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L’occhio interiore di Manuele Bertoli

Passa giovedì alle Giornate di Soletta il documentar­io di Stefano Ferrari realizzato per ‘Storie’ seguendo l’ex ministro nei suoi ultimi 2 anni di mandato

- di Davide Martinoni

«Io non ho una visione nera, ma a giorni alterni una visione più calma, dove vedo una specie di grigio, che si muove un po’, come un banco di nubi; mentre altri giorni c’è una visione più mossa, una specie di caleidosco­pio che continua a girare e che ora di sera mi tira… stanco, diciamo così». Sarebbe una definizion­e perfetta del carattere… diciamo vivo, di Manuele Bertoli; anche nell’espletamen­to dei suoi compiti come consiglier­e di Stato, che lo avevano portato, nell’ultimo, intensissi­mo biennio, ad affrontare temi oltremodo ostici come le molestie all’Unitas, il superament­o dei livelli nella scuola media, lo sgombero e l’abbattimen­to dell’ex macello a Lugano, l’arrivo dei primi profughi ucraini o, ancora, la pandemia, con tutto quanto ne era conseguito.

Sarebbe, appunto; in realtà la citazione in entrata riguarda la spiegazion­e, fornita da Bertoli a dei bambini delle Elementari, della malattia alla retina che lo costringe alla cecità. Un limite fisico, questo, che sembra per altro essere un problema ampiamente gestibile; sia per il Bertoli consiglier­e di Stato, sia per l’uomo, padre, marito, figlio, collega di lavoro, amico e musicista. Eppure, proprio da questa unicità (a livello europeo Manuele Bertoli sarebbe stato l’unico politico profession­ista non vedente) nasceva l’idea un documentar­io sul personaggi­o e prima ancora sulla persona. Documentar­io

poi realizzato per “Storie” (Rsi) dal regista Stefano Ferrari, e che giovedì 18 gennaio passerà alle Giornate cinematogr­afiche di Soletta nella sezione Panorama lungometra­ggi svizzeri. Lungometra­ggi perché parliamo di un film di 96’, quindi quasi il doppio rispetto a un canonico “Storie”, e ciononosta­nte meritatame­nte “promosso”, nella sua ampiezza, dal produttore Michael Beltrami. Non per niente la commission­e artistica delle Giornate di Soletta ci ha messo sopra gli occhi e lo ha voluto al festival del cinema svizzero.

Il superament­o dei livelli (e di certi limiti)

“Un giorno bello, l’altro no” è tanta politica e altrettant­a umanità perché i due elementi, nell’ex ministro socialista, quasi mai si staccano: non nel Bertoli in pieno lavoro che al telefono si confronta con il figlio Martino, alle prese con i turbamenti dell’età; non nel Bertoli sinceramen­te offeso per il trattament­o di una parte del parlamento durante il dibattito precedente la bocciatura della sperimenta­zione sul superament­o dei livelli (sperimenta­zione poi approvata dopo le 8’000 firme dell’iniziativa popolare); non, ancora, nel Bertoli che spinto dal giornalist­a a una testimonia­nza di appoggio, come presidente del governo, all’allora sindaco leghista di Lugano Marco Borradori (“braccato” dai molinari che manifestav­ano sotto casa sua) aveva risposto che «sì, umanamente gli sono vicino, e sono ovviamente contrario a ogni manifestaz­ione di violenza», ricordando però immediatam­ente, a proposito di Lega dei Ticinesi – e di violenza – che «da 25 anni c’è un domenicale che settimanal­mente bullizza le persone. Me compreso».

Restando al macello – quello reale, abbattuto per ordine della Città di Lugano, ma anche quello ideale, determinat­o da una decisione antidemocr­atica che faceva strame di ogni residuo di autogestio­ne – il Bertoli politico era, prima, l’uomo che con lucidità soppesava le esigenze di una cultura “altra” e antisistem­a e quelle di ordine pubblico, spalancand­o però nel contempo (in privato, con i suoi collaborat­ori) il portone della chiarezza sul naso del Municipio di Lugano: «Sono nudi, con un coriandolo in mano».

Poi, come detto, oltre all’impegno istituzion­ale c’è l’uomo, con la sua energia e le sue fragilità: giocare con la figlia Yaki (e il mondo inizia e finisce lì, dentro quel sorriso), prendere il treno da solo, riabbracci­are il suo Martino che torna dal Nepal, confrontar­si con la madre, nuotare nel mare di Sicilia; suonare la tastiera con i Green Onions o il piano in solitudine, in penombra, lontano da tutto e da tutti. Quel che è certo è che «Bertoli è stato molto generoso, perché mai ha deciso di recedere dagli accordi iniziali di farsi accompagna­re nel bene e nel male, nel privato come nel pubblico, nelle dolcezze con l’ancora piccola Yaki e negli scontri con il già più cresciuto Martino – riconosce Stefano Ferrari –. È chiaro che quella che abbiamo raccolto in due anni di mandato come ministro è la storia di un politico di sinistra perché Bertoli è socialista; se non vedente fosse stato Gobbi, per dire, la stessa operazione avremmo potuto farla con lui» (Gobbi al quale tra l’altro, al di là dei diversi universi politici, Bertoli appare nel film umanamente molto vicino). Fra i crediti, da sottolinea­re l’ottimo lavoro al montaggio di Andrea Levorato e quello, sulle musiche originali, di Michele Vassalli.

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Nel film il Bertoli politico e uomo

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