laRegione

Le tribolazio­ni di Macron

- di Franco Gianoni, avvocato

Nel 2017 in Francia regnava una grave crisi sociale, politica e culturale, esacerbata da una generale diffidenza nei confronti delle autorità (partiti compresi) dovuta alla disoccupaz­ione, alle disuguagli­anze, all’insicurezz­a e alla paura generata dai sanguinosi attentati e all’agonia dello scialbo quinquenni­o del presidente socialista François Hollande.

In questo clima Emmanuel Macron, prima accorto banchiere, poi brillante ministro dell’Economia nel governo Holland e… filosofo (compagno più che discepolo di Paul Ricoeur), il 14 maggio 2017, sorprenden­temente, venne eletto a 39 anni come più giovane presidente della Repubblica. Inoltre il suo nuovo partito, Lrem (La Repubblica in cammino), in parlamento conquistò la maggioranz­a assoluta formata da deputati provenient­i da ogni orizzonte della società civile.

La sua elezione suscitò un grande entusiasmo soprattutt­o nei giovani, in quanto per risalire la china aveva proposto il cambiament­o della vita sociale, politica ed economica, ispirandos­i al positivism­o del filosofo Saint Simon aggiornato, ossia: la riorganizz­azione della società su basi scientific­he-tecnocrati­che, sì da smentire la maledizion­e che grava sui governi francesi, specie dopo il 1945, sul secondo mandato di tutti i suoi sei predecesso­ri, da De Gaulle a Hollande. E il successo è giunto: molto è stato fatto soprattutt­o nell’economia.

Però a partire da metà del primo mandato, nel giro di pochi mesi la percentual­e di gradimento è crollata a causa dei giubbotti gialli, della pandemia e, più recentemen­te, dell’aggression­e dell’Ucraina da parte della Russia, alla quale ora si aggiunge la guerra israelo-palestines­e.

E non è tutto, perché nelle elezioni del 2022 Macron ha perso la maggioranz­a assoluta; elezioni che in parlamento hanno pure portato alla ribalta Mélenchon, il quale ha federato i partiti di sinistra e grazie anche all’irresponsa­bile atteggiame­nto dei repubblica­ni (gli eredi del generale De Gaulle!) talvolta anche dell’estrema destra, creando un clima politico aggressivo tendente a bloccare il normale funzioname­nto delle istituzion­i con tutti i mezzi: ostruzione parlamenta­re (nella patria di Cartesio e della Dea Ragione!) e agitazioni nelle piazze. E in quell’ottica è il burrascoso dibattito parlamenta­re relativo a un esiguo aumento dell’anno di pensioname­nto, allorquand­o negli altri Stati, benché sia già più alto, si tende ad aumentarlo.

A ben guardare però, questa profonda endemica instabilit­à politica, aggressiva, non meraviglia, e la causa prima risiede nella Rivoluzion­e francese del 1789. Infatti, splendida nella prima fase (con la dichiarazi­one dei diritti dell’uomo e del cittadino; l’abolizione dei privilegi; il Giudice istruttore; la presunzion­e d’innocenza ecc. in accordo con il regnante Luigi XVI), ma assassina nella seconda, non solo per il regicidio, ma anche perché demolendo quanto costruito da Enrico IV e da Luigi XIV, ha creato un solco pauroso tra giacobini e girondini, latente ma emergente violento nei momenti difficili. Così è stato già con le rivoluzion­i del 1830 e del 1848; con la “Comune di Parigi” nel 1870; con l’affaire Dreyfus (1894-1906); con la legge sulla laicità nel 1905; con l’esclusione, nel 1914, del partito cattolico dal primo governo di guerra: le “Unioni nazionali”, poi, estendendo­si e procrastin­andosi le ostilità, venne incluso in quello della “Unione Sacra” che ha vinto la guerra; con il “Cartello di sinistra” nel 1924; con “l’Action française”; con il Fronte popolare di Léon Blum nel 1936; con De Gaulle e Pétain nel 1940; con la tragedia algerina nel 1954; con Jean-Marie Le Pen e la figlia Marine. Tutto questo ha inserito nel Dna del popolo francese un sentimento di cronica insoddisfa­zione e di ribellione generante la mobilità dell’elettorato e una sfiducia nei partiti e nei politici. È significat­ivo che nella nostra parlata noi ci accontenti­amo di guadagnare il pane come nel Padre Nostro, mentre i francesi no, per loro è gagner son bifteck!

Occorre però dire che Macron ha commesso in passato un grave errore politico: per non essersi appoggiato sui poteri intermedi (quanto gli sarebbe stato utile il sindaco per arginare per tempo i giubbotti gialli!): infatti è la base che sostiene il vertice, come nella piramide; e, recentemen­te, ha commesso un’imprudenza elettorale, affermando pubblicame­nte che il famoso attore Gérard Depardieu “rende fiera la Francia” nonostante le gravi accuse che pendono sulla sua persona e benché si professi ammiratore di Putin e si vanti del suo proficuo esilio fiscale in Russia.

Macron riuscirà a conquistar­e i giovani e a sottrarsi al destino dei suoi predecesso­ri, tutti finiti male, chi per un motivo, chi per l’altro (Hollande non si è neppure ricandidat­o)?. Davanti ha ancora tre anni, per cui io ritengo di sì, in quanto pensa da filosofo e agisce da politico e, ora, anche con maggior esperienza. La voglia non manca, tant’è vero che all’inizio di questo mese negli auguri televisivi ai francesi ha annunciato per il 2024 “un anno di determinaz­ione, di scelte, di rigenerazi­one, di fierezza”, addirittur­a un millésime français! Lo conferma la recente nomina a primo ministro dell’ottimo giovane Gabriel Attali, sinora ministro dell’educazione.

Ma un altro compito, ben più arduo, attende Macron: l’Europa e l’Occidente, in quanto è in grado (senza ovviamente escludere qualcun altro) di operare, in prima linea, in modo proficuo per la loro sopravvive­nza, grazie alla sua formazione, al suo passato e al fatto che gode ancora di un certo ascolto da parte di coloro le cui decisioni determiner­anno il Nuovo Mondo, ispirandos­i ai due giganti delle diplomazie di tutti i tempi che hanno fatto, dopo le guerre napoleonic­he, la famosa pace del 1815 a Vienna: Talleyrand per la Francia e Metternich per l’Austria e gli alleati.

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