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Carissimi Georges e Joe, auguri di buon compleanno

Breve biografia incrociata di Carpentier e Frazier, due fra i più leggendari pesi massimi della storia del ring, entrambi venuti al mondo il 12 gennaio

- Stefano Marelli

Se nasci povero alla fine dell’Ottocento in un sobborgo di Lens, Francia del Nord a due passi dal Belgio, con ogni probabilit­à finirai a giocarti i polmoni in miniera – come tuo fratello maggiore e come molti dei tuoi antenati – o al massimo imparerai a impilare barili in una fabbrica di birra, come tuo padre.

Ma se ti piace fare a botte, come nel caso di Georges Carpentier – venuto al mondo il 12 gennaio di 130 anni fa – puoi anche sperare di sfuggire a un destino che pare già segnato e diventare campione del mondo dei pesi mediomassi­mi e, magari, puntare alla corona dei massimi.

Se invece nasci povero e nero nella Carolina del Sud il 12 gennaio di 80 anni fa come Joe William Frazier – e i tuoi genitori coltivano verdure e allevano un maiale per sopravvive­re e racimolano pochi dollari per vestiti e medicine andando a lavorare i campi dei bianchi – puoi sperare al massimo che un giorno i maiali diventino due.

Ma se ascoltando la radio nel bar del villaggio ti innamori delle gesta di Sugar Ray Robinson e Rocky Marciano – e poi cominci a sparare ganci e diretti sinistri a un sacco di iuta che hai riempito di pannocchie e mattoni incurante se i tuoi 12 fratelli ti prendono per i fondelli – allora puoi pure tu immaginare che un giorno abbandoner­ai il Sud segregato per andartene al Nord a combattere per la cintura dei massimi.

Palestre

Georges era un biondino dai tratti gentili ma, come detto, dal pugno facile. Un giorno, scambiando gentilezze addirittur­a contro quattro rivali, rischia di farsi ammazzare su un marciapied­e cosparso di polvere di carbone. A salvarlo è un passante chiamato François Descamps, che riesce a mettere in fuga il quartetto.

Se ti piace così tanto farti menare – dice a Carpentier – vieni da me in palestra, ti insegnerò a tirare come un pugile. Il tredicenne lo prende in parola, inizia con la boxe francese e, nemmeno un anno dopo, diventa campione del mondo dei dilettanti in quella specialità che prevede, oltre ai pugni, anche i calci.

Quando compie 17 anni, Joe si stufa della vanga, intasca la sua ultima paga da bracciante e, davvero, prende la corriera per il Nord. Sbarca a Filadelfia, chiede dove si trova il ring più vicino e mostra all’ex pugile Yank Durham ciò che ha imparato nei cinque anni in cui si è spaccato le mani picchiando sul suo rudimental­e sacco. Durham resta impression­ato, vede che c’è del potenziale, insegna al ragazzo tutto ciò che non ha potuto imparare da solo e poi decide di farlo combattere. Infilandog­li il paradenti in bocca, gli dice: «Fa’ uscire il fumo da quei guanti. Tu puoi fare fumo, ragazzo, basta che non molli». E fu così che Frazier divenne ‘Smokin’ Joe’, mentre Durham rimase suo manager fino alla morte, sopraggiun­ta nel 1973.

I primi allori

Per tirar su qualche franco, Descamps ingaggia ragazzi e li fa combattere nelle fiere di paese, dove organizza pure spettacoli di magia. Carpentier, che ormai lo considera come uno zio, lo segue ovunque e boxa con avversari reclutati fra il pubblico, assiste gli illusionis­ti e finge di farsi ipnotizzar­e.

Tolto il necessario per pane e companatic­o, in tasca gli resta quel che serve per continuare ad allenarsi per poter finalmente debuttare nel pugilato vero, quello in cui si usano soltanto le mani.

Esordisce quindicenn­e e sconfigge l’inglese Ed Salmon, che di anni ne ha ventiquatt­ro. Sarebbe un mosca, ma quella categoria ancora non esiste, così combatte come gallo, concedendo agli avversari chili e centimetri, ma poco importa, perché li manda tutti al tappeto.

Nel giro di tre anni, diventa campione francese ed europeo di tutte le categorie, ritrovando­si, ancor prima di compiere diciotto anni, in possesso della corona dei mediomassi­mi e dei massimi leggeri.

Grazie all’intelligen­za e a una tattica per l’epoca all’avanguardi­a, Georges – malgrado sia spesso fisicament­e messo peggio dei rivali – manterrà il suo bel viso intatto fino al termine della carriera: niente cicatrici sul volto, niente naso piatto e spaccato tipico di tutti i pugili. Da dilettante, Frazier vince un paio di volte i Middle Atlantic Golden Gloves nei massimi, ma viene purtroppo sconfitto nella finale del torneo che designerà il rappresent­ante statuniten­se alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Alla vigilia dei Giochi, però, il vincitore si fa male, e così a volare in Giappone è proprio Joe, che si sbarazza di un ugandese, di un australian­o, di un sovietico e di un tedesco occidental­e, mettendosi al collo la medaglia d’oro quando ha compiuto vent’anni da pochi mesi. Rientrato negli Usa – dopo aver vinto 34 dei 38 match amatoriali disputati – decide di passare profession­ista, e pure negli incontri a torso nudo inizia a buttar giù con facilità ogni avversario, compreso l’argentino Oscar ‘Ringo’ Bonavena, fra i migliori pugili della sua epoca e provvisto di una biografia da romanzo che un giorno forse proveremo a raccontare.

Il sogno di Joe è incontrare Clay e strappargl­i il titolo mondiale, ma purtroppo il campione – nel frattempo diventato Ali – viene incarcerat­o e privato della corona a causa della renitenza alla leva. Il titolo, ormai vacante, viene messo in palio a New York il 4 marzo del 1968, in occasione dell’inaugurazi­one del nuovo Madison Square Garden, come sottoclou della terza sfida tra Griffith e Benvenuti.

Davanti a quasi 20mila spettatori, Smokin’ Joe sconfigge Buster Mathis e conquista la cintura mondiale dei massimi: l’appuntamen­to con Muhammad Ali, ad ogni modo, è solo rimandato.

Guerre

Col Primo conflitto mondiale, ovviamente, ogni cosa si ferma, compresa l’attività pugilistic­a. Georges Carpentier, che non ha studiato ma è molto sveglio, diventa pilota d’aereo ed è proprio in volo che combatterà per la Francia. Ferito in combattime­nto e decorato con la Croce di guerra, passerà gli ultimi mesi lontano dal fronte, dove può riprendere ad allenarsi e, sempre affiancato dal fedele Descamps, pianifica l’assalto a un titolo mondiale, impresa che andrà compiuta negli Stati Uniti. Attraversa­to l’Atlantico, dapprima fa sua la codi rona dei mediomassi­mi sbarazzand­osi al quarto round di Bob Levinski, e poi comincia ad allenarsi per la corona ben più prestigios­a dei pesi massimi, che a quel tempo appartiene saldamente al leggendari­o Jack Dempsey, il Massacrato­re di Manassa.

Per la Guerra del Vietnam, invece, non si ferma praticamen­te nulla, tranne come detto la carriera di Ali, che al fronte rifiuta di andare. E così Frazier difende vittoriosa­mente una manciata di volte il suo titolo nei massimi e, en passant, fa sua pure la cintura dei mediomassi­mi. Finché finalmente, nel 1971, può incrociare i guanti con Muhammad Ali, che lui continua a chiamare Cassius Clay, facendolo arrabbiare di brutto e facendogli dire che Joe «... è soltanto uno Zio Tom, un negro ancora schiavo dei bianchi».

Il match fra i due pugili ancora imbattuti si disputò, di nuovo al Garden, l’8 marzo e Frazier – nettamente superiore – si impose alla fine ai punti con verdetto unanime.

Sconfitte pesanti

La sfida con Dempsey, primo incontro della storia a mettere in palio 1 milione di dollari all’epoca in cui un operaio non arrivava a mille verdoni all’anno, andò in scena il 2 luglio del 1921 a Jersey City davanti a una folla straripant­e. Più agile ed elegante, il francese condusse le danze per i primi due round, colpendo duro più volte l’americano e facendolo vacillare.

Dopo un diretto di travertino al volto di Dempsey, Carpentier ebbe pure l’occasione per finirlo, ma incredibil­mente non doppiò il colpo, perché portando la prima bordata si era fratturato il pollice. Col destro fuori uso, Georges non poté che limitare i danni, cercando di schivare più a lungo possibile gli attacchi del rivale, ma al quarto round stramazzò sull’assito insieme al suo sogno di conquistar­e il Mondiale dei massimi.

Sconfitto in seguito anche da Gene Tunney, abbandonò il ring e divenne attore di cinema e vaudeville e finì i suoi giorni nel 1975, a 81 anni.

Dopo il successo contro Ali, Frazier difese la cintura in un paio di match facili contro mestierant­i semisconos­ciuti, ma appena si ritrovò davanti un avversario vero, cioè il campione olimpico del 1968 George Foreman, venne travolto dalla terrifican­te potenza del rivale e conobbe per la prima volta l’amaro sapore della sconfitta.

Sul ring di Kingston, Giamaica, Smokin’ Joe finì al tappeto ben sei volte nel corso delle prime due riprese, finché l’arbitro ebbe pietà di lui e saggiament­e decretò il successo dello sfidante.

Ancor più dolore – e non solo fisico – provocaron­o a Frazier due ulteriori sconfitte, subite entrambe da Ali. La prima, consumatas­i di nuovo nella Grande mela nel gennaio del ’74 con successo di Muhammad ai punti, fu preceduta da un incidente verbale verificato­si negli studi televisivi della Abc che per poco non sfociò in uno scontro fisico fra i due contendent­i.

La seconda si verificò invece nelle Filippine l’anno successivo: parliamo del celeberrim­o ‘Thrilla in Manila’, sfida considerat­a da molti esperti come il miglior match fra pesi massimi dell’intera storia del pugilato, per l’enorme intensità e per lo sfoggio di tecnica da parte di entrambi i boxeur.

Joe e Ali se le diedero di santa ragione finché, poco prima dell’inizio del 15° e ultimo round, Eddie Futch – il nuovo allenatore di Frazier – gettò la spugna quando si accorse che il suo pugile era praticamen­te accecato. Smokin’ Joe se ne andò nel 2011, a 67 anni, per colpa di un tumore al fegato.

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KEYSTONE Muhammad Ali atterrato da Smokin’ Joe nel match del1971
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KEYSTONE Il francese inallename­nto
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KEYSTONE Litigando in tv conAli
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La sfida del 2 luglio 1921

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