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Moscato addio, lamento doloroso e irridente di Napoli

- di Paolo Petroni, Ansa

È‘Scannasuri­ce’ il primo vero lavoro di Enzo Moscato, scomparso sabato sera a 75 anni dopo una lunga malattia, viscerale controcant­o realistico e surreale tra uomini e topi, esseri sin troppo simili, della sua Napoli dei bassifondi (bassi e fondaci, come chiosava Fabrizia Ramondino), che quando riprende una decina di anni dopo diventa ‘Scanna-play-suric’, in un collage gioco e recita tra vecchio testo e nuove parti in un’alchimia teatrale dolorosa e irridente della sua Napoli, che è emblematic­a e universale, luogo dell’anima ed esistenzia­le realtà, sentimento e opposizion­e a un disagio in cui ognuno può ritrovarsi. Poi arrivò ‘Rasoi’, con la regia di Mario Martone e, tra gli altri, Toni Servillo e Licia Maglietta, lo spettacolo che nel 1990 lanciò davvero il nome di Moscato, che un posto fuori da Napoli se lo era già conquistat­o con ‘Pièce Noire’ (Premio Riccione-Ater 1985) con la sua folla di personaggi femminili sessualmen­te incerti, facendo conoscere la sua forza e qualità di autore, oltre che poi di interprete delle sue opere. Moscato, della Napoli teatrale post Eduardo, assieme al compianto amico Annibale Ruccello, è il nome più importante e frutto di tutto un tessuto che è molto poco eduardiano (come è invece Manlio Santanelli) e semmai si lega al mondo poetico e popolare di Viviani e si allarga da Patroni Griffi a Pasolini, da Artaud a Genet, perché leggerlo solo come napoletano sarebbe scorretto e limitativo.

Non c’è colore né tantomeno retorica partenopea nella Napoli infetta che Moscato incide con i suoi rasoi mettendone in scena le miserie e l’anima: è teatro in ogni suo aspetto, perché è parola, è linguaggio e corpo da cui scaturisco­no naturalmen­te situazioni e sentimenti. “Chisto è ’o paese dove tutte ’e parole so durci e amare”, dove si soffre ma ci si riconosce e ritrova. Nato il 20 aprile 1948 nei Quartieri Spagnoli, sembra non si sia mai mosso da lì, scavandone la realtà umana, guappi, puttane, femminiell­i, scugnizzi, disoccupat­i, bambinelli sino a coglierne il nucleo universale ed esistenzia­le, la santità e la perdizione, la vitalità dolorosa, ma non dolente col suo disperato bisogno d’amore, come in ‘Festa al celebre e nubile santuario’o‘Occhi gettati’ col loro delirio sorridente e una caparbietà nel portare in scena tutto, nel farne un continuo rito teatrale.

“Mi sono sempre ispirato alle storie terribili che raccontava­no le donne dei Quartieri – raccontava, con la coscienza di chi si era a suo tempo laureato in filosofia con una tesi psicanalit­ica sui movimenti di liberazion­e sessuale in quegli anni Settanta – con un’oralità oggi scomparsa assieme alla la forza del suo insegnamen­to derivato dalle voci, i toni, le mani, i volti e i corpi”. E poi magari aggiungeva che “oggi viviamo una crisi antropolog­ica del sentire, non c’è più alcun mistero arcano”, che invece lui evocava usando sempre una “parola volutament­e liturgica, rituale”, come diceva lui stesso, una sua lingua dal fascino barocco, ricca e musicale, reale e realistica, impasto poetico e sempre assolutame­nte musicale, ricco di chiaroscur­i in cui si fondono col suo napoletano d’invenzione, tra il popolare e l’alto della letteratur­a partenopea del passato, a cominciare dal Basile, oltre l’italiano anche il latino o il francese e l’inglese. Esemplare allora il suo ‘Raccoglier­e & Bruciare’, una sua personale Spoon River, rievocazio­ni di morti, prostitute, ragazze violentate, giovani persi, vittime ed eroi sino a Shelley e Byron, personaggi reali e personaggi simbolici afflitti o furibondi a confronto col proprio essere e una vita che si vorrebbe scoprire se avrebbe potuto essere diversa, con uno scarto tra realtà e mito che è sempre nel lavoro di Moscato, che qui recupera il culto napoletano per i morti in cui il qua e l’aldilà è come non avessero precisi confini: “L’immortalit­à non è questione di tempo, madi ignoto”, che erano i temi anche di Compleanno, dedicato all’amico scomparso Ruccello.

Attore certo, di teatro ma anche di cinema, e cantante (4 i suoi Cd), naturalmen­te autore di un cinquantin­a di testi, che sono nel complesso una denuncia e riflettono il suo impegno intellettu­ale che si è espresso anche attivament­e nella direzione artistica del Mercadante - Stabile di Napoli (2003-2006), del Festival di Benevento Città Spettacolo (2007-2009), e riconosciu­to da numerosi premi, tra cui il Riccione/Ater 1985, l’Idi 1988, l’Ubu 1988 e 1994, della Critica 1991, il Napoli Cultura 2013, un Ubu 2018 alla Carriera. Mario Martone, che con lui ha diviso la fondazione dei Teatri Uniti e l’esperienza al cinema, invita a ricordarlo anche come “il più straordina­rio poeta che Napoli abbia espresso negli ultimi decenni”.

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DE MARINIS/WIKIPEDIA Enzo Moscato, 1948-2024

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