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È razzismo anche se avviene in una chat

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I diritti federale e cantonale contengono diverse disposizio­ni di legge che vietano e sanzionano, direttamen­te o indirettam­ente, specifiche forme di discrimina­zione razziale. In particolar­e, l’art. 261bis del Codice penale punisce con una multa o con pene detentive che possono arrivare ai tre anni alcune forme di discrimina­zione razziale ritenute particolar­mente gravi. Un reato perseguibi­le d’ufficio. Significa che chiunque, vittima o testimone, può farne denuncia alla polizia o al Ministero pubblico. Le vittime possono costituirs­i parte civile e partecipar­e al processo penale, facendo valere le proprie pretese risarcitor­ie. È consigliab­ile richiedere la consulenza legale perché le condizioni di applicabil­ità dell’art. 261bis sono restrittiv­e: in particolar­e, sono punibili penalmente solo gli atti commessi in pubblico. Significa anche sulla propria pagina Facebook. Anche una chat creata da studenti delle Medie per i compiti è considerat­a spazio pubblico, come dimostra il caso di Alessandro. Ogni decreto è importante perché alcuni genitori, soprattutt­o se stranieri e poco integrati, temono una procedura legale e rinunciano a difendere la dignità loro e dei loro figli. Il razzismo è vietato dalla Costituzio­ne, non possiamo essere indifferen­ti e ignorare questi episodi. Come si può insegnare cosa significa essere buoni cittadini senza lottare contro la discrimina­zione, soprattutt­o a scuola? Se non si proteggono le vittime tra gli allievi agendo in modo efficace, passa il messaggio che nessuno è responsabi­le, che il razzismo è tollerato e va bene così.

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