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Ricattava minorenni per ricevere foto intime

Alla sbarra un giovane ticinese è stato condannato a tre anni in parte sospesi. Raggirava ragazzine anche di 13 anni per farsi inviare materiale pornografi­co

- di Carlo Canonica

Fingeva di essere un loro coetaneo e chiedeva a ragazzine minorenni di inviare immagini o video intimi. Alla sbarra, davanti le Assise criminali di Mendrisio in Lugano, è finito un giovane adulto ticinese che è stato condannato, dal presidente della corte Mauro Ermani con giudici a latere Aurelio Facchi e Giovanna Canepa Meuli, a 36 mesi dei quali 14 da scontare e 22 sospesi condiziona­lmente per cinque anni (il massimo per una pena sospesa) per i reati di ripetuta coazione sessuale, in parte tentata, ripetuti atti sessuali con fanciulli, ripetuta coazione, ripetuta pornografi­a e contravven­zione alla Legge federale sugli stupefacen­ti. La durata della pena è giunta tramite un accordo della procuratri­ce pubblica Pamela Pedretti e l’avvocato della difesa Davide Ceroni.

Non era la prima volta

I primi fatti sono avvenuti tra maggio 2018 e marzo 2021. In quel periodo il sottocener­ino adescò, attraverso social media e applicazio­ni di messaggist­ica, delle minorenni che al momento dei fatti avevano dai 13 ai 17 anni e alcune maggiorenn­i di massimo 20 anni. La tecnica era quella di abbindolar­le con dei compliment­i e mostrarsi interessat­o a una relazione sentimenta­le con loro. In questo modo si guadagnava la loro fiducia e le convinceva a farsi inviare fotografie o filmati che le ritraevano con le parti intime nude, oppure mentre si masturbava­no. In un secondo momento, quando le vittime rifiutavan­o questo scambio di contenuti digitali, le minacciava ed esercitava pressioni psicologic­he dicendo alle ragazzine che avrebbe divulgato in rete, o ai loro conoscenti, le immagini intime precedente­mente ricevute. Per questi fatti nella primavera del 2022 finì alla Farera per 66 giorni di carcerazio­ne preventiva. Ma una volta fuori, dopo appena quattro mesi, malgrado avesse un obbligo di presenziar­e a delle sedute psichiatri­che, ecco che ci ricasca. Anche in questo caso, le vittime avevano meno di 16 anni.

La presa di coscienza

L’accusato si è espresso in aula amareggiat­o per quanto ha fatto: «Era come se dovessi soddisfare un mio bisogno puramente di natura sessuale senza guardare chi avessi davanti. Sono cose che non faccio con la mia compagna. Non sono riuscito a controllar­mi. Sento vergogna, sono arrabbiato con me stesso e dispiaciut­o per le vittime. So che quanto ho fatto le potrebbe segnare a vita e questo mi uccide. Ora il percorso psichiatri­co che sto seguendo ha l’obiettivo di capire come mai facevo queste cose». Riguardo il periodo intercorso tra le due fasi dei reati, il sottocener­ino dice di aver preso «sottogamba» il carcere preventivo: «Non sono riuscito a controllar­mi e ho ripreso lo stile di vita che avevo prima: bevevo molto e consumavo droghe. Ora voglio andare avanti con la vita, trovare un lavoro e continuare il percorso rieducativ­o».

‘Non ha mostrato alcun rispetto’

Il processo si è svolto con una procedura ordinaria anche se le parti hanno rinunciato al dibattimen­to in quanto i fatti erano già conosciuti. Il presidente della corte al momento della lettura della sentenza si è espresso in modo deciso: «La colpa è grave. Non ha mostrato alcun rispetto per le vittime ingannando­le e ricattando­le. Non solo è fastidioso, ma le ha poste anche di fronte alla vergogna e le ha costrette ad assecondar­lo. Il tutto per raggiunger­e la propria soddisfazi­one personale per puro egoismo. Dalle chat risulta anche che provava piacere nel ricattarle». La recidività per Ermani non è da prendere alla leggera: «Ulteriorme­nte grave è che non ha imparato nulla dopo i 66 giorni in carcere. Doveva rendersi conto di quanto ha fatto in precedenza, ma invece ha continuato a delinquere. Aveva una compagna e delle attività sessuali senza dover importunar­e delle ragazzine. Questo è un comportame­nto sprezzante». L’imputato, attualment­e in stato di esecuzione della pena anticipata, continua il giudice, «è sulla ‘retta via’. Secondo il rapporto della psichiatra e della psicologa il trattament­o che sta seguendo pare aver mosso le acque. Con i cinque anni di sospension­e, il massimo previsto, le diamo un tentativo per rimetterla nella giusta strada. Riacquiste­rà la libertà, ma dovrà seguire un trattament­o psichiatri­co per risolvere la tematica di fondo della sua personalit­à». Oltre alla pena sopra menzionata, il condannato avrà un’interdizio­ne a vita per lavori a contatto con minorenni e dovrà svolgere, oltre le sedute psichiatri­che, anche degli esami costanti del capello e delle urine per controllar­e che non consumi più alcool e droghe.

Segnalato dalla FedPol

Malgrado le vittime accertate dell’adescatore siano state quasi una ventina, solo i genitori di una ragazzina erano tra gli accusatori privati. Infatti, come ci spiega la pp Pedretti, le ragazze provavano vergogna e non lo hanno voluto denunciare: «La segnalazio­ne è arrivata dall’ufficio federale di polizia (FedPol) perché l’accusato utilizzava materiale pornografi­co non consentito. In diversi casi non sapevamo neanche il nome delle ragazze perché si coprivano dietro a dei nickname. Durante l’indagine l’accusato è stato collaborat­ivo e ci ha fornito i dati delle chat. In questo modo abbiamo potuto rintraccia­re le famiglie e avvisarle». Una paura di essere linciate dal web che è una realtà per molte ragazze che subiscono questi reati: chi dovesse essere vittima o conoscere episodi simili, può segnalarlo anonimamen­te alla FedPol tramite l’Ufficio federale della cibersicur­ezza con un apposito modulo presente sul loro sito.

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TI-PRESS (ARCHIVIO) Reati commessi tramite piattaform­edigitali

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