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Ginevra e un sogno chiamato Champions

Sotto 2-0 dopo 11 minuti, Bertaggia e il Servette rovesciano il Lukko Rauma e ora puntano dritti al titolo europeo, quindici anni dopo lo Zurigo

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Ciò che non era riuscito a Friborgo, Zugo e Davos riesce invece al Ginevra-Servette di Jan Cadieux. Che dopo aver conquistat­o in primavera il suo primo titolo nazionale della storia, al termine di un’appassiona­nte ed emozionant­e serie col Bienne decisa solo all’ultimo, nella gelida notte di Rauma si guadagna l’accesso alla finale di Champions. Quindici anni dopo lo Zurigo, che nel 2009 andò fino in fondo, affossando nientemeno che il Metallurg Magnitogor­sk. Altri tempi, altro formato, dirà qualcuno, pensando che c’era ancora la Russia, intesa come squadre della Khl ma pure come sponsor, e a differenza di allora, quando pure la finale si giocava con la formula dell’andata e ritorno, oggi si decide tutto in sessanta minuti: succederà la sera di martedì 20 febbraio, sul ghiaccio delle Vernets, quando Alessio Bertaggia e i compagni contendera­nno il titolo continenta­le agli svedesi dello Skellefteå (che, a dispetto di come si scrive, si pronuncia ‘Sciellefte’), i quali si sono guadagnati il ticket per l’atto conclusivo nonostante la sconfitta subita ieri ad opera del Vitkovice, grazie al 4-2 dell’andata a Ostrava.

Al di là di ogni ragionevol­e dubbio

Il successo del Servette non fa una grinza, pensando a ciò che s’è visto in centoventi minuti tra il 2-2 di Ginevra e la gara di ritorno nel Satakunta, al sud della Finlandia (sud si fa per dire, visto che fuori dalla Kivikylän Arena ci sono 14 gradi sotto lo zero). Opposta a un avversario solido e quadrato – del resto, ci sarà pure un motivo se il Lukko è arrivato sino in semifinale –, la squadra di Jan Cadieux ha saputo far fronte a dubbi e avversità: i dubbi erano quelli di una squadra che, fino al 2-1 di uno scatenato Filppula in versione match-winner, tra campionato e Champions non segnava da 157 minuti ovvero dalla rete del 2-2 sul ghiaccio delle Vernets, una settimana prima. Quanto alle avversità, come si potrebbe definire altrimenti l’inizio di una semifinale di ritorno contraddis­tinta da ben due reti avversarie in appena undici minuti (la seconda dei quali, oltretutto, non rende certo onore alla fama di un campione olimpico qual è Jussi Olkinuora), nel preciso istante in cui la statistica degli stra abusati ‘expected gol’ indicava uno 0,37 da una parte e uno 0,31 dall’altra?

L’attendismo disatteso

Avanti 2-0 dopo il primo tempo, a quel punto il Lukko sa di avere un piede in finale, ed è forse quell’apparente sicurezza a costargli cara, in un periodo centrale in cui la squadra allenata da Tomi Lämsä lavora bene sia in zona neutra, sia nel proprio terzo, bloccando un sacco di tiri e chiudendo gli spazi, ma si mette forse a speculare un po’ troppo su quel tutto sommato relativo vantaggio di due reti. Che, infatti, si scioglie come neve al sole in soli cinquantot­to secondi tra l’1-2 di Filppula al 36’49’’ e il 2-2 di Vatanen al 37’47’’. Poi, quando al 45’05’’ (con un gran bel gol, oltretutto) Valtteri Filppula chiuderà lo show personale firmando la doppietta, nei minuti restanti le Aquile buttano sul ghiaccio le residue forze, stringendo i denti e seguendo alla lettera i piani svelati da Jan Cadieux ad Alessio Bertaggia in mondovisio­ne, nel corso dell’ultimo ‘commercial break’ di serata. «Esattament­e: tu fai forechecki­ng e rimani sopra – dice rivolgendo­si all’ala ticinese, rigorosame­nte in italiano, il quarantatr­eenne allenatore –. Vedi? Così non hanno niente, è perfetto, è giusto... Dai, gioca, restano sette minuti, finisci, finisci!». Detto, fatto.

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KEYSTONE Aquile in festa: alle Vernets, il 20 febbraio, contendera­nno il trofeo agli svedesi delloSkell­efteå

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