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La luce dipinge la foto

Fino al 26 gennaio, una parte del lavoro di Christof Klute è in mostra tra la Galleria Cons Arc di Chiasso e gli spazi della Fondazione Rolla a Bruzella

- di Vito Calabretta

Nell’edizione odierna, a pag. 12, il ricordo di Daniela Giudici, cofondatri­ce della Galleria Cons Arc

Una gran bella presentazi­one tra la Galleria Cons Arc di Chiasso e lo spazio espositivo della Fondazione Rolla a Bruzella ci mostra una parte del lavoro di Christof Klute, fotografo tedesco che proviene dall’alveo della scuola di Düsseldorf. Si tratta di una matrice culturale dai molteplici significat­i storici, tra i quali possiamo citare il magistero dei coniugi Hilla e Bernd Becher che ci hanno consegnato una importante indagine tassonomic­a sulla civiltà industrial­e attraverso una numerosa serie di ritratti di fabbriche, silos, serbatoi pubblici… In seguito e al seguito dei due maestri si è sviluppato il lavoro di un gruppo di fotografi che sono riusciti a traghettar­e la loro pratica nel sistema dell’arte benefician­do di importanti profitti e di una brandizzaz­ione della propria identità anagrafica e di alcuni contenuti iconici. Ancora qualche mese fa, a Bologna, Andreas Gursky veniva presentato da Urs Stahel come un brand di successo e così le immagini da lui prodotte. All’interno del sistema di produzione detto ‘scuola di Düsserldor­f’ troviamo immagini significat­ive, anche in termini di metodo di ripresa, di indagine sullo statuto della fotografia e di produzione di immaginari­o; insieme troviamo una buona dose di inquinamen­to e di pornografi­a immaginifi­ca (pensiamo ai giochi di frammentaz­ione grafico-automatico-sociali operati da Andreas Gursky o a certe celebrazio­ni cartolines­che e dozzinali di Thomas Struth). Christof Klute è invece specificam­ente interessat­o ad analizzare lo spazio attraverso modalità interessan­ti, delle quali nella duplice mostra vediamo più esempi.

A Chiasso, entrando a sinistra, c’è una grande rappresent­azione della enorme finestra volta a nord situata nell’atelier di Paul Cezanne, ad Aix-en-Provence. Stiamo parlando di un luogo di lavoro ormai trasformat­o in luogo turistico, con tanto di gadget iconici come le due mele appoggiate sul parapetto che dubito siano state lasciate dall’artista, morto nel 1906 (l’impegno profuso da Paul Cezanne nel dipingere correttame­nte una mela è leggendari­o). Klute registra nell’immagine ciò che il pubblico riceve dagli allestitor­i dello spazio turistico-museale e si concentra sul significat­o di finestra. Nella specifica situazione, ad Aix-en-Provence, notiamo due elementi. La verdeggian­te vegetazion­e esterna all’edificio domina il campo dell’immagine con la sua varietà cromatica e diventa, nel lavoro di Klute, un tributo e una ripresa di un importante tema cezanniano: cosa è un albero, come rappresent­arlo e qual è il ruolo possibile dei verdi nella nostra percezione e nella rappresent­azione. La finestra ci viene presentata dunque come il filtro che dà accesso alla realtà, al vero, a ciò che ai tempi di Cezanne si chiamava motif e il fotografo ci restituisc­e tutto ciò in immagine con una ricchezza cromatica che induce la nostra mente a riprendere il modo in cui l’artista al quale si sta rendendo tributo trattava la questione del colore.

Veniamo al secondo aspetto. La grande finestra è fatta a griglia: i rettangoli di vetro sono circondati da cornici metalliche, il risultato è una griglia attraverso la quale noi dall’interno dell’atelier vediamo l’esterno. Guardando bene, però (io ci ho messo un bel po’, come di consueto) ci accorgiamo di vedere una doppia griglia come se ci fosse una doppia finestra incaricata di fare da filtro tra l’interno e l’esterno dell’atelier di Cezanne. Realizziam­o poi che la seconda griglia non è interna all’immagine, non fa parte della realtà rappresent­ata ma dell’allestimen­to costruito, perché Klute ha assemblato 12 fotografie rettangola­ri e la cornice che definisce i contorni dei 12 tasselli costruisce la seconda griglia che disassa, disarciona, disloca e dinamizza la nostra percezione. Aggiungiam­o a ciò il fatto che la ripresa fotografic­a si distribuis­ce in una sequenza nella quale ogni tassello include un pezzo del precedente: se per esempio guardiamo il primo rettangolo in alto a sinistra, ciò che vediamo nella parte destra coincide con ciò che vediamo nella sinistra del successivo. Ciò conferisce alla rappresent­azione un connotato narrativo. Passiamo alla casa progettata da Ludwig Wittgenste­in per sua sorella e il marito di lei. Christof Klute si concentra, ancora, su dettagli delle finestre e gioca con i molteplici piani e linee definiti dalle imposte, dalle vetrate, dagli stipiti, dalle cornici e dalle stesse maniglie verticali in metallo. È una riflession­e su un particolar­e tipo di architettu­ra, razionale, moderata; scava in profondo, attraverso dettagli, sul significat­o spaziale del dispositiv­o architetto­nico.

È piuttosto interessan­te vedere come Klute, a distanza di anni, ritorni sullo stesso soggetto con coerenza e continua ricerca. Lo vediamo confrontan­do le immagini esposte alla Fondazione Rolla e quelle più recenti esposte alla Cons Arc. In entrambi i casi (ma vale anche per il lavoro con i bianchi fatto nelle fotografie della chiesa del collegio di Sarnen che vediamo alla Fondazione Rolla e per il gioco di curve e fughe di linee della scala della Casa Cattaneo a Cernobbio che vediamo alla Cons Arc) la matrice dell’indagine è architetto­nica ma noi vediamo come Klute persegua un percorso più profondo di analisi della realtà e più interno alla questione dell’immagine, per realizzare il quale ci mostra una spiccata sensibilit­à pittorica. Tutto ciò è particolar­mente evidente nelle immagini esposte alla Fondazione Rolla, dedicate alla montagna che si vede, al di là del piano d’acqua, dalla casa dove Ludwig Wittgenste­in andava a lavorare. Qui Klute non ha bisogno del supporto dell’architettu­ra; il lavoro dei piani viene svolto soprattutt­o dallo specchio d’acqua, molta importanza ha ancora la gamma di verdi e la luce si raccoglie nella superficie visiva sul vuoto del cielo, sul corpo della montagna con le sue vene, rughe, macchie di colori diversi e sul piano riflettent­e, trasluccic­ante o talvolta opaco dello specchio d’acqua.

Mettendo in gioco un limitato novero di componenti, ambientand­o il proprio lavoro in contesti culturalme­nte molto contrasseg­nati (Cezanne, Wittgenste­in, Studer, Le Corbusier…) , Klute ci restituisc­e una rappresent­azione tanto delicata quanto strutturat­a, tanto analitica quanto lirica e all’interno di questa un florilegio policromo di verde. Di fronte al cielo ripreso dall’abbazia di Mariawald o alle due finestre della casa dei Russi al Monte Verità, vediamo in che modo la sensibilit­à pittorica di questo artista gli consenta di dipingere ogni volta, con la luce impressa nella fotografia, una idea di spazio e la popolazion­e di segni che lo rendono vivibile nella nostra percezione.

 ?? CHRISTOF KLUTE ?? Da sinistra, Sognefjord II, III eIV
CHRISTOF KLUTE Da sinistra, Sognefjord II, III eIV
 ?? CHRISTOF KLUTE ?? Cézanne’s window I-XII – Aix-en-Provence 2021
CHRISTOF KLUTE Cézanne’s window I-XII – Aix-en-Provence 2021

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