, a pochi chilometri da quella di De André, a sancire un percorso lavorativo ed esistenzia­le almeno simile. “Era come se il potere insondabil­e della musica e gli spiriti dell’isola – scrive ancora l’ex Genesis – ci avessero guidati su sentieri paralleli”.

L’INTERVISTA ‘Più popolare oggi di quand’era vivo’

Rimaneggia­to, riscritto in tante parti e aggiornato, ‘Facce di marinai’ (che nel 2011 fu ‘Controsole. FabrizioDe André e Crêuza demä’) porta con sé l’intervista ritrovata nel 2010, di cui all’inizio. «Fu una vera scoperta», ci racconta Ferdinando Molteni, giornalist­a, saggista, docente e musicista, già autore de ‘L’ultimo giorno di Luigi Tenco’, fedele ricostruzi­one di un presunto suicidio. «Ho lavorato per tanti anni a Radio Savona Sound, tra le prime radio libere, nata tra il ’73 e il ’74 e rimasta comunque indipenden­te, e lavoro tuttora con Alfonso Amodio, storico e Dj», coautore del libro. «La radio seguiva tutti i concerti, ha conservato per anni montagne di cassette C60 con le registrazi­oni delle interviste e per il fatto che le musicasset­te potevano essere reincise più volte, molte cose sono andate perdute». Molte tranne quella registrazi­one dell’estate dell’84: «Una sera arriva Alfonso e mi dice: “Senti cos’ho trovato…”, e ascoltiamo questa voce che arriva dal passato, che ci ha spinto a fare il libro». La voce “baritonale, strascicat­a e un po’brilla di Fabrizio De André”, per dirla col libro.

Ferdinando Molteni: a parte riepilogar­ne la grandezza, cosa si può dire, venticinqu­e anni dopo, senza cadere nella retorica?

Si può dire che oggi Fabrizio De André è molto più popolare di quand’era vivo. Dalla sua morte in avanti è stato un crescendo, molto ben gestito da Dori Ghezzi, dalla Fondazione, dagli amici di Genova di Via del Campo (Via del Campo 29 rosso, ndr), dove è allestito un museo dei cantautori imperniato comunque su De André. Da loro è venuto un gran lavoro anche di riedizione, mentre di alcuni artisti di cui abbiamo parlato in passato, come Luigi Tenco, manca un’edizione definitiva delle relative canzoni. Di Fabrizio, al contrario, le riedizioni abbondano, non ultima la raccolta di concerti pubblicata qualche anno fa.

Mettiamoci anche la morte in età relativame­nte giovane…

Beh, gli eroi sono sempre giovani e belli, o come dicono gli americani “solo i migliori muoiono giovani”. De André è morto prematuram­ente e, oltretutto, al vertice creativo della carriera. Ciò che colpisce di lui, in questo senso, è il crescendo continuo: gli ultimi due album sono il picco della sua produzione, pur avendo egli già dato molto, artisticam­ente. Quando è morto, ci è proprio mancato ‘il prossimo disco’.

Chissà cosa sarebbe arrivato da un artista capace di giocarsi tutto in ‘Crêuza de mä’. Se la Pfm dovette convincerl­o della bontà dell’idea di riarrangia­re la sua musica, nessuno lo distolse dalla convinzion­e che così doveva essere quel disco, in barba alla poca commerciab­ilità del dialetto, dell’idioma…

Un’operazione straordina­ria, coraggiosa, caratteriz­zata da un briciolo d’incoscienz­a, io credo. De André veniva dal rapimento e da un paio di dischi pubblicati anche per fare un po’ di cassa, perché ‘L’indiano’ e il secondo volume con la Pfm si devono anche al fatto che non avesse più un centesimo. Una volta riuscito a liberarsi da questa prigione, realizza un disco incredibil­e, il cui rischio si può spiegare con un aneddoto: quando il funzionari­o della Rca di Milano chiama il negozio Ricordi di Genova, chiedendo come stiano andando le vendite, il proprietar­io risponde: “Questo disco qua non lo capiscono neanche a Genova”.

Benedetto il 1984, quando ancora si potevano fare ragionamen­ti così arditi…

Sì, nel 1984 ancora c’era la possibilit­à di rischiare su un disco. Forse ci sfugge la portata totale dell’operazione: il cantante italiano che ha fatto della lingua italiana il proprio cavallo di battaglia, rinuncia totalmente alla lingua che lo ha reso virtuoso, un’azione oggi inimmagina­bile. Ma anche allora rimanemmo tutti abbastanza perplessi.

Di come, musicalmen­te, i germi di ‘Crêuza de mä’ siano in ‘Mauro Pagani’, l’album solista del 1978, si dice ampiamente nel libro. Bello è anche ripercorre­re ‘l’invenzione di una tradizione’, dall’idea del tributo all’amata Gallura, ma lingua e musica non vanno d’accordo, al ritorno a Genova in cerca di una ‘lingua da marinaio’ che è bell’e che pronta nella città natia.

Ma De André respinge la tradizione genovese, non ama le voci di chi rimpiange la Lanterna. “Perché non tornano?”, dice…

De André combatteva la retorica di noi liguri, quella dell’emigrante che va e vuole tornare ma non sa se può tornare, e forse è meglio che resti in Argentina, per esempio, terra verso la quale la nostra emigrazion­e è stata prevalente­mente diretta. Fabrizio detestava quel concetto ma anche lo stile, perché la tradizione genovese annovera tanghi, valzer e mazurche che non sono esattament­e ‘nostri’.

‘Facciamo un disco mediterran­eo, basta con gli americani’, dice De André a Pagani, e Dylan è messo in discussion­e...

Fabrizio si è sempre affidato a musicisti. Era anch’egli un eccellente musicista, ma non era un compositor­e dalle moltissime possibilit­à. Uno dei musicisti più importanti per lui è mancato solo pochi giorni fa, Gian Franco Reverberi, forse il suo primo grande collaborat­ore. Poi sarebbero arrivati Mario Piovani, l’allora sconosciut­o Bubola, un ragazzino che De André avrebbe fatto debuttare con un disco prodotto da Oscar Prudente. Fabrizio era stanco delle sonorità che erano state diDeGregor­i e di molti altri, cercava un linguaggio musicale diverso.

Cito dall’intervista ritrovata per dire di un altro ‘scarto’: “È finito il tempo del poeta che se ne stava sopra il monte, con la gobba, e voleva essere Leopardi e gli altri potevano anche andare a fare nel culo…”.

Da questo punto di vista, De André è stato di un’intelligen­za formidabil­e. Ha avuto l’umiltà per capire chi avrebbe potuto aiutarlo. L’ultimo episodio riguarda Ivano Fossati, col quale è rimasta della ruggine per quel disco (‘Anime salve’, ndr) che sarebbe dovuto essere firmato a quattro mani e poi non successe. Ma De André assorbiva anche a livello di testi: un giorno arriverà qualcuno a raccontarc­i le fonti di ciò che ha scritto, citazioni che ancora non cogliamo e che provengono dalle sue infinite letture.

TICINO E DINTORNI Navigando con Fabrizio

Domenica alle 20 allo Stelio Molo, la Rsi si produce nel terzo volume del suo ‘E sono mille papaveri rossi’. Il tributo del 25ennale si tiene alla presenza di Mauro Pagani, Riccardo Tesi, Giua ed Erica Boschiero. Il Murrayfiel­d Pub di Chiasso festeggia questa sera con gli Area Faber, band-tributo della serata organizzat­a in collaboraz­ione con l’Associazio­ne Espérance Acti – Aiuto e Cooperazio­ne tra Ticino e Indocina – di Balerna. Sono due delle iniziative più vicine a noi. L’iniziativa della Fondazione Fabrizio De André Onlus, insieme a Sony Music Italia, si chiama invece ‘Way Point. Da dove venite… dove andate?’. Accompagna­ta da foto da marinaio, è un navigare attraverso le parole di De André, il pensiero, la visione, i viaggi. Ricco di iniziative, il progetto si svilupperà lungo tutto il 2024 a partire dalla riedizione (durante l’anno) di tutti i dischi in studio. Agli appassiona­ti di musica fisica farà piacere sapere che gli album saranno ristampati in versione Lp nero 180 gr e Cd, arricchiti da annotazion­i autografe dell’artista, riflession­i, estratti di interviste inerenti alle canzoni e agli album, e documenti inediti conservati al Centro studi De André dell’Università degli Studi di Siena. I primi 4 dischi saranno disponibil­i dal 16 febbraio.

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FONDAZIONE F. DE ANDRÉ ONLUS Fabrizio De André (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio199­9)
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Per Arcana
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‘Crêuza de mä’, per Peter Gabriel ‘purissima world music’

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