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‘Sei un brutto negro, ti pesto’ Condannato 13enne di Lugano

Insultato e minacciato nella chat dei compiti da un compagno delle Medie per il colore della sua pelle. La denuncia dei genitori e il decreto del magistrato

- Simonetta Caratti

Leoncino da tastiera, o meglio da smartphone, abbassa la criniera e viene ‘bacchettat­o’ dalla Magistratu­ra dei minorenni. A soli 13 anni ha già colleziona­to una condanna per discrimina­zione razziale e per minaccia. Lo studente delle Medie di Lugano la scorsa estate aveva insultato pesantemen­te (‘Sei un brutto negro. Sei uno scimmione africano’) e ripetutame­nte nella chat dei compiti un compagno di classe,

Alessandro, che ha la pelle appena più scura della sua. Arrivando anche a minacciarl­o con un messaggio finito nelle mani della polizia: “Ti ammazzo, ti pesto a sangue, sei gay”.

La madre reagisce e segnala il caso

Avevamo raccontato a giugno questa brutta storia di razzismo (mantenendo l’anonimato dei minori coinvolti) nata tra i banchi di scuola. Insulti pesanti, razzisti e cattivi, immagini offensive e denigrator­ie inviate alla piattaform­a social che il gruppetto di studenti usava per i compiti. E una chat – leggiamo nel decreto della Magistratu­ra – denominata ‘benvenuti nel gruppo dove si può essere razzisti senza avere paura della mamma di Ale’. Già la ‘scomoda’ o meglio coraggiosa mamma della vittima, che la scorsa estate ha scoperto tutto e non è stata zitta. Dopo aver segnalato il caso in direzione, al docente di classe e ai genitori dell’aggressore, la donna ha deciso (a fine settembre) di sporgere denuncia. Dopo aver ascoltato i ragazzi e vagliato le prove, la Magistratu­ra ha condannato il minore a due giornate di prestazion­i personali (lavori di utilità pubblica). Una pena sospesa per un periodo di un anno.

‘Lo rifarei anche se la pena è blanda’

“Denunciare il mio compagno è stata una buona decisione, lo rifarei subito, ora mi lasciano in pace, anche se la pena mi sembra molto blanda”, commenta Alessandro. Dello stesso avviso sua madre. “Abbiamo sporto querela direttamen­te alla Magistratu­ra dei minorenni e abbiamo portato tutte le prove, gli screenshot delle chat, le foto, i video. Siamo stati convocati e l’inquirente è stato molto gentile e profession­ale. Ci siamo sentiti presi sul serio. Effettivam­ente la pena è leggera, ma almeno hanno smesso di insultare mio figlio per il colore della sua pelle. Non è tollerabil­e”, commenta la donna, mentre ci mostra il decreto. Leggiamo che l’aggressore “si è dichiarato dispiaciut­o e si è scusato”. E ancora: “È necessario richiamarl­o ad un comportame­nto più corretto e responsabi­le e al rispetto delle norme vigenti”. In caso di nuovi reati, “verranno adottate pene più severe”.

‘I genitori andrebbero responsabi­lizzati’

Considerat­o che il reato di discrimina­zione (art. 261bis CP) è perseguibi­le d’ufficio, c’è da chiedersi se possa venir esteso ai genitori. “Loro andrebbero responsabi­lizzati. Non si può lasciare in mano un cellulare a un adolescent­e senza controllar­e che cosa scrive. Per mio figlio è stato un calvario”, commenta.

“Anche se il ragionamen­to non fa una grinza, la responsabi­lità penale di principio è personale, anche per un minore”, spiega Mariaelena Biliato, responsabi­le del Centro per la prevenzion­e delle discrimina­zioni (Cpd) a Lugano. Quello che aveva fatto soffrire di più Alessandro era una foto. Una caricatura di una donna africana, con scritto: ‘La mamma di Ale’. Quando hanno iniziato a insultare sua mamma, Alessandro ha perso le staffe. “Non sanno nulla di lei, mi ha fatto molto male”, commenta l’adolescent­e, rituffando­si, subito dopo, nel suo cellulare.

La madre che controlla regolarmen­te il cellulare del figlio aveva notato gli attacchi verbali. “Ale ha belle note, spesso aiuta i compagni ma è comunque diventato il bersaglio del bulletto della classe. Gli altri l’hanno seguito”.

L’istituto scolastico sposta l’aggressore

Avvisata dei fatti, la scuola a settembre ha diviso i due ragazzi, che ora non sono più nella stessa classe. “Mi ha chiesto scusa, mi capita di incrociarl­o nei corridoi e ci ignoriamo”, ci spiega ancora Alessandro.

La famiglia si era trasferita in Ticino qualche anno fa, prima vivevano in Svizzera tedesca. “Lì Ale era uno tra tanti, nessuno badava al colore della sua pelle. A Lugano, lo hanno fatto sentire diverso. Speriamo che ora sia finita”, precisa sua madre.

Il docente di classe aveva risposto ai genitori di non poter controllar­e le chat che gli studenti creano per studiare. A fine anno aveva comunque mostrato alla classe un film: l’eroe era un uomo africano. Un esempio positivo per smontare tanta violenza verbale razzista.

Dal punto di vista pedagogico, la scuola è il luogo dove si insegna cos’è il razzismo, come si manifesta, combatte. Allo stesso tempo, proprio tra i banchi di scuola possono succedere episodi di razzismo. Ci sono istituti scolastici organizzat­i con persone di riferiment­o dove segnalare i casi.

Ma il passo più importante è quello di prendere poi provvedime­nti adatti alla situazione, come spiegava di recente sulla Regione Martine

Brunschwig Graf, presidente della Commission­e federale contro il razzismo: “Questo passo è talvolta difficile, perché c’è la tendenza diffusa a banalizzar­e queste situazioni, consideran­dole casi isolati, non gravi. Se nell’istituzion­e scolastica non c’è la chiara consapevol­ezza che le molestie razziste sono un problema grave, la tendenza sarà quella di lasciar correre. Intervenir­e invece è importante. Sono problemati­che che andrebbero tematizzat­e nel percorso formativo dei direttori scolastici”. Infatti, gli studenti trascorron­o gran parte del loro tempo in classe. Chi subisce insulti o atti discrimina­tori viene ferito in modo continuati­vo e intenso. Inoltre, dopo la scuola, spesso continua sui social.

Intanto emergono altre vittime

Alessandro non è l’unico bersaglio di insulti razzisti. Quando abbiamo raccontato la sua storia, altri genitori si sono fatti avanti segnalando offese razziste a scuola al Centro per la prevenzion­e delle discrimina­zioni (Cpd), che ha consigliat­o anche i genitori di Alessandro. “Diversi genitori si sono rispecchia­ti e ci hanno contattato per segnalarci casi analoghi avvenuti a scuola e nelle colonie estive”, dice Mariaelena Biliato.Il Centro per la prevenzion­e delle discrimina­zioni (Cpd) è un luogo di ascolto, consiglio, mediazione, sensibiliz­zazione e, quando serve, anche di consulenza legale. La struttura inaugurata a inizio 2022 su mandato del Servizio per l’integrazio­ne degli stranieri (che fa capo al Dipartimen­to delle istituzion­i) è a disposizio­ne delle vittime di discrimina­zione (telefodi no: 0800 194 800). “Il Centro è a disposizio­ne di tutti, aiuta a sentirsi meno soli e sostiene nell’esplorare possibili vie di intervento. C’è anche un gruppo della polizia (Visione giovani) che si occupa di social e internet e può dare un supporto”.

Se nel 2022 sono stati segnalati 27 episodi di discrimina­zione, per il 2023 le cifre sono in aumento. “Principalm­ente episodi legati all’uso di un linguaggio discrimina­torio. Infatti, nella metà dei casi, sono stati denunciati insulti e ingiurie a carattere razzista. Particolar­mente colpite le persone afrodiscen­denti”, precisa Biliato.

Farsi avanti o stare zitti

Per un genitore, si pone spesso il dilemma: fare o non fare? Quale via scegliere nell’interesse del proprio figlio/a: se denunciare o meno le umiliazion­i; se coinvolger­e o meno la scuola, se provare ad aprire un dialogo coi genitori dell’aggressore oppure far finta di nulla e aspettare. C’è chi teme che reagire non serva o anzi rischi di peggiorare la situazione. “Il caso di Alessandro è grave. È un bene che ci sia condanna, seppur lieve. Capisco la delusione dei genitori, ma il reato di discrimina­zione è stato riconosciu­to e condannato. Di regola, non fare nulla è la soluzione più spiacevole. Se non li condanniam­o apertament­e, questi atteggiame­nti razzisti continuera­nno”, dice Biliato. Il Centro accompagna le vittime finché lo desiderano. Alle scuole propone laboratori, teatri, film, incontri, insomma programmi di sensibiliz­zazione, pensati su misura per prevenire queste forme di razzismo.

La mostra ‘Noi e gli Altri’ in classe

Proprio in questi giorni circola negli istituti scolastici la mostra ‘Noi e gli Altri. Dai pregiudizi al razzismo’. Attualment­e è al Centro profession­ale tecnico di Biasca. “È un’ottima occasione per parlare di razzismo a scuola, per spiegare quanto siamo influenzat­i dalle ideologie, quanto sono profonde le radici degli atteggiame­nti razzisti. Abbiamo formato alcuni docenti per presentare la mostra che si accompagna con materiale di supporto per allievi e insegnanti. È prenotata sino a fine aprile, ma si può richiedere al Servizio per l’integrazio­ne degli stranieri ( di-sis@ti.ch ), che l’ha voluta assieme alla Divisione della scuola e alla Divisione della formazione profession­ale.

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DEPOSITPHO­TOS Chi subisce atti discrimina­tori a scuola viene ferito in modo continuati­vo. Più casi inTicino
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DEPOSITPHO­TOS Più bersagliat­e le persone afrodiscen­denti

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