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La straordina­ria danza del Minotauro

Recitativi, musicali, tecnici, scenici: sono molti i punti di forza del Dürrenmatt di Saltamacch­ia e Picchetti, fino a lunedì al Teatro Sociale di Bellinzona

- di Ivo Silvestro

Il ‘Minotauro’ di Friedrich Dürrenmatt non è un testo pensato per il teatro – e poco male, quello di Margherita Saltamacch­ia e Marzio Picchetti in scena al Teatro Sociale di Bellinzona fino a lunedì 22 gennaio non è certo il primo adattament­o teatrale di un testo letterario. E poi quella di Dürrenmatt è, come viene riconosciu­to già nel titolo, una ballata, cioè un testo che ha già una forte componente scenica. Solo che a ballare, nel ‘Minotauro’ di Dürrenmatt, è la lingua stessa e quindi parrebbe che ci siano solo due possibilit­à, per portarlo a teatro. La prima è fare qualcosa di diverso, lavorando sulle idee e sulle visioni di Dürrenmatt: raccontare, con un altro linguaggio, il mito di Teseo non dal punto di vista dell’eroe civilizzat­ore ma da quello del mostro vittima sia delle divinità sia dell’umanità. La seconda è restare fedeli alle parole di Dürrenmatt, portandole in scena più o meno intatte e accompagna­ndole da gesti teatrali. Due strade entrambe valide, ma per questo ‘Minotauro’ prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale di Bellinzona Margherita Saltamacch­ia (regista) e Marzio Picchetti (creative director e light designer) ne hanno cercata una terza – per restare al linguaggio mitologico, potremmo dire che son passati tra Scilla e Cariddi, non fosse che Dürrenmatt avrebbe raccontato anche questo mito dal punto di vista dei due mostri.

Quel che non t’aspetti

È il testo di Dürrenmatt – in lingua originale e nell’efficace traduzione di Donata Berra – ad accogliere il pubblico e ad accompagna­rlo durante tutta la rappresent­azione. Ma il capovolgim­ento narrativo proposto da Dürrenmatt è affidato anche e soprattutt­o a una raffinata coreografi­a e a un allestimen­to inatteso sul quale vale la pena spendere qualche parola. Dürrenmatt propone, rispetto al mito tradiziona­le, un cambio di prospettiv­a e lo stesso fa Margherita Saltamacch­ia rispetto al teatro tradiziona­le: la scena si svolge in una platea svuotata dalle sedie, mentre il pubblico trova posto nei palchi e su una gradinata allestita sul palcosceni­co, trasforman­do un classico “teatro all’italiana” in una struttura che ricorda il Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Spettatori e spettatric­i vengono così accompagna­ti sul palco, ritrovando­si a guardare il sipario dalla parte “sbagliata”, mentre dai palchi ci si ritrova a picco sulla scena e a guardare il resto del pubblico sul palco.

Scena che peraltro è inizialmen­te nascosta da triangoli di luce resi opachi da una foschia artificial­e. Il racconto inizia infatti con il risveglio del Minotauro nel labirinto “costruito con l’intento di proteggere l’essere mostruoso dagli uomini e gli uomini dall’essere”, un labirinto di specchi che offusca il confine tra sogno e veglia, tra realtà e immagine. La scenografi­a, essenziale e pulita, ricorda le scale di Escher: la complessit­à e l’impenetrab­ilità del labirinto sono date dalle luci che riflettono e rimbalzano, indubbiame­nte uno dei punti di forza di questo spettacolo.

In questo spazio onirico – che però nel corso dello spettacolo diventerà sempre più concreto e reale, seguendo la presa di coscienza del protagonis­ta – prende forma l’elaborata coreografi­a di Jess Gardolin. Tre i minotauri in scena (o forse è solo uno, il suo riflesso e il riflesso del riflesso) con i riusciti costumi di Ambra Schumacher: la stessa Gardolin, che al centro trasforma in movimento le parole di Dürrenmatt, affiancata dalle brave Margherita Saltamacch­ia e Anahì Traversi che invece recitano il testo del ‘Minotauro’, alternate a una voce registrata e sostenute dal paesaggio sonoro di Ali Salvioni, altro punto di forza dello spettacolo.

Altri punti di vista

Le tre minotaure raccontano, adattando stile e ritmo, lo spaesament­o iniziale di fronte a immagini riflesse che sembrano reali, la scoperta di altri corpi che non sono il proprio, che non rispondono ai propri movimenti, l’eccitazion­e, la gioia, la rabbia; la lenta scoperta di cosa è la vita e cosa è la morte, di poter uccidere e forse di poter morire. Fino alla tragica conclusion­e: arriva Teseo travestito da minotauro e con sé porta la consapevol­ezza di non essere più solo e una spada che finirà nel petto del mostro – un epilogo che trova forma, in scena, con una notevole performanc­e aerea di Jess Gardolin.

Il ‘Minotauro’ di Margherita Saltamacch­ia e Marzio Picchetti riesce a restituire, amalgamand­o con notevole bravura varie tecniche sceniche, la complessit­à e la forza del testo di Dürrenmatt, mostrando la possibilit­à e forse la necessità di guardare alla realtà – in questo caso quella di uno dei miti fondativi della cultura occidental­e – da altri punti di vista.

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CHROMOPHOB­IA STUDIO – LIONE Un cambio diprospett­iva

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