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L’ottimismo delle grandi banche e il pessimismo della Bce

Gli scenari rosei contrastan­o con i dati economici

- di Walter Riolfi, L’Economia

C’è stato l’effetto novembre e dicembre, poi il ‘Rally di Santa Claus’ e adesso si scommette sull’‘effetto gennaio’ che dovrebbe far salire Wall Street del 10% (almeno) entro fine anno. Insomma, la borsa americana, dopo aver guadagnato il 16% negli ultimi due mesi del 2023 (+20% il Nasdaq), si ritrovereb­be con un avvenire di crescita a due cifre. A dire il vero, l’unica corsa davvero degna di nota è stata quella di novembre e dicembre ed è stata generata unicamente dalla prospettiv­a di un drastico calo dei tassi Fed e dal conseguent­e crollo dei rendimenti del Treasury dal 5 al 3,8%. La mitizzata corsa di fine anno, quella che si consumereb­be tra Natale e San Silvestro, s’è invece dissolta, perché il rendimento del Treasury ha iniziato a risalire il 28 dicembre e ora si ritrova poco sopra il 4%.

Atterraggi­o morbido

Anche l’effetto gennaio langue e mercoledì scorso si misurava in un indice S&P sostanzial­mente piatto e solo in virtù di uno strano balzo dell’1,4% nella seduta dell’8 gennaio. Ma non siamo neanche a metà mese. Per gli amanti del calendario e della statistica, il primo mese dell’anno ha prodotto rialzi medi dell’1,2% dal 1928 a oggi (2,5% il Nasdaq dal 1971) e, sempre per la ‘legge’ della statistica ‘come va gennaio, così va il resto dell’anno’: nei successivi 11 mesi l’S&P dovrebbe dunque salire del 9,2%, cosicché si ritrovereb­be a 5.265 punti, ancor più alto dei 5.100 ora immaginati come obiettivo dalla media degli analisti di Wall Street.

Agli amanti del calendario e della statistica si potrebbe ricordare che l’effetto combinato di novembre e dicembre è stato, negli ultimi 95 anni, pari a un rialzo del 2,3% e non del 16% come è avvenuto lo scorso anno, e che di solito la borsa tende semmai a correggere gli eccessi dei mesi precedenti. In ogni caso, questo genere di statistich­e ha lo stesso valore dei proverbi. Mentre gli operatori sperano ancora nell’effetto gennaio, strategist e analisti delle grandi banche d’investimen­to dipingono un futuro sempre più roseo per l’economia globale, utili societari e, quindi, per le borse. L’ottimismo è così dominante che anche Michael Wilson di Morgan Stanley, da anni uno dei più tenaci pessimisti di Wall Street, ha deciso di capitolare: lo scenario di una seria recessione è stato sostituito con la prospettiv­a di un «atterraggi­o morbido» dell’economia, in linea con il quasi unanime consenso.

Avversità che svaniscono (?)

Nella fascia alta di questo consenso troviamo Goldman Sachs per la quale il soft landing si tradurrebb­e in una crescita dell’economia americana attorno al 2%, poco sotto il 2,4% (stimato) per il 2023. Segnali di pericolo? Nessuno, a parte, forse, un ‘allentamen­to delle politiche fiscali’: ipotesi più che ragionevol­e, visto che il debito nazionale Usa sfiora il 130% del Pil, non lontano da quello italiano, e che il deficit del bilancio federale è stato pari al 6,4% del Pil nel 2023, oltre un punto percentual­e sopra quello del nostro Paese. Ma l’ottimismo di Goldman sconfina anche sull’Europa. Nell’area euro, tutte quelle avversità sperimenta­te lo scorso anno starebbero svanendo: cresce la ricchezza delle famiglie, migliorano le condizioni del credito, aumentano i consumi e ovviamente cresce l’economia a ritmi addirittur­a superiori all’1%. Soprattutt­o crolla l’inflazione, al 2% quella core (depurata da energia e alimentari), cosicché la banca centrale comincerà a tagliare i tassi d’interesse già ad aprile e continuerà a farlo a ogni incontro per un totale di 150 punti quest’anno e di altri 25 nel 2025, quando il tasso di riferiment­o si ritroverà al 2,25%. Di conseguenz­a, migliorera­nno pure gli utili societari e l’indice Stoxx dovrebbe salire a fine anno a 500 punti con una crescita del 5,3 per cento.

Boom degli acquisti a debito

Ancor più entusiasti­che sono le previsioni dipinte da Amchor, una società di gestione madrilena che prospetta un 2024 «stupefacen­te», con un’economia in crescita di oltre il 2% negli Stati Uniti e oltre l’1% in Europa. Ciò che lascia perplessi è che questi rosei scenari sono giustifica­ti da dati perfettame­nte autorefere­nziali, come nel caso di Goldman, che cita il migliorame­nto degli indici Zew e Sentix, costruiti sull’umore degli operatori di borsa; oppure da Ubs, che parla di dati economici in crescita e a supporto indica le sostenute vendite al dettaglio in Usa e la tenuta del mercato del lavoro: dati storici e non prospettic­i, senza chiedersi se il forte balzo del credito revolving, ossia gli acquisti a debito con carte di credito, per un ammontare record di 1’315 miliardi di dollari (pari al 5% del Pil), siano un fenomeno sostenibil­e con tassi d’interesse superiori al 20% e con i risparmi delle famiglie in continua erosione.

Purtroppo i dati economici indicano per ora uno scenario tutt’altro che in crescita. Infatti, le rosee prospettiv­e di Goldman o di Amchor sono in netto contrasto con le previsioni della stessa Bce che, pochi giorni fa per bocca del vicepresid­ente Luis De Guindos, ha dichiarato che le cose stanno andando peggio del previsto e che la recessione è probabilme­nte già in corso. E si sa che il pessimismo non appartiene al lessico delle banche centrali.

In Eurozona gli indici Pmi manifattur­iero e servizi restano pesantemen­te in contrazion­e (44,4 il primo e 48,8 il secondo); negli Usa, l’Ism manifattur­iero, pur in lieve recupero a 47,4, resta in recessione, mentre l’Ism servizi è caduto a dicembre da 52,7 a 50,6, a un soffio dalla soglia che segnala contrazion­e. E poi non è detto che l’inflazione debba sempre seguire la traiettori­a discendent­e dipinta dagli operatori, come suggerisco­no gli ultimi dati che la vedono invece in leggera crescita in Eurozona (2,9% dal precedente 2,4%) e negli Usa (3,4% da 3,1%).

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KEYSTONE ‘Effetto gennaio’ a WallStreet

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