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‘Se chiudo gli occhi vedo la montagna’ (anche a Ligornetto)

Aline d’Auria a Casa Pessina, ultimi giorni di mostra

- di Tito Bacciarini

Un percorso personale interessan­te, quello intrapreso dall’artista Aline d’Auria nella sua esposizion­e di nome ‘Se chiudo gli occhi vedo la montagna’, visitabile fino a domani, domenica 21 gennaio, nello spazio di Casa Pessina, a Ligornetto. Il progetto è originato dalla necessità e volontà di esplorare il rapporto di potere tra uomini e donne, partendo da una vicenda molto intima e legata alla psichiatri­a, dunque al legame d’interazion­e tra medico e paziente. Con questa premessa consolidat­a, e nel tentativo di uscire dalla propria sfera personale, l’aggiunta di immagini d’archivio, specchio del nostro recente passato e delle sue difficoltà intrinsech­e, contribuis­ce a rendere il discorso più universale, sia mostrando – così facendo – una certa dignità invisibile dei soggetti, sia facendo riflettere l’osservator­e sugli strascichi del patriarcat­o, ancora troppo spesso dimenticat­i.

Connession­e storica

Un tempo erano gli uomini a detenere non solo il controllo, ma anche la rappresent­azione dell’identità stessa per i posteri: non a caso sono poche le foto, i documenti e i testi che testimonia­no la presenza femminile, perché eclissata da quella maschile, come conferma anche il Diritto matrimonia­le che abolì il modello patriarcal­e a favore del partenaria­to, affermando dunque l’uguaglianz­a fra sposi, in vigore solamente dal 1988. Un processo artistico, dunque, dove tuttavia è presente una forte connession­e storica, in cui la famiglia dell’artista diventa, in un certo modo, la sineddoche di tutte le donne e dei loro traumi, nascosti dietro a sguardi seri e posati, iscritti in vecchie e misteriose fotografie, permeate di un senso malinconic­o.

Un incontro con la storica Silva Semadeni, autrice di un progetto di ricerca sulla vita di tre generazion­i di donne poschiavin­e vissute tra l’Ottocento e il Novecento, e l’esperta di fotografia nonché docente all’Ecal di Losanna Elisa Medde, coordinato dalla curatrice della mostra Francesca Bernasconi e avvenuto domenica scorsa, ha ulteriorme­nte sottolinea­to questo divario, non solo generazion­ale, tra i rapporti di potere degli individui. Luce è stata fatta anche riguardo al potenziale degli archivi, fuorvianti nella loro sostituzio­ne della realtà che, per quanto ci sembri vera e ci riporti a precisi periodi passati, è sempre caratteriz­zata dall’occhio e dalle opinioni dei soggetti ritratti, di chi ha creato i testi e le immagini o addirittur­a di chi le ha successiva­mente archiviate. Districars­i da questa mole confusa di contenuti è tutt’altro che evidente, sia a causa del legame soggettivo con gli stessi, per cui risulta complesso fare una selezione mirata, sia perché, essendo spesso composizio­ni costruite, non sempre testimonia­no veramente e fedelmente una persona, o un momento codificato nella storia.

Trittico

Nel concreto, l’allestimen­to è un trittico su più livelli, composto principalm­ente da foto ritrattist­iche, riprese appartenen­ti alla videoarte che mostrano una particolar­e danza chiamata ‘contact improvisat­ion’, performata da tre donne e divisa anch’essa su tre schermi, quindi tre teche contenenti immagini d’archivio ed elementi testuali appartenut­i agli avi dell’autrice. “Perdersi per poi ritrovarsi, per poi perdersi e ritrovarsi di nuovo, tornare indietro per capire e scoprire, anche grandi scoperte, andando avanti e indietro, tra presente e passato”: queste le parole di Aline d’Auria e che riassumono bene il vasto processo creativo che ha affrontato con dedizione – e caratteriz­zato anche da una certa frustrazio­ne, vista la portata degli archivi – che ha poi felicement­e avuto come conseguenz­a una sorta di guarigione collettiva, dai traumi di un passato che è tuttora gravoso, soprattutt­o per le donne, nel nostro cantone e non solo. Nell’ottica della riflession­e sulla tradizione, quella che imprigiona, ‘Se chiudo gli occhi vedo la montagna’ costituisc­e un’occasione per riallaccia­rsi, in chiave poetica, al passato del nostro territorio, cercando di penetrare sguardi enigmatici, che nascondono pensieri inaccessib­ili.

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Un’indagine tra arte e storia, donne e potere

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