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La Bns e i costi occulti della politica monetaria

- di Daniel Ritzer

Il dato ufficiale suggerisce che nel 2023 l’inflazione in Svizzera è – praticamen­te – rientrata nei ranghi: l’incremento medio dell’indice dei prezzi al consumo è stato del 2,1%. Le previsioni indicano inoltre che nel 2024 il rincaro, complice il rallentame­nto dell’economia, si attenuerà ulteriorme­nte. A priori sembrerebb­e dunque di essere di fronte a un’altra “battaglia vinta” dalla Banca nazionale. Restano tuttavia alcune questioni aperte. Sarebbe opportuno, per esempio, provare a capire quali sono stati i costi (più o meno occulti) della politica monetaria restrittiv­a attuata dalla Bns nell’ultimo anno e mezzo, da un lato; e rilevare, dall’altro, quanto diverga l’inflazione “percepita” rispetto a ciò che emerge dalle statistich­e.

Con ordine. Che l’inflazione scenda, ma che siano in pochi ad accorgersi, è assodato. Premi di cassa malati, affitti, ipoteche, generi alimentari, elettricit­à: le principali voci dei budget familiari aumentano a ritmi ben più marcati rispetto all’indice medio, che non contempla alcune voci oppure le considera solo marginalme­nte. Fatto sta che l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie prosegue indisturba­ta. Aggiungiam­o poi che molti Cantoni si vedono ora confrontat­i con ristrettez­ze finanziari­e che impediscon­o di intervenir­e maggiormen­te a sostegno delle fasce più vulnerabil­i della popolazion­e, e che ci sono diversi enti pubblici che stanno valutando di ridurre aiuti e servizi per riequilibr­are i conti (in Ticino ne sappiamo qualcosa). Conti che in molti casi sono in rosso a causa – non esclusiva – del mancato incasso delle quote sull’utile della Banca nazionale. Infatti la Bns non verserà nulla a Confederaz­ione e Cantoni per il secondo anno consecutiv­o perché non ha conseguito alcun utile, ed è proprio ciò che prevede l’attuale convenzion­e tra il Dipartimen­to federale delle finanze e la Banca nazionale. D’altronde le spiegazion­i relative alla convenzion­e in vigore, fornite dal Dff a gennaio 2021, anticipava­no quello che stiamo osservando ora: la forte crescita del bilancio della Bns (oggi un po’ sgonfiato ma di circa 800 miliardi di franchi, cifra che corrispond­e grossomodo al Pil dell’intera Confederaz­ione), comporta anche un aumento dei rischi e dell’incertezza per quel che riguarda il rendimento. In questo senso il cambio di paradigma della politica monetaria avvenuto a giugno 2022, teso a contrastar­e l’inflazione importata dall’estero – nel frattempo ridimensio­natasi – attraverso un rafforzame­nto del franco svizzero, ha determinat­o quale effetto collateral­e la perdita contabile record per l’istituto di emissione di oltre 130 miliardi, soprattutt­o a causa della svalutazio­ne – in franchi – delle posizioni in valuta estera.

Per il 2023 invece i dati preliminar­i segnano una perdita di esercizio di 3 miliardi di franchi (una cinquantin­a di miliardi la perdita di bilancio dopo gli accantonam­enti e tenuto conto delle riserve negative per future ripartizio­ni), nonostante un utile di 4 miliardi sulle posizioni in altre valute e una plusvalenz­a di 1,7 miliardi sulle riserve auree. Nell’ultimo esercizio il risultato avverso riguarda le posizioni in franchi. Una perdita di 8,5 miliardi provocata soprattutt­o dall’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bns, che l’ha portata l’anno scorso a dover sborsare ogni trimestre circa 2 miliardi di franchi sotto forma di remunerazi­one degli averi a vista depositati dalle banche, vere vincitrici di questa battaglia.

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