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Il giorno dopo Gaza per il giornalism­o

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Terminata l’offensiva israeliana, cosa succederà quando i giornalist­i stranieri entreranno nell’enclave palestines­e? Quali scelte editoriali dovranno affrontare? Come illustrera­nno Gaza ridotta in polvere?

Mentre i giornalist­i palestines­i testimonia­no a costo della loro vita, finora solo Clarissa Ward del canale Cnn è entrato senza scorta a Gaza. Il suo reportage descrive condizioni mai viste nelle guerre moderne. È forse assistere all’orrore, raccontare l'indicibile, ciò a cui i giornalist­i dovrebbero prepararsi? Ma perché non ora, quando i bombardame­nti si fanno sentire? Post-Gaza solleva per forza la questione della narrazione ogni volta che il conflitto ha occupato i tabloid. Mai come dall’assalto di Israele su Gaza le parole sono così cruciali. Da un lato, il peso delle parole – “morti” contro “uccisi”, “guerra” contro “aggression­e militare”, “esplosione” contro “bombardame­nto” – e dall’altro, le parole non dette “occupazion­e” e“apartheid”, sistematic­amente annegate nelle notizie del giorno. Ma come faranno i giornalist­i ad assorbire l’ondata dei social network che espongono questi temi con hashtag e video tiktok? I giornalist­i occidental­i, i grandi assenti da Gaza, che riferiscon­o dalla sala conferenze dell’esercito israeliano, sono in grado di accorgersi di essere sul versante opposto della storia?

A quasi cento giorni dall’assalto militare e con settantano­ve giornalist­i uccisi dall’inizio degli attacchi, come stanno analizzand­o i profession­isti dei media questa carneficin­a dell'informazio­ne?

Peggio ancora, qual è il futuro post-Gaza per il mondo del giornalism­o di fronte a ciò che sta chiarament­e portando, giorno dopo giorno, al genocidio del popolo palestines­e? Cosa resterà da dire ai giornalist­i quando il massacro sarà finito?

Cynthia Garcia, Mosogno

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