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Di nuovo anziani truffati, la razzia dei finti poliziotti

Una 35enne pregiudica­ta è stata condannata a 3 anni

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«Signora, è la polizia di Lugano. Sua figlia ha causato un grave incidente ed è morta una persona. Se non pagate subito la cauzione, 300mila franchi, sua figlia andrà in carcere». È una delle frasi impiegate per estorcere denaro a quattro anziani da un’organizzaz­ione polacca attiva la scorsa primavera nella Svizzera italiana. Non un fatto inedito, purtroppo: la chiamano ‘truffa emozionale’, esistono varianti come ‘truffa del falso nipote’ o ‘truffa del falso agente’ (come nel caso descritto). Il meccanismo è sempre quello: una telefonata scioccante riguardo a parenti in grave difficoltà e il bisogno impellente di versare una grossa somma.

Ma chi sono i truffatori? Una di queste persone è comparsa nell’aula penale di Lugano, una 35enne polacca, con numerosi precedenti penali specifici. La Corte delle Assise criminali, presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchett­i, l’ha condannata a 3 anni di carcere da espiare, e all’espulsione dalla Svizzera per 8 anni, riconosciu­ta colpevole di truffa aggravata commessa per mestiere e ripetuta entrata illegale. L’atto d’accusa della procuratri­ce pubblica Valentina Tuoni è stato integralme­nte confermato.

Una veterana delle truffe la 35enne, madre di quattro figli, ex donna delle pulizie nel suo Paese. È già stata condannata per reati analoghi nel 2011, 2013, 2017 e 2019, sempre in Germania tranne il caso del 2013, accaduto in Svizzera romanda. Un’attività incessante per il suo ‘team’, attivo a livello internazio­nale, rapido nei movimenti e difficilme­nte rintraccia­bile dopo che il colpo è stato portato a termine. Il caso esaminato dal processo luganese non fa eccezione: tolta la 35enne, presa sul fatto grazie alla segnalazio­ne della figlia di una vittima, il resto della banda rimane sconosciut­o alle autorità, e la stessa imputata si è guardata bene dal fornire indicazion­i concrete sulla vera identità dei suoi complici, sostenendo di essere stata ingaggiata in un bar di Cracovia per 500 euro.

Soldi e gioielli portati a Como

Quattro i casi ricostruit­i dall’inchiesta, messi in atto in poco più di un mese. Le vittime, tutte persone anziane fra i 75 e i 91 anni, residenti ad Astano, Lugano-Besso, San Vittore (Grigioni) e infine Lugano-Viganello. Hanno raccontato loro di un grave incidente stradale causato dalla figlia, o dalla nipote, che per evitare il carcere avrebbe dovuto pagare una grossa cauzione. Nell’ultimo episodio la vittima 91enne ha avuto la presenza di spirito di chiamare la figlia, e la segnalazio­ne alla polizia è valsa la cattura della polacca. Era il primo giugno dell’anno scorso: da allora la donna si trova in detenzione. Il maltolto, parte in contanti parte in preziosi – una delle vittime ha addirittur­a ritirato oro da una banca per metterlo in mano ai delinquent­i – sfiora i 300mila franchi. Inutile dire che sono scarse le probabilit­à di una restituzio­ne del bottino, anche se la 35enne è stata condannata pure al risarcimen­to dei valori rubati (296’885 franchi per l’esattezza) e del torto morale di mille franchi.

Pressione psicologic­a

Una costante di queste truffe è la pressione psicologic­a, esercitata anche tenendo al telefono per ore le vittime. Sconvolte, finivano per consegnare di tutto: monete d’oro e d’argento, lingotti, orologi, monili di valore. Oltre ovviamente ai contanti. La banda a quanto pare durante le scorriband­e in Ticino era alloggiata a Cantù, mentre la consegna dei valori avveniva a Como, dove gli anziani spaventati si recavano coi loro beni, o al loro domicilio in Ticino. La messa in scena contemplav­a addirittur­a un sottofondo sonoro fatto di singhiozzi e lamenti, per rendere più verosimile la chiamata dal luogo di un grave incidente stradale. Addirittur­a uno degli anziani dopo la telefonata si è recato in polizia a Lugano, salvo poi raggiunger­e Como con un taxi e consegnare i suoi beni nelle mani dei criminali.

Del resto, ha detto la procuratri­ce Tuoni, si tratta di «vittime anziane la cui integrità fisica e psichica viene messa a rischio. Che giustifica­zione vogliamo dare? Una identifica­zione del presunto capo sarebbe molto difficile e l’imputata lo sa. Una volta uscita dal carcere, continuerà e questo lo dimostra il numero di precedenti». La pp aveva chiesto una pena di 4 anni. Per contro l’avvocato difensore Vincenzo Luisoni aveva chiesto, invano, il prosciogli­mento dal reato di truffa aggravata per motivazion­i di tipo giuridico, invocando la riduzione della pena di 16 mesi di cui 8 sospesi con la condiziona­le. Per la Corte, la gravità del reato e la prognosi negativa riguardo al comportame­nto futuro della 35enne sono solo in parte bilanciate dalla collaboraz­ione fornita agli inquirenti nella ricostruzi­one dell’accaduto.

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TI-PRESS ‘Sua figlia ha provocato un incidente’

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